I documenti che parlano dei due santi, San Giulio e San Giuliano, non sono molto antichi e la loro storia non è molto chiara.
Esiste una Vita dei due santi che il Savio stimava antica e degna di riguardo, mentre il Lanzoni la giudicava piena di parecchie esagerazioni e leggende.
In realtà essa non è più antica del secolo VIII e contiene notizie piuttosto strane ed inverosimili. Secondo questo scritto, Giulio e Giuliano erano fratelli oriundi della Grecia; educati cristianamente dai genitori, abbracciarono lo stato clericale e Giulio fu ordinato presbitero mentre Giuliano diacono. Stravolti dagli errori diffusi dagli eretici e per sfuggire alle loro persecuzioni, decisero di allontanarsi dalla patria.
In realtà essa non è più antica del secolo VIII e contiene notizie piuttosto strane ed inverosimili. Secondo questo scritto, Giulio e Giuliano erano fratelli oriundi della Grecia; educati cristianamente dai genitori, abbracciarono lo stato clericale e Giulio fu ordinato presbitero mentre Giuliano diacono. Stravolti dagli errori diffusi dagli eretici e per sfuggire alle loro persecuzioni, decisero di allontanarsi dalla patria.
Si recarono allora dall'imperatore Teodosio dal quale ottennero l'autorizzazione a distruggere altari e boschi pagani ed edificare chiese cristiane. Passati poi in Italia dimorarono per un po' di tempo nei pressi di Roma, quindi attraversarono il Lazio per salire nell'Italia settentrionale predicando, convertendo molti alla vera fede e soprattutto edificando un cospicuo numero di chiese, che raggiunsero il numero di cento.
Le due ultime le costruirono nei pressi del lago di Orta e precisamente la novantanovesima a Gozzano, dedicata a san Lorenzo, dove rimase Giuliano che ivi anche morì e vi fu sepolto. L'altra, la centesima, Giulio la costruì sulla piccola isola esistente nel lago, dedicandola agli apostoli Pietro e Paolo e nella quale egli stesso fu poi sepolto.
Avrà, l'autore della Vita scambiato il luogo di sepoltura dei due santi, o essi erano una sola persona chiamata indifferentemente con l'uno e l'altro nome? Il Savio afferma poi che nella diocesi di Milano molte chiese erano dedicate a Giulio ed il suo nome era anche recitato nel canone ambrosiano dei secoli V-VI.
Lanzoni però contesta quest'ultima affermazione e pensa che si trattasse invece, del papa Giulio, poiché quel nome è unito a quelli di altri che si distinsero nella lotta contro gli ariani.
Presumo sia doveroso spendere qualche istante nella lettura dell'arianesimo: importante movimento eretico, che si sviluppò in Oriente nel corso del secolo IV e dalla metà dello stesso secolo coinvolse l'Occidente, protraendosi qui, a causa delle invasioni dei barbari, fino a tutto il secolo VI e oltre, con alterne vicende. Trae nome da Ario, prete di Alessandria d'Egitto, che intorno al 320 diffuse una dottrina trinitaria, secondo la quale Cristo non sarebbe Figlio di Dio in senso proprio - come voleva la tradizione - ma soltanto la più eccellente delle sue creature, definita Figlio solo in senso accomodato, diversa dal Padre per natura e radicalmente a lui inferiore per autorità e dignità. Subito combattuta, questa dottrina fu condannata nel concilio di Nicea del 325 e Ario fu inviato in esilio. Ma il radicalismo di certe affermazioni antiariane del concilio, coniugandosi con motivazioni di carattere politico o anche soltanto personale, favorì una reazione antinicena, di cui si giovarono, morto Ario nel 336, i suoi seguaci, attestati ormai dottrinalmente su una linea molto più cauta rispetto all'insegnamento del maestro.
Gli ariani furono una presenza molto importante nella storia della Chiesa dal secoli IV al VI e come tali, nonostante la damnatio memoriae che fece seguito alla loro emarginazione dalla comunità, hanno lasciato documenti e tracce cospicue in sede letteraria, in ambito sia dottrinale sia esegetico; ma a tutto ciò nulla di certo fa riscontro in sede artistica. Seppure dobbiamo affermare che il culto di san Giulio è abbastanza antico nell'isola del lago di Orta ed è tuttora vivo nella regione circostante, bisogna purtroppo aggiungere che non sappiamo niente di sicuro sulla sua personalità, come su quella del presunto fratello Giuliano. Delle due antiche chiese attribuite ai santi fratelli, oggi non esiste più alcun vestigio e le attuali non sono più antiche del secolo IX. Seguendo la leggenda, intorno al 390 il santo raggiunse l'isola navigando sul proprio mantello e la liberò dai draghi - immagine simbolica della sconfitta del paganesimo -edificando una piccola chiesa, dedicata ai dodici apostoli. Nell'Alto Medioevo la posizione strategica rese l'isola un importante centro difensivo, sede dapprima di un duca longobardo, in seguito munita di un castello appartenente al re d'Italia Berengario II. Il castello pervenne infine di proprietà del vescovo di Novara. Le vicende belliche e le esigenze militari condizionarono lo sviluppo dell'edificio sacro sia con i probabili danneggiamenti subiti nel corso degli assedi, sia per la trasformazione di alcune sue pertinenze. La facciata della chiesa è visibile navigando sul lago o dal piazzale chiuso sul quale essa guarda, e che oggi fa parte del monastero di monache benedettine; essa conserva un aspetto romanico nonostante le modifiche seicentesche che portarono all'edificazione di un pronao sormontato da una grande finestra a serliana.
Il campanile romanico sorge in posizione distaccata dalla chiesa, a ridosso delle absidi; è diviso internamente in sei piani alleggeriti nei due piani più alti dalla presenza, rispettivamente, di una doppia bifora e di una trifora.
Testimonianze artistiche più antiche ancora presenti nell'attuale apparato decorativo sono date dallo stupendo ambone romanico addossato al quarto pilastro sinistro e dagli affreschi posti sulle pareti delle navate laterali e sui pilastri della chiesa, espressioni di devozione popolare che coprono un arco temporale che va dalla seconda metà del XIV ai primi decenni del XVI secolo.
Costruito in serpentino grigio-verde (lucidato assume un aspetto bronzeo) proveniente dalle vicine cave di Oira, si fa risalire agli inizi del XII secolo. Presenta una pianta quadrata con quattro colonne che sorreggono il parapetto che, a sua volta, poggia su di una base ornata di fogli d'acanto. Le quattro colonne sono diverse tra loro, due hanno fusto liscio, le altre presentano ornati in rilievo con motivi ad intreccio; notevoli sono i capitelli a fogliami (o con fogliami e teste di animali). Il parapetto, a forma mistilinea, presenta su ciascuno dei tre lati due parti rettilinee ed una curva, che rendono suggestiva la lettura iconografica delle lastre scolpite di cui si compone.
Leggendo le figure in senso antiorario troviamo: un centauro in atto di scoccare una freccia contro un cervo, aggredito da due fiere, poi le raffigurazioni simboliche dei quattro evangelisti - il bue di Luca, l'uomo alato di Matteo, il leone di Marco, l'aquila di Giovanni - ed infine la rappresentazione di un grifone che azzanna la coda di un coccodrillo. Le due scene di lotta - corrispondenti al gusto dei bestiari medievali - stanno a significare la lotta tra il bene ed il male. Tra il leone di Marco e l'aquila di Giovanni trova curiosamente posto una figura maschile, in posizione ieratica, con il mantello e le mani appoggiate su bastone con l'impugnatura a tau: sulla identità (o significato simbolico) della figura ci si è a lungo interrogati. Un'interpretazione che pare sufficientemente fondata vuole trattarsi della figura di Guglielmo da Volpiano, nato sull'isola e venerato dalla Chiesa come santo.
« La figura umana colpita sull’ambone che, minacciosa e nello stesso tempo distaccata ed assente, assiste immobile al trascorrere dei secoli, è avvolta in un mistero che gli studiosi stanno ancora cercando di svelare [...]. Dopo un attento e approfondito studio della scultura e soprattutto del bastone, mi sono convinta che questa figura rappresenti un abate appoggiato al suo bacolo abbaziale e non so immaginare quale questo abate possa essere se non il grande Guglielmo da Volpiano» [Beatrice Canestro Chiovenda]
« La figura umana colpita sull’ambone che, minacciosa e nello stesso tempo distaccata ed assente, assiste immobile al trascorrere dei secoli, è avvolta in un mistero che gli studiosi stanno ancora cercando di svelare [...]. Dopo un attento e approfondito studio della scultura e soprattutto del bastone, mi sono convinta che questa figura rappresenti un abate appoggiato al suo bacolo abbaziale e non so immaginare quale questo abate possa essere se non il grande Guglielmo da Volpiano» [Beatrice Canestro Chiovenda]
Una successione di affreschi, nati verosimilmente con intenzioni di supplica o di ringraziamento da parte dei committenti, copre buona parte delle pareti delle navate laterali (ove sono visibili anche capitelli relativi al rifacimento del XII secolo) e sui pilastri che sostengono le campate della volta; essi si collocano in un arco temporale che va dalla seconda metà del Trecento alle prime decadi del Cinquecento e, nel loro insieme, offrono una interessante panoramica sui santi maggiormente venerati nella zona.
Fabio Casalini
AA.VV. L'arte romanica in Piemonte, val d'Aosta e Liguria. Edizioni Angolo Manzoni. 2000
Canestro Chiovenda Beatrice, L'isola di San Giulio sul lago d'Orta. Fondazione Monti. 1994
Cattabiani Alfredo, Santi d'Italia. BUR, Biblioteca Universitaria Rizzoli. 1993
Enciclopedia Treccani. L'arianesimo
Filoramo Giovanni e Menozzi Daniele, L'antichità, in storia del Cristianesimo. Laterza, 2010
Guerriero Elio, Il libro dei santi. Come hanno vissuto, cosa hanno detto e come li ricordiamo.
Webografia
Santi e Beati.it
Santi e Beati.it