Correva l'anno 1728 e per le strade di Milano circolava uno strano manifesto, ad opera di Gaetano Bianchi, con la seguente didascalia: “ritratto della Fiera Bestia veduta sul contado di Novara dove ha fatto e sta facendo strage di uomini e donne di ogni età, particolarmente nel territorio di Olegio, di Ghemine, di Momo e di Barengho, già come si è ragguagliato da lettere e notizie riportate nella pubblica Gazzetta di Milano numero 26 del 30 giugno 1728”.
La popolazione di Milano, sgomenta ed impaurita, pensava a quei poveri contadini delle terre novaresi, tutti i paesi citati dal Bianchi si trovano nella pianura in provincia di Novara, sbranati da una bestia che sembrava uscita dai peggiori incubi. La fiera bestia aveva la testa di cinghiale ed il corpo di cane, e le dimensioni potevano essere quelle di un vitello o di un torello.
Tra la fine del medioevo e l'inizio dell'epoca moderna nacque la leggenda del porcocane, animale leggendario che trovò in quei secoli la giusta collocazione dopo aver subito infinite trasformazioni nel corso dei secoli. Il porcocane fu il risultato finale di un incubo ricorrente nella mente delle popolazioni. La fiera bestia nasceva, in epoca medievale, come un animale gigantesco munito di grandi corna, grandi creste e pelle corazzata a squame
Vassalli, analizzò questa figura leggendaria nel libro la Chimera. Lo scrittore, tra il serio ed il faceto, concluse l'analisi sottolineando che “noi oggi possiamo riderne, ma all'epoca della nostra storia, cioè i primi anni del seicento, la fiera bestia faceva ancora veri danni con vere vittime”. (Sebastiano Vassalli, la Chimera, capitolo XIX).
Purtroppo gli avvistamenti, e le morti che ne conseguirono, non furono isolate alla sola pianura padana. Un caso scosse le coscienze della Francia del Settecento: la bestia del Gévaudan.
Il Gévaudan designa un'antica provincia francese, esistita come tale sino alla Rivoluzione francese, allorché essa divenne il dipartimento del Lozère, mantenendone all'incirca i confini. Si trova nell'attuale regione della Linguadoca-Rossiglione.
Nell'aprile del 1764, la regione fu scossa da un avvenimento che sembrava voler risvegliare gli incubi della popolazione contadina: una giovane ragazza fu assalita da una bestia enorme e sopravvisse grazie al provvidenziale intervento delle mucche che stava dirigendo al pascolo. La giovane descrisse il predatore come un enorme lupo dalla folta peluria nera e con 2 grossi canini che sporgevano dai lati della bocca.
Purtroppo alla fine del mese di giugno dello stesso anno, la bestia fece la prima vittima: un giovane ragazzo di 14 anni.
Tra l'estate e l'autunno del 1764 furono molte le vittime, in prevalenza giovani donne e fanciulli, causate dall'attività predatoria della bestia senza nome.
Le autorità francesi decisero di inviare uno squadrone di 56 dragoni nella regione del Gévaudan. Durante il XVII secolo un dragone era tradizionalmente un soldato addestrato al combattimento a piedi, ma che si muoveva a cavallo. Il nome deriverebbe dall'arma principale che utilizzava, una carabina o moschetto corto chiamato dragon per il fumo che emanava al momento dello sparo.
I dragoni furono affiancati da circa 400 miliziani dei volontari di Clermont, che erano di stanza nei pressi della provincia del Gévaudan. Al comando di questo piccolo esercito vi era Jean Boulanger Duhamel, che disse d'aver avvistato più volte l'animale senza mai riuscire ad ucciderlo. Il comandante confermò la testimonianza della prima ragazza aggredita, aggiungendo che il grosso lupo aveva la stazza di un vitello.
Dato che la fiera bestia imperversava sulla popolazione, nel 1765 il re di Francia, Luigi XV, decise di inviare il famoso cacciatore di lupi d'Enneval, che scoprirono essere anche un grande bugiardo, nel Gévaudan per liberarsi del predatore. Il nobile normanno, famoso per aver impallinato decine di lupi, dichiarò più volte, e con lui molti accompagnatori, d'aver ucciso o ferito mortalmente la bestia. Purtroppo l'animale puntualmente tornava a mietere vittime innocenti. All'epoca dei fatti il nobile d'Enneval era tenuto in grande considerazione, tanto che tra la popolazione iniziò a farsi largo la superstizione che la fiera bestia godesse di poteri magici e che fosse immortale.
Purtroppo il predatore di Gévaudan continuò a collezionare vittime innocenti.
Chi non credette alle parole del nobile normanno fu Luigi XV che decise di sostituire d'Enneval con Francois Antoine, il Gran portatore di archibugio del Re e rappresentante massimo dell'associazione francese Grand Louvetier, nata nel secolo XIV con l'obiettivo di eliminare le bestie feroci. Antoine si recò nella regione accompagnato dal figlio e da una dozzina di guardiacaccia. L’uomo uccise un grosso lupo dal pelo nero.
Purtroppo il predatore di Gévaudan continuò a sterminare vittime innocenti.
La disgrazia nella regione si arrestò nel giugno del 1767 quando un uomo, l'oste Jean Chastel, uccise, probabilmente, la vera bestia. Si presume che fosse il predatore senza nome poiché dopo questo evento non si verificarono altri attacchi alla popolazione inerme. Un particolare che dovrebbe farci riflettere attiene al figlio dell'oste, Antoine. Di questo ragazzo si disse che possedesse delle iene nella tenuta di famiglia.
Agli occhi di un contadino della Francia del settecento, e anche di qualche cacciatore in cerca di fama, una iena potrebbe apparire come una fiera bestia uscita dal peggior incubo?
Chastel non si limitò ad uccidere la bestia. La prese, la imbalsamò e la portò al re di Francia con l'intento di chiedere una lauta ricompensa per la cattura. Luigi XV credeva il mostro del Gévaudan morto nel 1765 per mano di Antoine per cui non acconsentì alle richieste economiche dell'oste che si trasformò in eroe popolare. L'animale, banalmente imbalsamato, fu immediatamente distrutto per mano del re.
I resoconti italiani su questo incredibile evento, spesso, omettono informazioni sulla famiglia di Chastel.
Torniamo all'agosto del 1765 quando due guardiacaccia, che accompagnavano Antoine nelle ricerche del predatore di Gévaudan, si imbatterono in Chastel, accompagnato dai suoi due figli. Uno dei guardiacaccia, dopo esser caduto da cavallo, chiese alla famiglia se il luogo che dovevano attraversare nascondeva delle torbiere. I contadini risposero che potevano attraversare tranquillamente quella pianura. I due guardiacaccia avanzarono con i cavalli che immediatamente restarono impantanati nel terreno infido e scivoloso. I Chastel iniziarono a ridere della buffa scena. I due guardiacaccia reagirono immediatamente catturando il figlio minore. Jean imbracciò il fucile che aveva con sé, puntandolo in direzione dei due uomini al servizio di Antoine. Uno dei due riuscì a disarmare Jean Chastel. L'alterco finì davanti al Gran portatore di archibugio del Re che decise di arrestare colui che un paio di anni dopo diverrà l'eroe della popolazione locale. Il processo si concluse con l'affermazione di Antoine: “lasciateli uscire dal carcere solo quattro giorni dopo la nostra partenza da questa provincia”.
A difesa di Jean Chastel dobbiamo dire che non esiste certezza che i Chastel menzionati nella sentenza di Antoine siano Jean ed i suoi due figli. Le fonti storiche hanno sempre ripreso la tradizione senza apportare modifiche.
A confermare la tesi che fosse la stessa persona esiste il passato di Jean Chastel. In vita era conosciuto con il soprannome di stregone. Già negli anni trenta del settecento i contadini locali sospettavano i Chastel di essere addestratori di lupi e che commettessero omicidi per puro sadismo o per giustizia privata.
Alcuni storici hanno notato una chiara diminuzione degli attacchi della bestia di Gévaudan nel periodo in cui i Chastel soggiornavano presso le patrie galere.
Esistono molti argomenti a conferma della possibilità che i Chastel fossero realmente gli addestratori di questi lupi, o iene come detto da alcuni testimoni, che uccidevano le persone della regione del Gévaudan.
Ma quante persone morirono in seguito agli attacchi della, o delle, bestia del Gévaudan?
Il totale delle vittime accertato fu di 136, su almeno 270 attacchi, 14 delle quali decapitate dalla trazione esercitata sul collo dalla bestia per trascinare i cadaveri.
Con molta probabilità le vittime furono molte di più. Alcuni storici azzardano l'incredibile cifra di 500.
Come mai questa discordanza nei numeri?
Ad un certo punto si smise di conteggiare i morti per ordine di Luigi XV.
Lo stesso ordine fu esteso ai curati per quanto riguardava gli atti di morte.
Come scrisse Vassalli, in riferimento al nostrano porcocane “noi oggi possiamo riderne, ma all'epoca della nostra storia, cioè i primi anni del seicento, la fiera bestia faceva ancora veri danni con vere vittime”.
Fabio Casalini
Buffiere, Félix (1994), La bête du Gévaudan, une grande énigme de l'histoire
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Chevalley, Abel (1972), La Bête du Gévaudan, Editions J'ai Lu
Delort, Robert (1987), L'uomo e gli animali dall'età della pietra a oggi, Roma-Bari, Laterza
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FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.