19 luglio 1985. Ore 12:22. Nella miniera di fluorite di Prestavèl in val di Stava cedono improvvisamente due bacini di decantazione. L’onda che si viene a creare colpisce a circa 90 km/h, la piccola frazione di Stava, nel comune di Tesero. 180.000 m³ di fanghiglia uniti a 40/50.000 m³ di materiali di erosione, composti da detriti di edifici, alberi e rocce, seminano morte e distruzione. L’area interessata è di 435.000 m² circa per una lunghezza di 4,2 chilometri. L’impatto è devastante. Durante il passaggio vengono distrutti completamente 3 alberghi, 53 abitazioni, 6 capannoni e 8 ponti; altri 9 edifici sono gravemente danneggiati. Nell’impatto muoiono 28 bambini di età inferiore ai 10 anni, 31 ragazzi di età inferiore ai 18 anni, 120 donne e 89 uomini. In totale 268 persone. Cerchiamo di ricordare insieme motivi che portarono a questa catastrofe che sconvolse il Trentino Alto Adige. La Val di Stava è una valle laterale della più famosa Val di Fiemme. Il suo nome deriva dal Rio Stava, che la attraversa interamente. La valle ha una lunghezza complessiva di 8 km; inizia con il torrente al passo di Pampeago, per poi lambire le pendici del monte Prestavèl e terminare nella val di Fiemme
Nel 1934 in zona vengono rilevati alcuni interessanti filoni di fluorite, utilizzata nell’industria metallurgica. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, sarà la società Montecatini a gestire il giacimento, che passerà nelle mani del gruppo Montedison fino al 1978 e successivamente ai gruppi EGAM ed Eni. Dal 1980 al 1985 l’area è gestita dalla Prealpi Mineraria.
La costruzione del primo bacino di decantazione per il materiale di scarto della miniera risale al 1961.
È situato in località Pozzole, sopra la frazione di Stava. Il progetto iniziale prevede la costruzione di un argine di 9 mt. In realtà a fine lavori supera i 25 mt. Sotto questo primo bacino, nel 1969 è costruito il secondo, anche questo di circa 25 mt. Vista l’entità della costruzione, decisamente sproporzionata rispetto il progetto iniziale, nel 1974 il comune di Tesero chiede un controllo sulla sicurezza dell’impianto.
La verifica inizia nel 1975. Il Distretto Minerario Provincia Autonoma di Trento incarica del procedimento la società concessionaria Fluormine, appartenente ai gruppi Montedison ed EGAM. L’indagine è condotta in modo superficiale e inadeguato, ma cosa ci si poteva aspettare?
Nonostante questo, la verifica conferma che la pendenza del bacino superiore, il primo costruito, è al limite della stabilità… «strano che non sia già caduto». L’esito non cambia la situazione, la Fluormine rassicura il comune di Tesero e procede con un ampliamento ulteriore del bacino.
Giuseppe Zanon, allora sindaco di Tesero, segnala al Distretto minerario della Provincia di Trento che forse non è il caso di innalzare anche il secondo bacino, teme per l’incolumità della popolazione. La riposta è molto semplice: si può procedere con i lavori a patto che siano fatti «con le dovute cautele». La sua lettera è archiviata.
Guardando i registri del tempo, fino al 1985, non esiste traccia delle due vasche, che sono ancora indicati in una mappa di quell’anno come “area agricola di interesse secondario”.
Il 19 luglio il primo bacino cede, non possedendo i coefficienti di sicurezza minimi necessari a evitare il disastro. Tutto il materiale in esso contenuto, acqua, limo e sedimenti, si riversa sul secondo bacino, che a sua volta crolla, liberando una gigantesca ondata di fango che comincia la sua corsa verso il fondo valle alla velocità di 90 km/h, investendo tutto ciò che incontra, per poi riversarsi nel torrente Avisio.
I soccorsi sono tempestivi ed efficaci, ma poche sono le persone estratte vive. Il numero delle vittime è accertato solo un anno dopo. Molte non sono state riconosciute a causa delle pessime condizioni dei corpi. Si è pertanto ricorsi alla dichiarazione di morte presenta, ridotta in via del tutto eccezionale con apposito decreto legge a 1 anno, contro i 5 canonici. Migliaia sono i soccorritori accorsi per cercare di salvare le persone investite dalla terribile frana, in totale 18.000 uomini, per la maggior parte Vigili del Fuoco volontari del Trentino e militari del 4º Corpo d'armata alpino; partecipano anche Croce Rossa, Croce Binaca, Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Corpo Forestale, unità cinofile, sommozzatori e volontari.
L’impiego di mezzi è davvero considerevole: si corre contro il tempo, nella speranza, poi dimostratasi vana in molti casi, di estrarre dai detriti qualcuno ancora vivo.
Le operazioni di recupero durano per tre settimane. Il riconoscimento delle salme va avanti fino alla metà di agosto, in ambienti climatizzati apposta per l’occasione.
Il processo per individuare i responsabili si conclude nel 1992, con la condanna di 10 persone per disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Ad essere condannati sono i direttori della miniera, alcuni responsabili delle società che hanno dato l’ok alla costruzione e allo sviluppo dei bacini e i responsabili del Distretto minerario della Provincia autonoma di Trento, che non hanno mai fatto controlli adeguati sulle discariche in questione. Sono condannate al risarcimento dei danni la Montedison Spa, l’Industria marmi e graniti Imeg Spa per conto della Fluormine Spa, la Snam Spa per conto della Solmine Spa, la Prealpi Mineraria Spa e la Provincia Autonoma di Trento, che non ha vigilato in maniera corretta su ciò che avveniva ogni giorno alla miniera di Prestavèl.
Dopo anni di indagini vengono individuate alcune concause che insieme hanno determinato il terribile incidente: innanzitutto i depositi sono costruiti su terreni non idonei ad ospitarli, a causa della loro natura acquitrinosa, inadatta alla decantazione dei fanghi; l’argine del bacino superiore è costruito in modo non adeguato al drenaggio al piede; il secondo bacino è edificato troppo a ridosso del primo, peggiorando ulteriormente i problemi di drenaggio e stabilità; ricordiamo inoltre il bacino superiore, dopo i lavori di ampliamento è arrivato ad una altezza di 34 mt, ben al di sopra del limite indicato dal progetto iniziale.
A tutto questo vanno aggiunti la conformazione del terreno del monte Prestavèl, che ha una pendenza del 25% e l’errata disposizione delle tubazioni di sfioro delle acque di decantazione. Una tragedia annunciata.
In sostanza tutto l’impianto costituiva una minaccia giornaliera e costante sulla val di Stava e sulla sua ignara popolazione, sacrificabile in nome del profitto economico.
In seguito alla tragedia della val di Stava, viene creata una fondazione, la onlus Fondazione Stava 1985, che dal 1999, per volere dell'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, gode dell'alto patronato permanente del Capo dello Stato.
Tanto cordoglio, scuse e imbarazzo, per un disastro annunciato. La giustizia non ha funzionato a dovere, uno dei tanti casi in cui le ragioni economiche hanno vinto sulla sicurezza. I colpevoli non hanno scontato la loro pena. Il prezzo maggiore è sto pagato dal val di Stava, che ancora porta le cicatrici di quel giorno.
Rosella Reali
Bibliografia
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ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali.
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...