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Channel: I Viaggiatori Ignoranti
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Il villaggio sommerso dall'acqua

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Valle Formazza, bella selvaggia e incontaminata.
Ogni volta che ci vado il mio spirito si rigenera, mi ubriaco di libertà.
Ciascuna stagione ha una sua caratteristica e, per me, qui, più che in altre delle nostre bellissime valli, la natura ci permette di ammirare la sua bellezza, con fiori dai mille colori, animali selvaggi, aria frizzante, torrenti, cascate e laghi a perdita d’occhio.
Il cielo è lì, a portata di mano.
Per noi Ossolani, orgogliosi delle nostre radici, della nostra appartenenza alla montagna, questa valle è un fiore all’occhiello, un luogo ancora lontano da tutto, dove la natura ha la meglio sull’uomo, che spesso incredulo assiste al suo spettacolo di forza e di bellezza.
La Valle Formazza è ricca di laghi, naturali e artificiali. Alcuni di questi, nascondono sotto le loro limpide acque interi abitati, che un tempo non molto lontano da noi erano centro di vita.
Il Lago di Morasco fino agli inizi del secolo scorso non esisteva. Al suo posto vi era una piana, descritta da chi ebbe la fortuna di averla vista, come un luogo bellissimo e pieno di fiori colorati, dove i pascoli ospitavano libere e scampanellanti mucche, capre e pecore. Nel mezzo della valle sorgeva l’abitato di Morasco, Moraschg in Walser, poco più di 20 case in sasso e legno.
Il progresso e la civilizzazione hanno portato alla costruzione nella nostra vallata di numerose dighe, che hanno regolato il flusso impetuoso di moti torrenti.
Questa è anche la storia del torrente Gries, che nella piana di Morasco tagliava in due i pascoli.
Sulla sua impetuosità sono state raccontate molte storie. Si diceva che pochi avessero il coraggio di attraversarlo, percorrendo un ponticello in legno che collegava le due sponde. Perfino le vipere, nascoste nelle gerle di fieno scappavano giunte alla vista delle acque tumultuose.
Nel 1940 il Gries viene imprigionato da una possente costruzione, una diga a gravità in calcestruzzo, lunga 565 metri e alta 54,77 metri. Nacque così il lago di Morasco, dentro quella che era un’antica conca glaciale allo sbocco della valle del Gries, affluente della Toce.
A realizzare la mastodontica opera fu la ditta Umberto Girola su incarico di Edison. Negli stessi anni fu costruita anche la diga di Agaro, di cui ci occuperemo in modo particolare.
Situata a 1850 mt di altezza, lo sbarramento regola ancora oggi l’afflusso delle acque all’imponente cascata della Frua, per noi Ossolani cascata della Toce, la più alta d’Europa con i suoi 143 mt di puro spettacolo. Il lago che si venne a formare, ha una capacità di circa 19 milioni di m³ d’acqua.
I lavori iniziano nel 1936 su progetto degli Ingegneri Piero Marinoni e Claudio Marcello.
Terminarono, non senza incidenti e sacrifici umani, nel 1940.
Tramite una galleria lunga 6 km, la diga di Morasco, insieme a quella del Toggia, alimenta la centrale di Ponte, costruita fra il 1929 e il 1932.
Per completare questa importante opera, dal nulla sono state costruite strade per accedere alla piana, baracche per uffici, magazzini, dormitori, mense, un vero e proprio villaggio edificato sul promontorio che sovrastava il piccolo abitato di Morasco, ritenuto sacrificabile in nome del progresso.
La diga di Morasco era considerata la più importante della Val Formazza. La sua costruzione rappresentò una tappa significativa nell’evoluzione della preparazione e distribuzione del calcestruzzo. Le caratteristiche morfologiche del territorio spinsero gli uomini impegnati nell’opera a superare molti limiti naturali. Tra questi il reperimento dei materiali fu certamente di considerevole rilevanza.
1200 operai si impegnarono senza sosta per avere ragione sul territorio e sulla natura selvaggia.
Il cantiere funzionava solo per 4 mesi all’anno, a causa delle avverse condizioni climatiche e delle abbondanti nevicate. Inoltre, nelle zone limitrofe, non si reperirono sabbia e ghiaia idonee da impiegare nella costruzione. Solo a 3 km di distanza fu rinvenuta la pietra adatta per produrre gli aggregati necessari, che furono presi dalla cava del Furkulti.
Questo ulteriore problema, costrinse gli Ingegneri a progettare e costruire una ferrovia di servizio che collegasse la cava all’impianto di frantumazione.
Da qui, dopo una prima lavorazione, il derivato veniva convogliato con altri vagoncini verso un secondo impianto, dove veniva poi ulteriormente frantumato fino ad ottenere gli inerti della dimensione necessaria da miscelare con il cemento.
Quest’ultimo proveniva ogni giorno da Domodossola, percorrendo a mezzo camion circa 50 km, per poi essere caricato su teleferiche coperte per l’ultimo tratto in salita, fino ai sili di contenimento.
Il trasporto e la posa in opera del calcestruzzo sono stati effettuati con sistemi diversi per le due parti dello sbarramento.
Fu previsto l’impiego in totale di 250.000 m³ di calcestruzzo per realizzare la diga.
La messa in opera fu studiata e realizzata con un sistema preciso e innovativo di carrucole, ponteggi e gru, che fece scuola per le costruzioni successive.
Per consentire agli operai specializzati di lavorare all’asciutto, all’inizio dei lavori fu realizzata anche una piccola diga di ritenuta e derivazione, iniziata nel giugno 1936 e completata nel 1939.
Da subito fu possibile sfruttare le acque del Gries per azionare le turbine e risparmiare carbone. L’acqua defluente era convogliata verso valle, con un salto di circa 500 mt fino alla centrale di Ponte, già in funzione.
Le grandi lavori della ditta Girola non si conclusero qui.
Nel 1953 fu ultimata l’imponente diga del Sabbione, posta più in alto rispetto a quella di Morasco, con un invaso artificiale di 26.000.000 di m3 d’acqua, il più grande del Piemonte e secondo di tutto l’arco Alpino.
Le sue acque cristalline alimentano la centrale di Morasco, costruita interamente in galleria e terminata nel 1957. Nello stesso anno la diga fu ampliata.
Tutte queste grandi opere hanno contribuito a cambiare sensibilmente il paesaggio delle nostre valli. Sta a ciascuno di noi decidere se in meglio o in peggio.
Io personalmente ritengo che la Valle Formazza sia un gioiello della natura.
Sentire fischiare le marmotte mentre cammino, vedere le orme degli stambecchi, alzare gli occhi e ammirare i rapaci che volano sospesi nel blu, mi riempie il cuore di vita.
L’ebrezza della natura non mi lascia per giorni, la nostalgia torna spesso.
Vorrei che tutti ci impegnassimo per mantenere questi luoghi, come molti altri vicini a noi, intatti.
Sono la nostra eredità migliore alle generazioni future.
I sacrifici fatti per vivere in questi territori sono stati tanti. Molti uomini sono morti.
Ma il nostro ricordo deve andare anche a chi ha perso le proprie radici, sommerse da milioni di m3 di gelida e limpida acqua. Anche Morasco fa parte di questo elenco di luoghi, dove qualcuno per lungo tempo ha guardando il lago cristallino e ha pensato con malinconia, la sotto c’è la mia casa.
La Chiesetta di Riale è a eterno ricordo di quei sacrifici.

Rosella Reali





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