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Romanzo epistolare: lettera del 23 aprile 1903

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Milano, 23 aprile 1903

Sono trascorsi troppi anni, da quella tua ultima lettera.
Troppo tempo che segna la tua assenza nella mia ormai vecchiaia che si tende stanca al nuovo secolo, tremante come queste mie povere mani, da nuove tensioni nazionali.
Mio fedele amico, quanti eventi della mia vita, hanno patito del sordo vuoto della tua mancanza, ma con il senno che il tempo cortese dona, ho recepito la meraviglia di una fratellanza e amicizia così pura da risultar straniera e rara fra gli uomini, o si fra tutte le persone che sono scese ed eclissate in questa mia esistenza, nessuna ha mai superato la tua fine sensibilità, il tuo senso al dovere, il tuo eroismo, il tuo altruismo. Siedo qui ora in giardino, sul tuo dondolo, dove tu spesso ti recavi per scrivermi o pensare, il lago oggi sa di buono. Sa di te. Candidi cigni oscillano sulle sue immote acque, illuminati da teneri raggi, nessuna fretta freme nei loro cuori, il tempo è invenzione umana, che si confonde spesso con mutamento. Il sole sorge forse perché giungono le sei? O quel suo impeto da leggi proprie è governato?.
Quasi gli occhi ardono a quel riflesso, se il cuor non duole, questo paesaggio la corda più armoniosa diviene, ma se il tormento sovviene, aspro e malinconico giunge fino ad ucciderti.
Questa sua armonia musicale, fa dei suoi elementi muti splendidi attori, dove sta nell'interpretazione dello spettatore coglierne le voci e le emozioni che spaziano da gioie immense, ad atroci tormenti, ma non è forse chi possiede entrambe gli estremi, spaziando nel mezzo a posseder la propria anima fino in fondo? Fino a sentirla fiorir e morir incessantemente, e tu, in questo mar, naufragavi dolcemente. La mia Silvia è qui a pochi metri da me, se pur invecchiata, la vita e suoi dispiaceri non hanno segnato la sua ardua corteccia ottimistica, se non con qualche ruga, ma sempre con ottimi frutti, raccoglie quelle deliziose rose che inebriano le stanze di questa casa, spensierata come una giovinetta in balia del primo amor.
Mio figlio Simone, si diletta con questi strani apparecchi fotografici che catturano le immagini, restituendole così perfette come sono su della semplice carta bianca. Se solo tu potessi vedere le automobili mio caro amico, tu che tanto amavi i cavalli.
Quante trasformazioni sono giunte e precipiteranno in questo secolo che accarezzerò ancor per poco.
Ma tutto questo è grazie a te.
Le lacrime mie sgorgano ora, e le lacrime di un vecchio sono le più vere, credimi.
Ripenso sempre a quel pomeriggio, in cui mi salvasti la vita, mi eri sconosciuto, il tuo viso, segnava l'inasprimento che la vita porta, buttandoci giù da quel sonno così dolce e prezioso della fanciullezza, tolti da mani affettuose, per donarci in mano alla guerra, quell'acuto strillo che non dovrà mai essere dimenticato, ed ogni italiano dovrà ricordarsene, per rendere questo paese libero, lontano dall'ignoranza, dalla corruzione e dal fanatismo, e forse un giorno lontano una splendida democrazia, fondata sul potere del popolo diverrà.
Perdona le fantasie di un vecchio romantico, che va incontro alla morte, su di un antico sentiero ove sotto quel maestoso tiglio avverrà l'incontro.
Ed io scorgo già il suo volto all'ombra di quei rami.
É quasi l'ora di pranzo, concludo.
Ho voluto raccogliere tutte le tue lettere inviatemi in quel periodo, come testimonianza della tua venuta, del tuo amore e di quel profondo sentimento che mostravi in ogni tuo gesto e parola.
Spero sia d'esempio nei giorni che verranno, per comprendere ciò che l'amore sia, per afferrare il senso più devoto di amicizia, fedeltà e coraggio, doti sempre più rare e fragili nella nostra specie, sempre più corrotta, falsa ed egoista.
Grazie mio eterno amico.
Grazie davvero per aver condiviso parte della tua vita con la mia.
Sotto quel tiglio prego di incontrarti in quell'estremo mio giorno, quando essa verrà a prendermi.
Tuo per sempre compagno e fratello.

Edoardo Crespi



Simone De Bernardin 

Primo articolo estratto dal romanzo epistolare Lettere.




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