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La regina cattiva del Duomo di Naumburg

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Non c’è dubbio che i film animati, in particolare quelli storici della Disney, siano da considerare al pari livello di qualunque opera cinematografica, e spesso meritando la qualifica di autentiche opere d’arte.
Il lavoro che c’è quasi sempre dietro un’opera di quel genere è un lavoro meticoloso, attento a tutti gli aspetti creativi, storici, iconografici e psicologici con una profondità e uno studio che a volte superano quelli dei film “tradizionali”. Del resto basti pensare che in un film normale un ciack venuto male si può sempre rifare, e una buona idea può anche essere improvvisata su un set, ma quando dietro ad una semplice espressione di un viso ci sono migliaia e migliaia di disegni (prima dell’avvento della computer grafica fatti a mano uno per uno!) si capisce che ben poco può essere lasciato al caso.
Fra le tante sorprese che molti capolavori di animazione nascondono, forse una delle più intriganti la riserva proprio il prototipo di questo genere di arte, quel “Biancaneve e i sette nani” che nel lontano 1937, primo lungometraggio d’animazione della storia del cinema, sconvolse il mondo della cinematografia per la perfezione della tecnica, la ciclopicità dell’impresa produttiva, la bellezza della sua estetica e la capacità narrativa espressa, in fondo, con soli fogli di carta disegnati e colorati.
Sappiamo bene quanto qualunque storia partorita dalla mente, e poi dagli studios, di Walt Disney mettesse particolare attenzione alla figura del cattivo (il “villain”). Come diceva anche il maestro Hitchcock, “più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film”. E l’archetipo del cattivo Disney nasce proprio col suo primo titanico capolavoro: è la regina Grimhilde, la regina cattiva, appunto.
Ciò che probabilmente meno si conosce è l’origine iconografica di questa elegante e perfida figura che ha segnato l’immaginario di intere generazioni di bambini e ragazzi (e in fondo anche di adulti). Per trovarla occorre spingersi fino nella profonda Germania centro-orientale, a Naumburg, e visitare il suo splendido duomo medioevale.
A ridosso dell’abside, addossate alle colonne e sovrastate da elaborati baldacchini, ci sono alcune statue raffiguranti importanti personaggi dell’epoca. Fra queste, c’è una magnifica statua in pietra, risalente al 1250 e realizzata da un anonimo maestro di Naumburg, che riproduce le fattezze di Uta degli Askani di Ballenstedt, moglie di Ekkehard II di Messein.
Basta uno sguardo, neanche troppo attento, per non avere alcun dubbio: è la Regina Cattiva di Biancaneve!
In epoca molto ante-internet tali immagini non capitavano certo facilmente sotto gli occhi di tutti, ma è anche vero che la statua, indubbiamente di notevole bellezza, compariva già in diverse pubblicazioni riguardanti l’arte medievale tedesca. Da aggiungere poi che negli anni immediatamente precedenti alla realizzazione del film, l’immagine di Uta di Naumburg aveva assunto già una sua iconica importanza nella sempre attentissima valorizzazione che il nazismo faceva dei riferimenti storici germanici. E qui inevitabilmente ci viene in mente che da molte fonti possiamo trovare riportato come “Biancaneve e i sette nani” fosse un film particolarmente amato da Goebbels.
Pubblicamente però, il film in Germania ebbe tutt’altra fortuna. Alla sua uscita europea, nel 1938, il Terzo Reich si era ormai manifestato in tutta la sua pericolosità (la Germania Nazista si era appena “annessa” l’Austria), e la gran parte dei critici tedeschi che videro il film a Venezia, spesso mascherando le critiche dietro questioni tecniche e artistiche, in realtà deplorarono in modo più o meno esplicito la scelta di utilizzare come simbolo della malvagità proprio una delle icone “positive” dell’arte germanica, tra l’altro utilizzata più volte dalla stessa propaganda nazista come esempio dell’arte classica teutonica da contrapporre alle “degenerazioni” dell’espressionismo e del surrealismo.
L’apprezzamento di Goebbels per la pellicola fu quindi privato, e annotato in alcuni appunti personali. In pubblico si tentò in vario modo di boicottare il film, anche se alla fine perfino il Reich dovette fare buon viso a cattivo gioco, data la clamorosa fama che “Biancaneve e i sette nani” aveva nel frattempo conquistato in tutto il mondo. Di certo, più o meno volontario che fosse, quello di Disney venne senz’altro vissuto come un vero colpo basso, un perfido e sottile “attacco alla intera politica culturale del Terzo Reich”.
La storia di come effettivamente Disney sia arrivato alla decisione di utilizzare la magnifica figura di Uta per il suo primo e inimitabile “villain” è lunga, tortuosa e affascinante. Coinvolge personaggi fra i più vari e insospettabili come Marlene Dietrich e il futuro regista disneyano Wolfgang Reithermann (che alla morte del genio Walt ne raccoglierà lo scettro dirigendo direttamente molti classici fra cui “la bella addormentata nel bosco”, “la carica dei 101”, “il libro della giungla” fino a “le avventure di Bianca e Bernie”) che proprio dalla Germania era giunto negli anni venti a Los Angeles. Troppo lunga per essere condensata qui, ma per chi è interessato segnaliamo in fondo all’articolo un libro che la ripercorre in modo dettagliato (e piacevole, che non è poco).
Qui resta solo da aggiungere che, al di là dei riscontri storici, molti altri indizi puramente cinematografici possono comunque rafforzare l’attenzione e il forte interesse per l’arte e la cultura tedesca degli artisti Disney che lavorarono al capolavoro. Fra tanti ci piace ricordare come la terribile scena della trasformazione della regina in strega (che probabilmente ha segnato le notti di molti bambini dell’epoca e di quelle successive) deve davvero molto all’espressionismo tedesco di pellicole storiche come “il gabinetto del dottor Caligari” o “il testamento del dotto Mabuse”, come pure al “Nosferatu” di Murnau. E considerando come il Reich considerasse “degenerate” tali correnti artistiche, forse anche questa scelta non fu totalmente casuale.
Per noi, al di là della curiosità (e della bellezza storica e artistica della statua in questione), questa storia non fa che confermarci la necessità di guardare sempre con attenzione, curiosità e predisposizione alla scoperta qualunque cosa ci si ponga davanti agli occhi. Anche un “semplice” cartone animato.

Alessandro Borgogno

Approfondimenti: Stefano Poggi “La vera storia della Regina di Biancaneve, dalla Selva Turingia a Hollywood” – Raffaello Cortina Editore (http://www.raffaellocortina.it/scheda-libro/poggi-stefano/la-vera-storia-della-regina-di-biancaneve-dalla-selva-turingia-a-hollywood-9788860301444-1172.html)

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