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Victor Hugo e la Nostra Signora di Parigi

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“Ogni faccia, ogni pietra del venerabile monumento è una pagina non soltanto della storia del paese, ma anche della storia della scienza e dell'arte.” (Victor Hugo, Notre-Dame de Paris)

Lo spaventoso incendio (per fortuna meno grave di quanto era sembrato nei primi momenti) che ha distrutto il tetto di Notre-Dame a Parigi ci ha portato a ripercorrere alcuni sentieri letterari e storico artistici che mai come in questo momento ci sembra importante ricordare.
Partiamo da un altro quartiere di Parigi, il Marais, e per la precisione da Place des Vosges per poi tornare indietro con un flashback. In questa piazza, famosa per essere la più antica di Parigi e anche una delle più belle, al numero 6 (Hotel de Rohan-Guémené) abitò Victor Hugo, dal 1832 al 1848.
Non c’è bisogno di dire chi fu Victor Hugo. Di sicuro uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, per Parigi e per la Francia un autentico monumento nazionale, tanto che questa sua abitazione, che negli anni che la videro abitata fu l’anima culturale e intellettuale dell’intera nazione, grazie anche alle frequentazioni e alle ricorrenti riunioni fra le grandi menti di Francia che vi si svolgevano, è oggi uno splendido museo (gratuito) che ci riporta negli ambienti e nelle atmosfere che videro il materializzarsi di tante idee e pensieri che ancora oggi sono parte integrante e irrinunciabile del pensiero occidentale per come lo conosciamo.
Come spesso accadde alle grandi menti, più moderne dei tempi che si trovavano a vivere, anche Hugo subì persecuzioni politiche per le sue idee fino a dover lasciare non solo questa casa ma il proprio paese, alla fine del 1851, per proseguire in esilio la sua attività di scrittore e intellettuale.
Ma quei 280 metri quadri all’angolo di Place des Vosges rimasero comunque un “suo” luogo, fino al suo rientro in Francia nel 1870, e così ancora fino alla sua morte nel 1885 (il suo funerale è ancora oggi ricordato come uno degli eventi di massa più clamorosi della storia, e Hugo resta uno dei pochissimi personaggi, e l’unico scrittore, ad essere stato direttamente portato al Pantheon di Parigi senza passare per alcun cimitero. Caso raro di grandezza riconosciuta già in vita e sublimata al momento dell’addio da una nazione intera). E infatti già nel 1902, ristrutturati in modo da riportarli il più possibile allo stato in cui furono da lui vissuti, divennero un museo nazionale nel quale oggi entrano circa 160.000 visitatori ogni anno.
La stanza “cinese, il suo scrittoio, la camera da letto, gli specchi, le finestre affacciate sulla magnifica piazza sono una tappa indispensabile nei percorsi parigini di chi ama la storia e la letteratura.
Ma il motivo per cui proprio oggi torniamo a parlare di Victor Hugo e della sua Parigi è naturalmente il suo famoso romanzo, intitolato e dedicato alla grande cattedrale: “Notre-Dame de Paris”. La sua storia è di per sé straordinaria, e forse rappresenta proprio il precedente storico più illustre per ciò che riguarda i “pellegrinaggi letterari” a cui spesso chi scrive invita i propri lettori. 
Ciò che infatti fece Hugo con il suo romanzo, scritto e pubblicato a 29 anni, fu non soltanto scolpire i canoni del moderno “romanzo storico” (narrazioni e personaggi di fantasia che si muovono in periodi e ambienti storicamente reali e ben caratterizzati), ma una autentica operazione di recupero culturale attraverso la sua opera, una operazione che oggi definiremmo “mediatica”, che ridisegnò agli occhi della Francia e dell’Europa l’intera idea di medioevo e ne creò letteralmente il simbolo che oggi tutti ammiriamo (e che in questi giorni abbiamo osservato con sgomento sull’orlo dell’abisso).
Accadde infatti che dopo la rivoluzione francese la cattedrale, già spogliata e fortemente danneggiata, sebbene riportata a inizio secolo al suo ruolo originario di Chiesa cattolica, ancora nei primi decenni dell’800 si trovava in stato di semiabbandono, nella necessità di radicali restauri che nessuno si curava di mettere in cantiere, ed era con tutta probabilità destinata alla distruzione, destino che aveva già colpito, e ancora colpirà in seguito, molti edifici medievali parigini e dell’intera Francia. Per la cultura dell’epoca, in effetti, il medioevo era ancora considerato un periodo tetro e barbarico, e il gotico stesso l’espressione architettonica di tale retrograde mostruosità (a pensarci oggi c’è da sorridere o da rabbrividire).
Il romanzo di Hugo piombò così in questa sostanziale e diffusa indifferenza verso le memorie del glorioso passato parigino con l’effetto di una vera e propria bomba. La complessa e coinvolgente storia, drammatica e romantica, i personaggi ambivalenti e portatori di una sofferta umanità, la sottile e mai netta distinzione fra buoni e cattivi fino a portare, all’apice dell’originalità narrativa, il mostruoso e inquietante campanaro ad essere il vero eroe romantico, rapirono i lettori facendo deflagrare il suo romanzo e consacrandolo in pochissimo tempo come uno dei casi letterari più clamorosi della storia moderna.
Ma soprattutto la sua più grande invenzione fu, come denunciato dal titolo, far diventare personaggio principale non un umano, ma un edificio. La cattedrale di Notre-Dameè infatti il vero protagonista di ogni pagina. La sua maestosità, i suoi anfratti, le sue guglie, le sue statue, le sue immense campane che pulsano come un cuore. Ha il suo carattere, la sua personalità, interviene in ogni momento con la sua autorevolezza e la sua forza morale, è di volta in volta rifugio, minaccia, prigione, città, paradiso e inferno. La sua presenza materiale e immateriale influisce sulle vite di tutti, nel bene e nel male, ne determina i destini e dà il vero senso alle loro vite. Ciò che davvero scoprirono i parigini scorrendo le pagine del suo capolavoro, fu la grandezza e l’importanza storica della loro cattedrale, la sua bellezza artistica, il suo animo tenebroso e romantico, la sua incalcolabile importanza filosofica e spirituale.
Si verificò un fenomeno del tutto nuovo. I parigini, che fino a poco prima passavano distratti davanti alle sue mura e ai suoi portali in rovina, cominciarono ad affollarsi e fare la fila per vedere i luoghi raccontati dal romanzo. Le volte illuminate dalla luce che filtrava fra le (ormai poche) vetrate colorate, le scale delle torri, il luogo dove si trovava la cella di Esmeralda, le statue che avevano ripreso vita grazie alla penna dello scrittore. Qualcosa di veramente moderno, se pensiamo ad oggi.
Accadde quindi proprio ciò che, in tutta probabilità, lo scrittore aveva voluto si realizzasse: la curiosità si tramutò in interesse e poi in passione, e nell’andare a visitarla tutti ne scoprirono coi propri occhi le condizioni precarie. Fu così che tutta la Francia iniziò ad impegnarsi per salvare quell’edificio, quel personaggio da romanzo, quella gigantesca costruzione che doveva tornare a meritare il titolo di Signora di Parigi.
Come qualcuno ha giustamente fatto notare, Victor Hugo ha probabilmente nascosto nella sua stessa costruzione narrativa il vero scopo del suo monumentale (è il caso di dirlo) romanzo: nel tentativo di salvataggio di Esmeralda (che peraltro fallisce tragicamente) c’era in realtà un intento di salvataggio ben più ambizioso e di per sé stesso monumentale. Mentre Quasimodo, il povero campanaro Gobbo (brutto a vedersi ma di animo e spiritualità capaci di grandi imprese, vera metafora della stessa chiesa che è anche tutto il suo mondo) tentava con le sue misere forze di salvare la giovane e bella gitana di cui si era perdutamente innamorato, il giovane ma già grande scrittore cercava con la sua penna e la sua arte di salvare la grande cattedrale facendola diventare il simbolo della storia e della grandezza di Francia.
E tanto drammaticamente fallisce l’intento di Quasimodo, così invece quello di Hugo ha un successo clamoroso. Sulla spinta del successo e della diffusione del suo romanzo, nel 1844 (a soli 13 anni dalla prima stampa di Notre-Dame de Paris) inizia un restauro imponente che entro la fine del secolo riporterà la cattedrale alla monumentalità e allo splendore che lo scrittore gli aveva dato con le sue parole (La Flèche, la freccia, che è la famosa Guglia ora crollata fra le fiamme davanti ai nostri occhi, fu costruita a partire dal 1860, su un progetto ispirato a quella originaria che era già andata distrutta alla fine del 1700).
Come si sa, il restauro ebbe anche interventi fantasiosi, di relativo rigore storico e filologico, e come molti si sono affrettati a dire in questi giorni (alcune volte fuori luogo) la Notre-Dame che conosciamo non è l’originale capolavoro medievale, ma molto più la rappresentazione di come l’ottocento immaginava le cattedrali medievali.
Ma ciò che, proprio per questi stessi motivi e per questa sua storia del tutto particolare, pochi hanno invece pensato di sottolineare, è che la Notre-Dame che tutti conosciamo non è soltanto la grande cattedrale descritta e raccontata dal grande scrittore, ma è proprio la sua cattedrale, quella di Victor Hugo, ricostruita il più fedelmente possibile a come lui ce l’ha voluta raccontare.
Se non è l’unico caso di luoghi che prendono (o riprendono) vita a partire dalle pagine di grandi scrittori, lo è senz’altro per l’enormità delle sue dimensioni, per l’epoca in cui avvenne e per la spettacolarità del risultato. Si tratta di letteratura, di grande letteratura, materializzata in un capolavoro architettonico grazie al lavoro di migliaia di artisti ed artigiani. Come se dalle pagine di Melville prendesse vita negli oceani una vera balena bianca gigantesca, viva, piena di cicatrici, e che nonostante gli attacchi forsennati di Achab, anche ferita fino all’inverosimile, restasse viva e implacabile continuando a sfrecciare fra le onde.
Perché Moby Dick è immortale.
E lo è anche Notre-Dame.

Alessandro Borgogno

Victor Hugo (Besançon26 febbraio 1802 – Parigi22 maggio 1885)
Notre-Dame de Paris  (prima edizione 1831)
Cattedrale di Notre-Dame de Paris

ALESSANDRO BORGOGNO
Vivo e lavoro a Roma, dove sono nato il 5 dicembre del 1965. Il mio percorso formativo è alquanto tortuoso: ho frequentato il liceo artistico e poi la facoltà di scienze biologiche, ho conseguito poi attestati professionali come programmatore e come fotoreporter. Lavoro in un’azienda di informatica e consulenza come Project Manager. Dal padre veneto ho ereditato la riservatezza e la sincerità delle genti dolomitiche e dalla madre lo spirito partigiano della resistenza e la cultura millenaria e il cosmopolitismo della città eterna. Ho molte passioni: l’arte, la natura, i viaggi, la storia, la musica, il cinema, la fotografia, la scrittura. Ho pubblicato molti racconti e alcuni libri, fra i quali “Il Genio e L’Architetto” (dedicato a Bernini e Borromini) e “Mi fai Specie” (dialoghi evoluzionistici su quanto gli uomini avrebbero da imparare dagli animali) con L’Erudita Editrice e Manifesto Libri. Collaboro con diversi blog di viaggi, fotografia e argomenti vari. Le mie foto hanno vinto più di un concorso e sono state pubblicate su testate e network nazionali ed anche esposte al MACRO di Roma. Anche alcuni miei cortometraggi sono stati selezionati e proiettati in festival cinematografici e concorsi. Cerco spesso di mettere tutte queste cose insieme, e magari qualche volta esagero.




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