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I Savoia sul sentiero degli Irochesi

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Coloro che si trovano a passare da piazza Carignano a Torino alzano spesso lo sguardo verso la splendida facciata di mattoni a vista dell’omonimo palazzo di fine ‘600, nel quale nacquero Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II di Savoia, patria del primo Parlamento della Repubblica, oggi sede del museo nazionale del Risorgimento italiano. Solo i più attenti riescono però a scorgere, tra le eleganti linee curve che movimentano la geometria architettonica dell’edificio barocco, alcuni fregi sulle finestre del piano nobile, unici nel loro genere, che sembrano richiamare i copricapi degli indiani d’America. Semplice fantasia? Forse no. Le decorazioni, infatti, potrebbero non essere frutto del caso ma rappresentare invece precisi riferimenti che l’architetto Guarino Guarini, nel 1679, avrebbe ricevuto in commissione da Emanuele Filiberto di Savoia, principe di Carignano, per ricordare la vittoria riportata qualche anno prima dal reggimento dei “Carignano-Salieres” a fianco dei francesi contro le tribù irochesi, durante la colonizzazione del Canada. Un tributo d’onore ad un pezzo di Storia, per molti sconosciuto. Il Régiment Carignan-Salières divenne in effetti un emblema della colonia oltre oceano ed è rimasto ancora oggi un riferimento leggendario nella storia del Québec, che annovera due nomi piemontesi: la cittadina di Carignan ed il Lac Brandis, in ricordo del porta-insegne del reggimento Giovanni Nicolis di Brandizzo. Un dato appare tuttavia rilevante: i copricapi stilizzati con cinque piume ben ritte appartengono al retaggio ottocentesco degli indiani delle praterie e non sembrano affatto di derivazione irochese, i quali invece usavano lunghe e robuste penne d’aquila o di tacchino, in numero variabile da una a tre, fissate al capo o tenute insieme da fasce di materiali diversi assieme ad altri elementi di valore sacro. I guerrieri irochesi della tribù Mohawk, in particolare, che combatterono contro il reggimento italico nel 1666, avevano l’abitudine di rasare un lato della testa oppure tutti i capelli, lasciando crescere solo la parte centrale a cresta. Si potrebbe quindi avanzare l’ipotesi che il Guarini possa avere rielaborato le notizie sugli indiani americani di provenienza gesuitica, probabilmente riferite al modello delle corone di variopinte piume d’ara usate dagli indigeni Tupinamba del Brasile, venuti in quel periodo in massiccio contatto con il potente ordine cattolico. 
Ma cosa sappiamo realmente dell’episodio militare sabaudo che venne ritenuto talmente importante da meritare un tributo di tale portata? Nell’America settentrionale della metà del XVII secolo erano fiorite le colonie della Nuova Francia, della Nuova Inghilterra, della Nuova Olanda e della Nuova Svezia. Tutti tessevano accordi militari e commerciali con le tribù indiane della zona ma i più dinamici ed espansionisti si erano rivelati i francesi, stabilmente insediatisi nella grande valle del San Lorenzo. Erano però contrastati dagli olandesi e dagli inglesi; proprio questi ultimi erano i più temibili poiché più numerosi (circa 20 inglesi per ogni francese) ben organizzati e di fatto padroni della costa orientale. A quell’epoca Emanuele Filiberto, per ingraziarsi il potente alleato re Sole, Luigi XIV di Francia, e fargli sbollire le poco celate mire sul piccolo regno sabaudo, gli offrì la disponibilità del reggimento Carignano, 20 compagnie composte da circa 1200 soldati, in gran parte piemontesi di Pinerolo, ma anche savoiardi e liguri, integrati da circa 200 mercenari svevi, svizzeri, renani e irlandesi. Tutti pronti per l’impiego nella colonia della Nuova Francia, perla della corona oltre il vasto oceano. Da quelle terre lontane giungevano infatti pressanti esortazioni di aiuto: gli indiani irochesi – armati prima dagli olandesi e poi dagli inglesi - minacciavano gli insediamenti dei coloni lungo il San Lorenzo, disturbavano il commercio delle pellicce ed assalivano le tribù alleate. Non c’era nazione indiana meglio organizzata in tutta l’America del nord e il caso aveva voluto che si trovasse incuneata tra la Nuova Francia, la Nuova Inghilterra e la Nuova Olanda. Gli Uroni, i più filo francesi tra gli indiani, avevano patito un vero e proprio sterminio negli anni a cavallo tra il 1648 e il 1650; i temerari irochesi si erano spinti fino a distruggere il lontano villaggio di Huronia, sui grandi laghi, dove i missionari gesuiti avevano organizzato una sorta di comunità indiana nel segno della croce. I soldati della compagnia di Gesù, soprannominati “manti neri” dagli indiani, stavano facendo grandi progressi nella loro opera di evangelizzazione nel nuovo mondo, ma tutto si era trasformato in cenere allorché erano arrivati i diavoli pagani irochesi, con le facce dipinte dai colori di guerra, temuti per le crudeli torture e accusati perfino di cannibalismo sui nemici. In quella parte di America, infatti, la lega delle cinque nazioni (Mohawk, Seneca, Oneida, Cayuga e Onondaga) era l’organizzazione più potente, agguerrita e temuta, oltre che quella maggiormente evoluta. Ogni nazione all'interno di questa confederazione aveva una propria lingua, un territorio e una funzione ben distinta. L'influenza irochese all'apice del suo potere si estendeva nell'attuale Canada, a ovest lungo i grandi laghi e a sud da entrambi i lati delle montagne di Allegheny, fino all’attuale Virginia, Kentucky e valle dell’Ohio. In questo territorio enorme la confederazione vantava un ordine sociale ed un sistema di governo che, all’epoca, era all’avanguardia persino per gli Stati europei. Si dice che Benjamin Franklin vi si ispirò per redigere il suo progetto di unione delle colonie americane. Il “popolo della lunga casa” come si autodefiniva, aveva dislocato le cinque nazioni (solo dopo il 1715 nel consiglio della lega furono ammessi anche i Tuscarora) come fossero appunto una lunga abitazione comune, dove i Mohawk vigilavano la porta orientale ed i Seneca erano i guardiani della porta occidentale, mentre gli Onondaga, posti nel territorio centrale e protetti dagli Oneida e dai Cayuga, erano i custodi del “sacro fuoco”.
L’ordine sociale si basava su clan di tipo matrilineare. Le anziane madri di ogni clan nominavano un totale di 50 capi “sachem” che periodicamente si riunivano in un consiglio delle tribù. Ogni decisione presa dal consiglio doveva essere mediata dai membri fino al raggiungimento dell’unanimità e doveva rispecchiare perfettamente le volontà della popolazione, le cui istanze erano rappresentate da ogni sachem all’interno del consiglio. I villaggi erano stanziali e fortificati con palizzate in legno, ogni “lunga casa” ivi dislocata era di proprietà delle donne del clan, che si occupavano della coltivazione di mais, fagioli e zucche, mentre i guerrieri provvedevano a caccia, pesca ed alla guerra. L’ostilità della confederazione su tutte le altre tribù delle foreste era arrogante e risoluta, gli attacchi e le razzie permanenti. Quando i francesi arrivarono in quella immensa terra di montagne, foreste ed acque, tutte le tribù ataviche nemiche degli irochesi, dalla sponda sud del San Lorenzo fino al grande lago Erie, si rivolsero ai nuovi venuti per batterli: Uroni, Algonchini, Montagnais, Mohicani e Ottawa, si rivelarono quindi naturali e preziosi alleati per il regno di Francia. Ma di fronte alla continua offensiva irochese, versavano ora in gravi difficoltà. Il 13 maggio 1665 nove navi sotto il comando dell’ammiraglia “Aigle d’Or” del colonnello Henry de Chastelard, signore di Salieres, partirono alla volta di Quebec, ove giunsero il 18 agosto risalendo l’estuario del San Lorenzo. All’epoca la capitale della Nuova Francia era un villaggio fortificato abitato da circa 2.000 uomini e 1.200 donne, con un porto attrezzato e solide case in granito grigio. Dai resoconti dei soldati, veterani di terribili guerre contro imperiali e turchi, la guarnigione dovette apparire come un luogo ameno simile alla Bretagna o alla Normandia. Oltre alle poche truppe di stanza c’erano solo funzionari amministrativi, mercanti, artigiani, prostitute, padri gesuiti e suore del convento delle orsoline, che fungeva da ospedale. Gli unici che parevano mettere in guardia i nuovi arrivati sulla pericolosa ferocia degli irochesi erano i “coureurs des bois”, gli scorridori dei boschi, commercianti di pellicce francesi che generalmente vivevano negli accampamenti indiani e conoscevano l’importanza di mantenere i buoni rapporti con tutti, anche con tribù lontane come i Sioux, ma che temevano le scorrerie della confederazione irochese. Il governatore Daniel de Remì De Courcelles convocò alcuni capi Oneida e Cayuga nel novembre 1665, con lo scopo di stipulare accordi di commercio e patti di non belligeranza. All’incontro tuttavia non parteciparono i Mohawk che, tra le tribù della confederazione, erano i più pericolosi per i francesi occupando i territori intorno a Montreal, una minuscola ma strategica cittadina di recente fondazione, situata su un’isola nel bel mezzo del fiume San Lorenzo, importante crocevia sulla linea di espansione della Nuova Francia. Da qui l’ordine di intraprendere la prima spedizione punitiva.
Il marchese de Salieres era poco propenso ad iniziare una campagna invernale a quelle latitudini e dalle sue memorie scritte emerge chiaramente il suo scetticismo: “… i soldati non avevano le ciaspole, pochissime asce, una coperta, nessuna attrezzatura per il ghiaccio e con un solo paio di mocassini e calze autoreggenti …”. Il reggimento fu comunque diviso in due tronconi, uno dei quali sarebbe rimasto di stanza a Quebec quale riserva, mentre dieci compagnie sarebbero partite alla volta di Montreal. Sul villaggio convergevano le grandi vie fluviali che immettevano nell’interno della sconfinata regione. Verso sud si apriva l’ampia valle degli irochesi, con un tumultuoso fiume ed un incantevole lago, ribattezzati rispettivamente Richelieu e Champlain. Verso sud ovest, risalendo il corso del fiume, si arrivava al grande lago chiamato di san Luigi chiuso da maestose cascate. Verso nord scorreva il fiume degli Algonchini dei boschi (Ottawa) fino al lago degli stregoni che il fiume dei francesi collegava al mare dolce, oltre il quale c’erano altri due laghi altrettanto vasti: il lago grande e il lago cosiddetto degli Illinois. Il 30 gennaio 1666, lasciate tre compagnie a protezione di Montreal, un contingente di circa 500 soldati italici marciò verso sud alla ricerca degli irochesi, con passo marziale e al suon di pifferi, sempre attorniato dai cronisti dell’epoca, i padri gesuiti. Così riferisce il marchese de Salieres: "Mi è stato ordinato di partire con sette compagnie per costruire un forte alla foce del lago Champlain … senza un falegname, né altri abili operai e con pochissimi strumenti ... molti erano malati di febbre gastrica causata dalle forti piogge e dal freddo e che erano anche mal vestiti, scalzi e non avevano pentole per cucinare il loro maiale salato". Dopo il fiume Richelieu apparve ai loro occhi il lago Champlain. Il vasto specchio d’acqua si estendeva sinuoso verso meridione, immerso in un dedalo di isole e isolotti, nel paesaggio collinare fittamente ammantato di boschi, in mezzo ad alte montagne: un paradiso terrestre ricco della più disparata selvaggina. Sul tragitto numerosi villaggi di indiani Mohawk con le loro lunghe capanne in legno dal tetto a botte, totalmente disabitate, furono devastati e dati alle fiamme secondo le regole di ingaggio. L’ordine era sparare a qualsiasi indiano avvistato, ma non c’era traccia di irochesi, che pur sicuramente tenevano d’occhio gli invasori d’oltremare. La Nuova Francia, senza sparare un colpo, stava acquisendo il territorio più fertile della regione.
Era la chiave di volta per la difesa di Montreal e per presidiare al meglio la via naturale verso la Nuova Olanda che stava soccombendo alle forze inglesi, cedendo loro pericolosi spazi di manovra. Non a caso da pochi mesi la loro capitale New Amsterdam era capitolata, venendo ribattezzata dalla corona inglese con il nome di New York, in onore di Giacomo II duca di York e Albany. Il reggimento di soldati italici si mosse in un dedalo sconfinato di fiumi, laghi e foreste, ripiegando nuovamente verso nord est, lungo il corso del fiume Richelieu, alla ricerca degli indiani nemici. Dai documenti de “The Jesuit Relations : Viaggi ed esplorazioni dei missionari gesuiti nella Nuova Francia” si legge: "Lo scopo in questa prima campagna era quello di erigere lungo il percorso alcuni forti, che erano considerati assolutamente necessari, sia per mantenere la comunicazione aperta e la libertà di traffico, sia per servire come riviste per le truppe e luoghi di rifugio per soldati malati e feriti. "(Cap. IV, pp. 42-43) Giunti alla foce del fiume, la retroguardia dell’armata fu incaricata di ricostruire le palizzate sul vecchio sito del Fort Richelieu, già fondato nel 1641 dai francesi e bruciato 6 anni dopo dagli irochesi. Accanto al forte si insediarono gli alleati Uroni, che costruirono le loro lunghe capanne tubolari, simili a quelle irochesi, ricoperte da spesse cortecce, idonee ad affrontare il lungo inverno canadese con molti fuochi all’interno: misuravano 12 passi di larghezza e 30 di lunghezza, il loro ingresso si affacciava su un cortile coltivato ad orto, con la porta d’accesso coperta da stuoie dagli sgargianti colori. Nei pressi degli insediamenti dei bianchi, normalmente, veniva fatta erigere anche una “capanna del piacere” dove le donne Uroni più giovani ed avvenenti, totalmente avulse da pregiudizi sessuali, si concedevano ai soldati. Anche presso gli Uroni vigeva il matriarcato e la stessa istruzione familiare differiva notevolmente dalla famiglia europea: l’unione coniugale era molto labile, seppure basata sulla monogamia; inoltre, nel contatto con i bianchi, tendeva a dissolversi. I costumi di quelle tribù erano tradizionalmente improntati alla massima libertà sessuale: i divorzi erano abituali e mai traumatici; nei villaggi c’erano giovani donne che riuscivano a collezionare una trentina di matrimoni nell’arco di pochi anni, senza destare scandalo o sollevare critiche.
Mentre il forte prendeva forma, il grosso del reggimento Carignan Salieres proseguiva la spedizione senza poter usufruire delle guide Uroni, inspiegabilmente lasciate a rinforzo della retroguardia. Penetrando tuttavia a fondo nelle foreste la colonna finì per perdersi nella neve, vagando per tre settimane senza riuscire a ritrovare la strada del forte. Una serie di attacchi mordi e fuggi sferrati dagli astuti guerrieri Mohawk posero i franco-piemontesi in netto svantaggio tattico. La grande esperienza dei soldati nelle guerre campali europee era del tutto inutile: la spedizione, appesantita e stremata, era in trappola. Decine di moschettieri piemontesi, liguri e savoiardi furono massacrati dagli indiani, molti di più morirono sotto il tremendo assedio, impossibilitati a muoversi, uccisi dalla fame e dal freddo, congelati nella neve. Fin quando alcune unità inglesi del duca di York, presenti in supporto agli irochesi e mosse a compassione, fermarono la furia dei guerrieri consentendo ai soldati, sotto la bandiera francese, di ritirarsi e fornendo loro anche provviste per il viaggio di ritorno. La prima campagna del reggimento Carignan – Salieres, già alla fine dell’inverno si era rivelata chiaramente un disastro: 400 uomini su 500 erano morti. Occorreva porre riparo al più presto allo smacco poiché, per il ministro Colbert e per la potente società dei mercanti, la Nuova Francia era uno scrigno di ricchezze e, pace o non pace, la conquista verso ovest doveva continuare. L’incarico di guidare la seconda campagna contro i Mohawk fu decisa a Quebec nell’estate del 1666 e affidata al comando di Alexandre de Prouville marchese de Tracy. Circa 120 soldati del reggimento sabaudo, questa volta muniti di equipaggiamento leggero ed adatto alle particolari situazioni operative, penetrarono a fondo nel territorio irochese, distruggendo quattro grandi villaggi che i Mohawk avevano abbandonato nella fuga. L’intenzione di Tracy era sfruttare la velocità degli incursori puntando sull’elemento sorpresa; tuttavia la tattica non sortì grandi effetti poiché gli indiani evitavano accuratamente lo scontro, portando in giro per le foreste le guide Uroni. Inoltre se la scelta di dotare i soldati di equipaggiamenti leggeri da un lato ne favoriva gli spostamenti, evitando l’impantanamento della prima campagna invernale, dall’altro ne riduceva l’autonomia: i pochi viveri al seguito ed il protrarsi delle ricerche fin alle soglie dell’autunno rischiava di concludersi nuovamente in un fallimento. Il 17 ottobre 1666, alle prime nevicate, le terre e i campi che circondavano i villaggi Mohawk furono tutti rivendicati come territorio francese e furono erette croci per simboleggiare tale rivendicazione. La seconda campagna del reggimento Carignan – Salieres era conclusa praticamente senza colpo ferire e fu raccontata a Quebec come un grande successo. Questa volta i colloqui di pace furono accettati anche dai Mohawk che, nel luglio 1667, inviarono i propri capi per un vertice durato 5 giorni.
Il commercio, che era poi ciò che veramente interessava sia agli europei che agli indiani, ebbe finalmente il via libera anche nei territori Mohawk i quali, ottenuta la garanzia di non ingerenza da parte delle tribù nemiche, avrebbero ospitato in alcuni loro villaggi sia agenti del commercio delle pellicce sia padri gesuiti. Per garantire il successo dei patti era tuttavia necessario assicurare l’incolumità dei bianchi, per cui gli indiani si impegnarono ad inviare due membri di una famiglia del villaggio ove avrebbero soggiornato gli ambasciatori europei, come ostaggi nel forte francese più vicino. La pace tra le fazioni sarebbe durata per i successivi 20 anni. Con la tregua i francesi colsero l’occasione per terminare la costruzione di 8 forti a protezione della cittadina di Montreal. L’obiettivo era prepararsi a contrastare militarmente l’espansionismo britannico, che a sud lungo la baia del Massachusetts, aveva già estromesso dai giochi sia olandesi che svedesi. Il reggimento Carignan-Salieres fu impegnato per qualche mese su ciascuno degli 8 forti, mentre una compagnia di arditi piemontesi fu inviata in ricognizione verso ovest, dentro le foreste sconosciute in direzione del “mare dolce”. Fu probabilmente questa compagnia a giungere nel punto più lontano della Nuova Francia, nel cuore dell’odierno Stato dell’Illinois dove 12 anni dopo, il 1° marzo 1680, gli esploratori francesi fondarono Fort Crevecoeur, “cuore spezzato”, così chiamato per le tremende tribolazioni patite per giungervi. L’avamposto durò solo pochi mesi, ben presto distrutto e abbandonato dagli stessi soldati, ammutinati per il terrore di finire nelle mani degli irochesi. Questi ultimi, infatti, una volta raggiunta la pace con la corona francese, si spostarono nei territori che avevano conquistato più ad ovest, nel tentativo di controllare tutte le terre tra gli Algonchini e la Nuova Francia. Il risultato dell'espansione irochese e della guerra con la confederazione Anishinaabeg (formata da Algonchini, Ottawa, Saulteaux, Ojibwe e Potawatomi) fu che le tribù più orientali della nazione Sioux, furono spinte oltre il Mississippi, fin nelle grandi pianure dell’ovest. Una volta che la missione fu compiuta, il re di Francia offrì ai soldati italici di stabilirsi nella colonia canadese, concedendo loro delle terre lungo il fiume San Lorenzo. Circa 400 soldati sabaudi accettarono l'offerta, in gran parte celibi e in età da matrimonio, mischiandosi con le donne native oppure unendosi alle ragazze francesi inviate dalla corona con lo scopo di popolare la Nuova Francia. Il reggimento, al suo ritorno in Europa nel 1668, continuò a servire Luigi XIV, sempre sotto la direzione di Emanuele Filiberto di Savoia, principe di Carignano. 

Sergio Amendolia 

Bibliografia
Edmund Wilson – Dovuto agli Irochesi – Il saggiatore; 

Guido Araldo – Lungacanna. Dalle langhe al Canadà; 

Notizie della Regione Piemonte – Anno XV – n.12 (fonti web); 

Edith Gabrielli – Palazzo Carignano (Torino, Palazzo Carignano, 18 marzo-26 giugno 2011) - Giunti; 

Gianni Oliva – I Savoia: novecento anni di una dinastia – Mondadori; 

The Jesuit Relations : Viaggi ed esplorazioni dei missionari gesuiti nella Nuova Francia " - Cap. IV pp. 42-43 (fonti web); 

Fedora Giordano - Irochesi a palazzo? Note sulle decorazioni di Guarini per le facciate di Palazzo Carignano – pp. 247-255 (fonti web). 

Sitografia


SERGIO AMENDOLIA
Nato 55 anni fa a Genova, sposato con 2 figli, 2 gatti e un cane, ho sempre guardato con stupore l'orizzonte e tutto ciò che quella linea rappresenta e contiene, convinto che dove il cielo finisce si celano sempre spazi e tempi lontani, spesso inesplorati o conosciuti poco e male. Forse per questo mi attira l'impostazione di questo blog ed i veli della Storia che gli articolisti provano spesso a sollevare, perché conoscere è importante e aiuta a capire ciò che siamo e come lo siamo diventati. Oltre alla nostra bella Italia ed alla sua impareggiabile ricchezza di arte e storia, mi affascinano molto gli scenari mozzafiato dell'Ovest Americano. In questi ultimi anni ne ho percorsi alcuni, ancora una volta cercando di varcare orizzonti i cui contorni sfuggono in continuazione, dimensioni che ho provato a malapena ad intuire nei volti dei nativi che ancora oggi si incontrano nelle riserve: a volte duri, scolpiti e aridi come i monoliti di arenaria rossa, probabilmente gli unici in grado di metabolizzare la sensazione di infinito che pervade quelle terre lontane. Per questo mi piace, quando il tempo libero me lo permette, collaborare con riviste e pagine web, tentando di approfondire le vicende che hanno caratterizzato la storia di quei popoli d'oltreoceano, in particolare l'epopea del West, con un occhio particolare agli uomini e alle donne che la vissero davvero, fuori dai luoghi comuni e dai grandi miti costruiti da Hollywood.


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