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Giovane donna Blackfoot (indigenous picture) |
Quello che segue è il resoconto, dimenticato tra le pieghe della Storia, dell’inutile eccidio di 217 vecchi, donne e bambini indiani lungo il Marias River, in Montana, nel 1870. Quella parte di frontiera, all’epoca dei fatti, era molto sensibile sotto il profilo dell’Ordine Pubblico: i crescenti stanziamenti di coloni, in gran parte allevatori di bestiame e minatori, erano continuamente osteggiati dalle tribù di Piegan, Blood e Blackfeet (poi riunitesi nell’unica confederazione Blackfeet), bellicose e poco disposte ad accettare la continua invasione di bianchi nei territori loro assegnati dai trattati di Fort Laramie (1851) e di Lame Bull (1855). Lo scontro tra le due culture era ormai in atto da tempo: gli Stati Uniti si espandevano verso ovest sradicando le popolazioni che invece volevano mantenere integra la loro casa ancestrale. In quel clima precario si muoveva molto bene un ricco e noto allevatore di bestiame di Helena, tale Malcolm Clarke. Ex cadetto espulso da West Point per indisciplina, Clarke aveva maturato un’ottima conoscenza delle locali tribù Piegans, dalle quali era temuto e rispettato, avendo peraltro sposato la figlia adolescente di un Capo Tribù “Cutting Head Woman”, dalla quale aveva avuto 4 figli. Nella primavera del 1867 dal ranch dei Clarke furono rubati diversi cavalli, alcuni appartenenti ad un cugino indiano della moglie, Pete Owl Child. Mentre le bestie ferrate di Clarke furono ben presto ritrovate, dei mustangs indiani nessuna traccia per cui Owl Child, infuriato, pensò bene di trattenere per sé i cavalli di Clarke, sottraendogli anche un telescopio. Il commerciante, accortosi del nuovo furto, inseguì e raggiunse rabbioso il cugino che era riparato nell’accampamento di “Mountain Chief” - un Capo Piegan da sempre ostile ai bianchi - riprendendosi cavalli e telescopio solo dopo aver frustato, picchiato ed umiliato il giovane parente davanti a tutti i membri della tribù. La questione sembrò a tutti una banale lite familiare ma, evidentemente, Owl Child non dimenticò l’affronto e, il 17 agosto di 2 anni dopo, si ripresentò con alcuni giovani guerrieri presso il ranch dei Clarke ove, dopo essersi fatto invitare a cena dalla famiglia della cugina, consumò la vendetta a lungo covata: Malcolm Clarke fu ucciso con un colpo d’ascia in testa, mentre il primogenito 15enne Horace rimase ferito gravemente da una fucilata al volto che lo sfigurò permanentemente. Il ranch fu saccheggiato e semi distrutto ma nessuno toccò la giovane moglie indiana ed i 3 figli piccoli. In verità esiste anche un’altra versione meno accreditata sui motivi dell’omicidio (sostenuta da Carol Murray, rappresentante del “Blackfeet Community College” e da lei asseritamente acquisita da alcune memorie orali della tribù) secondo la quale Clarke violentò una giovane moglie di Owl Child che, nella stessa estate del 1869, partorì un neonato biondo e occhi azzurri.
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Tre Capi Piegans (History Bytez) |
Qualunque fosse il vero motivo del rancore, l’omicidio non fu interpretato come una faida familiare bensì come il preludio ad una nuova rivolta indiana. La tremenda guerra dei Sioux di Nuvola Rossa sul vicino Bozeman Trail era infatti appena conclusa e le comunità di coloni erano terrorizzate, temendo nuovi assalti e nuovi massacri: se Clarke, che “era più amico degli indiani che dei bianchi” aveva fatto quella fine, nessuno poteva considerarsi al sicuro. La tensione era palpabile nonostante il Sovrintendente agli Affari Indiani per il Montana Gen. Alfred Sully e l’Agente Indiano dei Piegans Ten. William Pease, entrambi decisi a minimizzare i fatti per raffreddare gli animi, si fossero rivolti ai locali Capi Tribù patteggiando la consegna di Owl Child e dei 5 indiani riconosciuti dalla vedova Clarke. Le notizie dal Montana nel frattempo giunsero a Chicago, sul tavolo del Generale Philip Sheridan, Comandante del Dipartimento Militare del Missouri, da sempre fautore di una politica aggressiva verso i nativi, il quale diede subito credito alle voci allarmistiche autorizzando la rappresaglia contro la banda di “MountainChief”, colpevole di proteggere gli assassini di Clarke; l’azione militare oltre ad alleggerire le isterie dei coloni doveva essere un chiaro monito per le tribù dell’area.
All’alba del 6 gennaio 1870 lo Squadrone composto da 4 Compagnie del 2° Reggimento Cavalleria lasciò Fort Ellis diretto a nord, poi rinforzato da altre 2 unità di fanteria provenienti da Fort Shaw (in totale circa 380 soldati). La spedizione militare avanzava nella neve alta al comando del Ten. Col. Eugene Baker, un ufficiale 32enne che dopo West Point aveva visto naufragare le premesse di una brillante carriera, prima nella spietata realtà della Guerra di Secessione, poi nel consumo smodato di alcool, lassù, confinato in una guarnigione sperduta tra i ghiacci del Montana. Il gelo quella mattina era terribile, la temperatura sfiorava i 40 gradi sotto lo zero ed i soldati, più impegnati a sopravvivere all’ipotermia che a cercare gli assassini di Clarke, indossavano pelli di bisonte e coperte sopra le uniformi di lana. Un militare, anni dopo, dichiarò: “sembravamo più un gruppo di eschimesi che soldati dell’Esercito degli Stati Uniti”. Le guide erano Joe Kipp, ventenne mezzo sangue Mandan e ottimo esperto del territorio, Joe Cobell, un cacciatore di pelli di origini italiane nativo di Bardonecchia (TO) eccellente tiratore che aveva sposato la sorella del capo Mountain Chief (la sua presenza suscitò non poche perplessità) nonché Horace Clarke, il figlio sfigurato del commerciante di Helena, ansioso di fare giustizia dei torti subiti. Baker si fidava poco delle guide mezze indiane, ma d’altra parte Joe kipp aveva avvistato giorni prima l’accampamento di “Mountain Chief” presso il Big Bend, la grande ansa del Marias River, a nord-est del fiume Teton, in direzione della Medicine Line e del confine Canadese.
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Ten. Col. baker a Fort Ellis (Bozeman Daily Chronicle) |
Il 22 gennaio i soldati raggiunsero il Dry Fork del Marias River, non lontani dal villaggio indiano, dove si accamparono preparando l’attacco per l’alba del giorno seguente. L’ordine di Baker era di non accendere fuochi per non allertare gli ostili, quindi i patimenti per il gelo arrivarono al culmine: nessuna possibilità di riscaldarsi, l’unico mezzo per sopravvivere era consumare alcool. In quantità. All’alba del 23 gennaio, mentre Baker che aveva passato ore ad ubriacarsi predisponeva gli uomini sulle rocce attorno al villaggio, lo scout Joe Kipp si spinse in ricognizione vicino alle prime tende indiane, da dove però si accorse con sgomento che i disegni dipinti sulle pelli di bisonte dei tepee non corrispondevano alla banda di “Mountain Chief” bensì al gruppo dei pacifici Blackfeet di “Heavy Runner”,un capo amico del Generale Sully. Si trattava di un “campo di malattia” dal quale i guerrieri erano momentaneamente lontani per la caccia al bisonte e dove la maggior parte dei presenti erano anziani, donne e bambini, molti dei quali debilitati per l’epidemia di vaiolo in corso. Kipp corse immediatamente da Baker gridando di sospendere l’azione perché era il campo sbagliato, ma l’Ufficiale per tutta risposta lo zittì immediatamente, facendolo mettere sotto sorveglianza e minacciandolo di morte se avesse continuato ad urlare. L’ordine fu dato alle 08.00 e l’azione di fucileria ebbe inizio. Il Capo “Heavy Runner” corse fuori dalla tenda verso i soldati agitando il salvacondotto rilasciatogli dal Generale Sully: una fucilata e si accasciò al suolo senza vita. Nelle inchieste successive emerse che a sparare quel colpo fu probabilmente Joe Cobell, lo scout italiano, accusato di aver voluto così scatenare l’attacco per dare il tempo alla banda del cognato “Mountain Chief”, che era accampata poco lontano, di guadagnare il confine canadese. I sospetti non furono mai provati. Per circa un’ora i soldati mezzi ubriachi scaricarono i loro fucili Springfield e Sharp sulle tende crivellandole di colpi, senza subire alcun fuoco di ritorno. La scena fu descritta come un’orgia impazzita senza senso. L’intensa ed incessante sparatoria spezzò diversi pali che reggevano le tende facendole crollare sui focolari accesi all’interno, incendiandole e bruciando vive le persone intrappolate sotto le pelli. Dopo un’ora Baker fece irrompere la cavalleria nel villaggio per finire l’opera a colpi di sciabola e con i revolver. Verso le ore 11.00 lo scempio si concluse ed i prigionieri vennero accalcati al centro del villaggio, i fanti passarono tra le tende giustiziando i feriti agonizzanti. Baker, quando venne informato che nel campo c’era il vaiolo, diede ordine di bruciare tutto e di abbandonare i 140 sopravvissuti, in prevalenza donne e bambini, nel gelo e nella neve, senza coperte e senza provviste.
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Famiglia Piegan (Wikipedia) |
Il tardivo rapporto di Baker - più volte corretto e addomesticato – redatto solamente dopo le insistenze di Sully e Pease che sollecitarono a Washington un’indagine pubblica, parlava di circa 120 guerrieri uccisi (a fronte di un solo soldato di 24 anni morto e di un altro ferito ad una gamba perché caduto da cavallo!) ma le successive inchieste, ritenendo inverosimile tale versione, accertarono che gli indiani trucidati nel villaggio furono almeno 217, tra cui meno di 30 guerrieri abili, circa 50 vecchi, 90 donne e 50 bambini, compresi diversi neonati. Dei 140 prigionieri abbandonati nel gelo, meno di 50 riuscirono a raggiungere Fort Benton, distante 90 miglia, mentre la maggior parte perirono congelati nella neve. Ben presto la voce si sparse tra le Riserve delle Grandi Pianure, alcune delle quali vennero date alle fiamme in segno di protesta ed i funzionari governativi scacciati. Si parlava ancora di ribellione ed il Paese si scoprì spaccato in due: per la gente del Montana Baker era un eroe che si era prodigato per stroncare sul nascere una pericolosa rivolta indiana, mentre nei giornali dell’Est esplose l’indignazione. A marzo il “New York Evening Post” scrisse: "esprimiamo il nostro orrore assoluto per il massacro a freddo di 90 donne e 50 bambini piccoli perpetrato pochi giorni fa dai soldati statunitensi in Montana”, mentre il “Chicago Tribune” definì con titoli cubitali l’evento come “una disgustosa macelleria”, l’opinione pubblica si sentiva oltraggiata dai resoconti dei testimoni. Il tenente Gus Doane, Comandante della Compagnia F agli ordini di Baker, 19 anni dopo definì quella spedizione:"la più grande carneficina di indiani, mai compiuta dalle truppe statunitensi". I vertici militari tuttavia si impegnarono fermamente con il Governo per chiudere la storia nel più breve tempo possibile, sposando in pieno le dichiarazioni del Ten. Col. Baker che illustravano una eroica battaglia sul Marias River e definendo pura illazione ogni interpretazione diversa. Il Generale Sherman, Comandante in Capo dell’Esercito degli Stati Uniti, scrisse: “preferisco credere che la maggioranza di coloro che sono stati uccisi nel campo fossero guerrieri di Chief Mountain”. Qualsiasi prova o testimonianza contraria a tale versione dei fatti fu insabbiata, nessuno verificò chi e quanti fossero i corpi congelati sul fiume Marias, nessuna conseguenza per i responsabili dell’eccidio. Un’unica parola d’ordine “normalizzare il Montana”. Nel frattempo arrivò la guerra con i Sioux nelle Black Hills (1874), l’opinione pubblica si concentrò sulla sconfitta di Custer a Little Bighorn (1876), i protagonisti di quella vicenda poco per volta uscirono di scena: Pete Owl Child poche settimane dopo fu decapitato da alcuni capi Piegans che ne consegnarono la testa alle Autorità in segno di buona fede; Mountain Chief fu ucciso 2 anni dopo in Canada mentre cercava di sedare una lite tra due Piegans, il Ten. Col. Baker continuò la sua discesa irrefrenabile nel baratro dell’alcoolismo morendo di cirrosi epatica anni dopo. Le tribù Blackfeet, decimate dalle malattie, non riuscirono più a reagire in maniera consistente alla colonizzazione.
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New York Times 23 febbraio 1870 (Rare & Early Newspaper) |
Le nebbie del tempo iniziarono a diradarsi solo un secolo più tardi, grazie allo scrittore e studioso della cultura Blackfoot James Welch (1940-2003) ed al suo romanzo “Fools Crow” scritto nel 1986 nel quale, tra storie orali e familiari, egli inserì i ricordi di sua nonna sopravvissuta al massacro del Marias River (ispirando le successive ricerche di giornalisti come Stan Gibson e Jack Hayne che passarono mesi a documentare la ricostruzione dell’eccidio, tra archivi militari e articoli di stampa dell’epoca). Per la prima volta gli studenti universitari della Riserva Blackfeet del Montana venivano a conoscenza di quei tragici giorni del 1870 e potevano leggere le terribili testimonianze ormai dimenticate. Eccone alcune:
1913, 43 anni dopo i fatti “Buffalo Trail Woman”, donna sopravvissuta al massacro, in una dichiarazione sotto giuramento ad una Commissione d’indagine Blackfoot:“avevo 22 anni, mi svegliai e mi accorsi del fuoco attorno a me. Come in un sogno vidi un lampo, fui colpita al dorso e all’orecchio sinistro – ancora oggi porto le cicatrici – accanto a me mio marito Gufo Giallo era appena stato ucciso ... un vecchio si contorceva tra le coperte incendiate... vidi alcuni soldati uccidere i prigionieri raggruppati in cerchio mentre altri bianchi cercavano invece di proteggerli e calmarli dando loro del cibo …corsi fuori insieme ad un’altra donna della tribù “Gros Ventre” per cercare la mia bambina e scoprii che era stata uccisa … uno scout vedendomi urlare mi disse di scappare … da lontano, mentre fuggivo nella neve, vedevo il fumo, le tende capovolte e incendiate”.
1932, 62 anni dopo i fatti “Spear Woman”, figlia del Capo Heavy Runner, in un’intervista al “Billings Gazette” :“ero una bambina, qualcuno avvisò mio padre dell’arrivo di molti soldati … lui disse a tutti che non c’era nulla da temere … camminò tranquillamente verso di loro con le braccia alzate e stringendo in mano la carta della sicurezza. Un colpo lo colpì al cuore ...scappai in una tenda e mi nascosi dietro al giaciglio di mio nonno malato. Un soldato entrò tagliando la tenda con un coltello, sparò fino ad uccidere tutti, dopo di che uscì senza vedermi ... sentivo gli spari, le urla, i pianti fino a quando il rumore cessò … all’esterno tutto era immobile, solo odore di fumo.Urlai forte … un mio vecchio zio e una donna con un bambino mi videro e con loro seguii le tracce di alcuni cavalli nella neve profonda, verso Fort Benton ... sopravvissi perché trovai alcune razioni di cibo abbandonate nella neve dai soldati."
1935, 65 anni dopo i fatti lo scrittore JW Schultz raccolse la testimonianza del vecchio Bear Head: “ero un ragazzino e mi trovavo con altri coetanei fuori dal villaggio per recuperare alcuni cavalli visto che i guerrieri erano a caccia … fui catturato dai soldati che stavano attaccando il villaggio … il loro capo gridò qualcosa e tutti cominciarono a sparare sulle tende ... sentivo le urla delle donne e dei bambini, mentre morivano, le donne che cercavano la fuga venivano abbattute …. I soldati quindi avanzarono verso le tende, tagliarono i legacci dei pali incendiandole, vidi la tenda di mia madre bruciare con dentro lei, le mie zie e le mie sorelle … i soldati giravano fra le tende fumanti e ridevano, mi accasciai a terra e mi sentii male.”
Da circa 20 anni a questa parte, ogni 23 gennaio, alcuni studenti delle facoltà del “Blackfeet Community College” appartenenti all’antica tribù dei Piegan e provenienti per lo più dalla cittadina di Browning nel Montana, si riuniscono in cerchio tra le rocce che si affacciano sulla grande ansa del fiume Marias, sul lato orientale del Glacier National Park. Con preghiere e canti funebri onorano 217 tra vecchi, donne e bambini che ancora oggi riposano in qualche punto della valle, poco lontano dal luogo della cerimonia. Lea Withford, Presidentessa del Dipartimento dei Blackfeet ha dichiarato che le autorità tribali della Riserva hanno autorizzato in quell’area solo l’affissione di un segnale storico da parte dell’Agenzia dei Trasporti del Montana. Nessuno scavo, nessun monumento, nessun riconoscimento o risarcimento tardivo potrà più essere concesso, il Marias River dovrà restare per sempre il terreno sacro del popolo Blackfeet.
"… feci irruzione in una tenda, una giovane squaw stava allattando il suo bambino, mi scongiurò terrorizzata di lasciare che il neonato ricevesse il suo seno prima di ucciderla, mi porse il neonato pregandomi di lasciare in vita almeno lui ... la ignorai allontanandomi. Più tardi passai di nuovo e vidi i corpi morti sia della madre che del figlio …" (Tom Le Forge, miliziano al seguito delle truppe - di Stan Gibson & Jack Hayne)
Sergio Amendolia
Bibliografia:
James Welch: Fools Crow – estratti web dal cap. 35;
Dee Brown: Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, cap. VIII ;
Sitografia:
www.dickshovel.com (Witnesses to carnage – the 1870 Marias massacre in Montana –by Stan Gibson & Jack Hayne)