Se il tragico evento del Sand Creek, uno dei peggiori massacri del far-west, viene oggi ricordato come una carneficina e non come una gloriosa battaglia, lo dobbiamo in gran parte ad un ufficiale della milizia del Colorado che quel giorno si rifiutò di obbedire agli ordini del suo comandante, denunciandone l’infamia, anche a costo della propria vita. Questa è la vera storia del capitano Silas Soule, un giovane e sconosciuto idealista della Storia americana, al quale intendiamo dare il giusto risalto, nel consueto “solco” che contraddistingue questa pagina virtuale. Silas Soule nacque in un'ardente famiglia abolizionista del Maine il 26 luglio del 1838, secondogenito di 4 figli di Amasa e Sophia Soule, trascorrendo la propria infanzia nel Massachusetts dove acquisì dal padre le convinzioni illuministe e la passione per i diritti e l’uguaglianza. Anche se il moderno revisionismo tende a negare che nell’America della prima metà dell’800 esistesse un diffuso sentimento anti-schiavista e preferisce ricondurre piuttosto quelle che furono le premesse della guerra di secessione esclusivamente ad interessi economici contrapposti tra gli Stati del Nord e quelli del Sud, in realtà già dal 1804, pochi anni dopo la Dichiarazione d’Indipendenza, la schiavitù era vietata in tutti i territori a nord della linea Mason–Dixon e un’importante corrente di pensiero di origine illuminista, contraria allo sfruttamento umano, tentava di espandersi e contrastare il modello sociale degli Stati meridionali i quali, fondando la propria economia su coltivazioni come quella del cotone, consentivano invece il mantenimento degli schiavi di colore. Molti dei movimenti abolizionisti che si svilupparono in quel periodo nelle realtà industriali dell’Unione, accoglievano spesso tra le proprie fila convinti idealisti e sostenitori del progresso umano. Fu da questo ambiente che Silas trasse i propri ideali e già nel 1855, appena 17enne, si trasferì con la madre e le due sorelle più piccole, Annie ed Emily, per unirsi al padre ed al fratello maggiore William in una fattoria appena a sud di Lawrence, nel Kansas. Lawrence era a quel tempo il centro del conflitto tra i gruppi abolizionisti del nord e le formazioni indipendentiste degli Stati del sud. Quella parte di territorio, infatti, nota come "Bleeding Kansas" (Kansas insanguinato) stava per entrare a far parte degli Stati Uniti ed i violenti scontri in atto ne avrebbero determinato le future caratteristiche di Stato Libero o Stato Schiavista. In quell’anno la famiglia Soule, vicina alle formazioni armate degli “Jayhawkers”, offriva rifugio alla rete segreta “underground railroad” essendo impegnata a fornire basi logistiche per aiutare gli schiavi neri a fuggire illegalmente dal sud verso il Canada. Il giovane Silas, nel 1859, prese parte alla rocambolesca evasione di John Doy, un medico abolizionista catturato mentre aiutava 12 schiavi in fuga e rinchiuso nelle carceri di St. Joseph, nel vicino Stato del Missouri. E fu proprio grazie alla sua bravura nell’organizzare la fuga del medico che il ragazzo venne ingaggiato per liberare John Brown, il famoso leader dei ribelli anti-schiavisti, che era detenuto nelle prigioni di Charlestown in Virginia. Probabilmente anche tale blitz sarebbe riuscito, se non fosse per il rifiuto categorico dello stesso John Brown di essere salvato, preferendo, al limite del fanatismo, servire per l’ultima volta la causa tramite il proprio martirio. Egli infatti si disse pronto a morire se ciò avesse contribuito alla fine della schiavitù.
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Abolizionisti del Kansas: Silas Souleè il secondo da destra |
John Brown fu impiccato il 2 dicembre 1859 e Silas, fallita la sua missione, tornò a Lawrence dove, dopo la morte per malattia del padre Amasa, prese la decisione unitamente al fratello William e ad altri giovani compagni di avventura, di trasferirsi sulle montagne ad ovest di Denver, nel territorio di quello che sarebbe presto diventato lo Stato del Colorado, meta di molti coloni attratti dal richiamo dell’oro. La sua attività di minatore terminò però ben presto poiché, allo scoppio della guerra civile nell’aprile del 1861, non solo si unì ai primi volontari, ma si fece parte attiva per reclutare altri giovani minatori da avviare alla causa abolizionista e combattere contro il Sud. Il battesimo del fuoco arrivò nel marzo del 1862, con l’importante battaglia di “Glorieta Pass” nel territorio del New Mexico, nella quale le truppe unioniste, ricacciando i confederati della Brigata Sibley in Texas, precluse loro l’accesso ai giacimenti auriferi del Colorado e della California, risorse indispensabili per le sorti dell’intera guerra. In quell’episodio Silas si distinse per coraggio e capacità belliche, tanto da meritare la promozione a capitano nel nascente 1° Rgt. Cavalleria Volontari del Colorado, con destinazione Fort Lyon, alle dipendenze del Maggiore Edward Wynkoop. Lo scontro bellico tra nord e sud rimase lontano dai territori di frontiera e pertanto Silas Soule e “Ned” Wynkoop, divenuti ben presto amici, nel periodo di stanza al forte si concentrarono su come riuscire a migliorare i rapporti con le locali tribù native, sempre più insofferenti alla colonizzazione dei bianchi e spesso protagoniste di sanguinosi attacchi alle comunità di pionieri. Il 1864, in particolare, fu un anno tremendo che vide violenti attacchi da parte delle bande di Cheyenne “Dog Soldiers” e Sioux, con diversi efferati omicidi e la cattura di numerosi civili. Per tali motivi l’idea di provare a trattare la pace con le tribù indiane nei territori di frontiera non era molto popolare tra gli ufficiali dell’Esercito, il cui pensiero dominante era che l’unico modo efficace per evitare che gli indiani ostili continuassero ad uccidere i coloni fosse quello di attaccare per primi i villaggi ove gli stessi vivevano e dai quali partivano le scorrerie. Nonostante lo scetticismo del governatore territoriale John Evans e del comandante del Distretto Militare Col. John Chivington che avevano passato l’estate ad armare le milizie e sospendere ogni tipo di garanzia costituzionale, il capitano Silas Soule e il maggiore Edward Wynkoop riuscirono, in ogni caso, a porre le basi per fissare importanti incontri con le tribù Cheyenne e Arapaho. Nei primi colloqui (Concilio di Smoky Hill–10 settembre 1864) i rappresentanti degli Stati Uniti promisero la pace al capo dei Cheyenne meridionali Black Kettle in cambio della liberazione di 8 ostaggi (quattro bambini bianchi rapiti sul Little Blue River in Nebraska, due donne con un neonato catturati vicino a Plum Creek, nonché una donna, Ann Snyder, fatta prigioniera in agosto vicino a Camp Fillmore).
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Trattato di Camp Weld: Magg. Wynkoop e cap. Soule accoscati |
Le trattative, condotte dall’interprete meticcio George Bent, si rivelarono decisamente complicate vista l’estrema diffidenza di entrambi gli schieramenti, ma grazie alla buona volontà di Wynkoop, Soule e del capo Black Kettle si giunse al primo importante risultato di scambiare tre bambini bianchi con due Cheyenne prigionieri (Occhio Solo e Testa d’Aquila) alleggerendo la tensione e facendo ben sperare. Le difficoltà tuttavia restavano enormi: il problema di Black Kettle era riuscire a tenere tutti i guerrieri sotto il suo comando ed evitare, almeno in questa fase, che le scorrerie e gli omicidi continuassero, mentre Wynkoop e Soule agivano senza l’autorizzazione dei superiori gen. Curtis e col. Chivington, ormai d’accordo col governatore Evans nella pianificazione delle rappresaglie e, pertanto, tenuti volutamente all’oscuro delle trattative in corso. Il tempo stringeva e gli animi si scaldavano: i due ufficiali pensarono di portare una delegazione indiana a Denver (Trattato di Camp Weld del 28 settembre 1864) per cercare di coinvolgere nella pace anche il Governatore Evans ed i superiori militari. Ben sette capi tribù Cheyenne e Arapaho, sotto la guida di Black Kettle, si presentarono quel giorno per intavolare nuovi colloqui con il governatore, dopo aver consegnato nelle mani di Silas Soule, in segno di buona fede, ulteriori 3 prigionieri (Laura Roper di anni 16, Ambrose Asher e Daniel Marble di anni 7) oltre al cadavere della signora Anna Snyder suicidatasi pochi giorni prima, impiccandosi ad una tenda mentre era prigioniera. Da una lettura dei resoconti documentali dei colloqui di Camp Weld emerge chiaramente il grande limite del trattato: il Governatore Evans, da subito spalleggiato dal Col. Chivington, diffidente e per niente incline a concessioni, non poteva e non voleva rispondere delle decisioni del Dipartimento della Guerra, deciso a punire le bande di ostili, mentre la delegazione dei capi Cheyenne e Arapaho, a sua volta, non era in grado di parlare in nome di tutte le tribù dell’area, tra le quali operavano anche bande Apache, Kiowa, Comanche e Sioux. Inoltre le sanguinose scorrerie continuavano anche da parte di guerrieri appartenenti alle tribù i cui capi erano lì, presenti per trattare la pace. Nel corso dei colloqui il gen. Curtis telegrafò al col. Chivington da Fort Leavenworth precisandogli “voglio che gli indiani soffrano di più prima di offrire loro la pace”. A nulla valsero quindi gli sforzi di Wynkoop, al quale Black Kettle disse molto francamente: “Vi sono bianchi cattivi e indiani cattivi. Questi uomini che stanno da ambo le parti hanno causato questo disordine e alcuni dei miei giovani si sono uniti a loro anche contro la mia parola. Credo però che la colpa sia dei bianchi che hanno cominciato questa guerra costringendo la mia gente a combattere.” Gli sforzi sembravano vani e le difficoltà veramente insormontabili. Fatto stà che dopo un mese circa arrivò l’ordine per il magg. Wynkoop di trasferirsi a Fort Riley con la scusa di dover gestire la distribuzione di alcune razioni di cibo destinate agli indiani pacifici per conto del Ministero dell’Interno; il comando di Fort Lyon fu ceduto al magg. Scott Anthony, un interventista che cercò da subito la linea dura limitando le concessioni di derrate alimentari ai nativi della riserva, intimando loro di consegnare le proprie armi e chiedendo l’intervento di rinforzi al col. Chivington, il quale giunse a Fort Lyon il 28 novembre. La preoccupazione di Anthony era il villaggio Cheyenne sul Sand Creek, guarda caso proprio quello dove si trovava Black Kettle, il più importante e forse l’unico, vero, caparbio, sostenitore della pace con i bianchi. I giochi erano fatti e Chivington, l’ex predicatore battista, prese il comando delle operazioni alla guida dei circa 700 uomini dei tre reggimenti volontari del Colorado, preparandosi alla rappresaglia: “Io sono venuto a uccidere gli indiani e credo sia giusto ed onorevole usare qualsiasi mezzo Dio ci abbia messo a disposizione”. Non c’era nulla da aggiungere.
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Accampamento Cheyenne |
Sui fatti che seguirono esiste una lettera che sarebbe stata scritta di proprio pugno dal cap. Silas Soule indirizzata al magg. Winkoop, inizialmente perduta tra le nebbie del tempo ma ricomparsa pochi anni fa – asseritamente trovata in un vecchio solaio ad Evergreen – e citata al Congresso degli Stati Uniti dal Senatore Ben Nighthorse Campbell (unico parlamentare di origine nativa, diretto discendente di un sopravvissuto del Sand Creek) durante una discussione per la creazione di una targa commemorativa inerente ai fatti in narrazione. Questi alcuni significativi passaggi:
“Caro Ned, due giorni dopo che sei partito … hanno messo agli arresti Bent e John Vogle piazzando le guardie attorno ai loro alloggi. L’ordine era di massacrare gli indiani amici accampati sul Sand Creek. Il maggiore Anthony ha fornito tutte le informazioni operative, unendosi con entusiasmo a Chivington & Co. … non appena ho appreso quanto stavano tramando mi sono indignato come avresti fatto tu se fossi stato qui e ho riunito alcuni ufficiali nella stanza di Cannon, dicendo loro che dopo gli innumerevoli sforzi di pace che avevamo fatto, chiunque avesse avallato un attacco del genere era un vigliacco, codardo e figlio di puttana ... il capitano Johnson ed il tenente Harding sono andati a raccontare tutto a Chivington … hanno giurato che mi avrebbero impiccato prima di togliere le tende e l’avrebbero fatto sicuramente se gli altri ufficiali non mi avessero sostenuto … Siamo arrivati nel campo di Black Kettle all’alba … io mi sono rifiutato di sparare e ho dato analogo ordine alla Compagnia D, nessuno dei miei uomini doveva muoversi ... ho urlato che tutto ciò era contrario alle leggi militari e che solo un vigliacco avrebbe osato toccare le centinaia di donne e bambini che ci correvano incontro e si inginocchiavano per chiedere pietà. Ho sentito Anthony gridare “uccidete i figli delle femmine”, posso giurare che oltre 200 colpi sono stati sparati dalle truppe contro le mie guide, gli indiani che riuscivano a correre nella direzione della mia Compagnia si mettevano in salvo ... Non ti dico Ned quanto sia stato difficile per me essere impotente nel vedere bambini piccoli in ginocchio con la testa fracassata da persone che si professavano civili ... Ho ancora adesso l’immagine di una squaw ferita, di un soldato che tenendola ferma le tagliava un braccio finendola poi a colpi di accetta ... una giovane coppia scappava tenendosi per mano fino a quando, raggiunti e circondati da uomini a cavallo, si sono inginocchiati abbracciandosi l’un l’altra al collo mentre venivano uccisi insieme ... i cadaveri erano tutti orrendamente mutilati. Penserai che è impossibile che uomini bianchi abbiano macellato e mutilato altri esseri umani come hanno fatto loro quella mattina …”
Soule fece schierare i propri uomini dai tenenti Joseph Cramer e James Cannon in modo da formare un cuscinetto di protezione tra i soldati lanciati all’assalto e gli indiani che cercavano un corridoio di fuga, riuscendo a portarne in salvo parecchi, forse centinaia, tra i quali lo stesso Black Kettle. Quella mattina oltre 150 Cheyenne, per la maggior parte donne e bambini, restarono a terra orrendamente massacrati sulle rive del Sand Creek. Dei loro corpi fu fatto scempio, delle loro parti intime souvenir da esporre nelle strade di Denver.
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Volontari del Colorado |
Nonostante le minacce, l’intimidazione e le percosse subite immediatamente dopo i vergognosi fatti dagli uomini di Chivington, il quale lo confinò temporaneamente agli arresti deferendolo per codardia e propagandando l’episodio bellico come una grande vittoria, Silas Soule – grazie anche alla lealtà ed al supporto dei suoi uomini – non si arrese mai, scrisse diverse lettere al Ministero e agli amici Ned Winkoop e Walt Whitman (un poeta abolizionista amico di famiglia) chiedendo loro di informare il Congresso dell’infamia consumata. Fu proprio grazie ai due amici che la notizia venne data anche alla stampa, alcuni giornalisti presero a cuore il caso e colsero l’occasione per presentare Silas come un eroe senza macchia, bel ragazzo, onesto, simpatico e brillante, popolare con le donne e appassionato di recitazione. I giornali di Denver e Central City ne fecero subito un personaggio positivo e pubblicarono, senza omettere i dettagli ripugnanti, le scioccanti parole del giovane ufficiale sul massacro, cercando di scuotere un’opinione pubblica distratta dalla guerra civile ancora in corso. L’intento riuscì e nei primi mesi del 1865 a Denver venne inviata una Commissione Militare d’inchiesta, presieduta dal Col. Samuel Tappan il quale, sciolto il Reggimento dei Volontari del Colorado, allestì una sorta di processo testimoniale, nel quale il capitano Soule, i tenenti Cramer e Cannon poterono essere sentiti nelle udienze del 15 e 22 febbraio e contestare pubblicamente gli efferati omicidi e le orrende mutilazioni perpetrate contro i componenti del villaggio Cheyenne. Durante tutto lo svolgimento dell’inchiesta, tuttavia, il col. Chivington, essendosi tra l’altro già in gennaio ritirato dall’Esercito, non figurò mai in veste di imputato bensì di libero testimone chiamato a fornire la propria versione dei fatti, interrogando personalmente qualsiasi persona volesse sostenere la tesi della grande ed eroica battaglia. Le udienze pubbliche si svolsero in un clima di grande confusione, gli animi di chi vi assisteva erano contrastanti poiché, mentre alcuni cittadini erano a favore del capitano Soule, diversi coloni che avevano subito lutti familiari dalle numerose incursioni indiane, erano invece insofferenti ed esagitati contro chi in quella sede preferiva parteggiare per i Cheyenne accusando chi difendeva in armi la comunità. Nonostante le numerose intimidazioni e minacce di morte, Silas Soule non ritirò nessuna accusa, tirò dritto per la sua strada portando contro Chivington ogni testimonianza in suo possesso (tra i più rappresentativi l’interprete e commerciante presente nell’accampamento John Smith nonché la guida meticcia Robert Bent), ben consapevole dei rischi per la sua persona ma determinato a smascherare quello scempio di vite umane che era stato volgarmente presentato come una gloriosa vittoria. In quei giorni, pertanto, Denver aveva una grande esigenza di tutelare l’ordine pubblico per le strade e Silas, nel tentativo di riprendere almeno una parvenza di vita normale, offrì il proprio contributo come assistente di polizia militare. In quei giorni, acquisita la paga, pensò finalmente anche a sposarsi -il 1° aprile 1865- con la bella 19enne Hersa Coberly, figlia della proprietaria di un noto saloon di Denver, l’Halfway House. Tre settimane dopo il matrimonio, il 23 aprile, mentre i coniugi Soule stavano tornando a casa dopo aver trascorso la serata con amici, vennero attirati da alcuni rumori provenienti da un vicolo, dove nel buio una persona, che evidentemente li stava aspettando, sparò in faccia a Silas, uccidendolo sul colpo prima che potesse reagire.
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Lapide affissa nel luogo dell'omicidio di Silas Souls a Denver |
I sospetti sul mandante dell’omicidio ricaddero subito su Chivington, per cui Wynkoop ed il fratello William Soule portarono immediatamente Hersa in un luogo sicuro, temendo un’ulteriore rappresaglia, mentre l’amico James Cannon si poneva immediatamente sulle tracce dell’assassino, riuscendo a rintracciarlo, catturarlo e consegnarlo alla giustizia giorni dopo nel New Mexico. Si trattava di un certo Charles Squier, ex miliziano già agli ordini di Chivington, grave indizio che tuttavia non poté mai formalizzarsi poiché, poco prima del processo, egli riuscì inspiegabilmente a fuggire dalla prigione facendo perdere le proprie tracce. Nessuna prova restava a carico del colonnello che fu soprannominato in tutto l’ovest come “il macellaio del Sand Creek”. Pochi giorni dopo anche il tenente James Cannon venne trovato misteriosamente ucciso avvelenato nella sua stanza a Tremont House: qualche testa a questo punto doveva cadere e toccò al Governatore Evans, costretto a lasciare la sua carica per l’inefficienza dimostrata nel gestire tutta la situazione, dai trattati di Camp Weld in poi.
Così finì, all’età di 26 anni, la vita di Silas Soule, un giovane americano che dedicò gran parte della sua breve esistenza al servizio di grandi ideali, in favore dei popoli oppressi dell’America dell’800, siano stati essi schiavi neri del sud o bambini e donne indiane dell’ovest, sfidando con l’incoscienza della gioventù un destino avverso che, dopo averlo collocato al centro di importanti e pericolosi episodi storici, lo abbandonò in quel vicolo buio, lasciando che il suo nome si aggiungesse a coloro che presto sarebbero stati dimenticati. La sua tomba, nel cimitero di Riverside, a nord-est di Denver, non dissimile da quelle vicine, coperta di terra, sabbia e ciuffi d’erba secca, ha come unico contrassegno distintivo alcune pietre, collocate in suo onore sulla lapide il 29 novembre 2003 dai discendenti Cheyenne e Arapaho, nel 139° anniversario del massacro del Sand Creek. Le pietre indicano simbolicamente la forza del pugno, amaro segno di lotta per la vittoria.
Sergio Amendolia
Bibliografia
Dee Brown – Seppellite il mio cuore a Wounded Knee – Mondadori.
Sitografia
https://www.nps.gov/sand/learn/.../the-life-of-silas-soule.htm;
http://www.historynet.com/silas-soule-massachusetts-abolitionist.htm;
http://www.westword.com/news/silas-soules-letter-tells-the-true-story-of-sand-creekbut-like-the-massacre-it-was-misplaced-5885512;
https://history.denverlibrary.org/silas-soule-1838-1865.
SERGIO AMENDOLIA
Nato 55 anni fa a Genova, sposato con 2 figli, 2 gatti e un cane, ho sempre guardato con stupore l'orizzonte e tutto ciò che quella linea rappresenta e contiene, convinto che dove il cielo finisce si celano sempre spazi e tempi lontani, spesso inesplorati o conosciuti poco e male. Forse per questo mi attira l'impostazione di questo blog ed i veli della Storia che gli articolisti provano spesso a sollevare, perché conoscere è importante e aiuta a capire ciò che siamo e come lo siamo diventati. Oltre alla nostra bella Italia ed alla sua impareggiabile ricchezza di arte e storia, mi affascinano molto gli scenari mozzafiato dell'Ovest Americano. In questi ultimi anni ne ho percorsi alcuni, ancora una volta cercando di varcare orizzonti i cui contorni sfuggono in continuazione, dimensioni che ho provato a malapena ad intuire nei volti dei nativi che ancora oggi si incontrano nelle riserve: a volte duri, scolpiti e aridi come i monoliti di arenaria rossa, probabilmente gli unici in grado di metabolizzare la sensazione di infinito che pervade quelle terre lontane. Per questo mi piace, quando il tempo libero me lo permette, collaborare con riviste e pagine web, tentando di approfondire le vicende che hanno caratterizzato la storia di quei popoli d'oltreoceano, in particolare l'epopea del West, con un occhio particolare agli uomini e alle donne che la vissero davvero, fuori dai luoghi comuni e dai grandi miti costruiti da Hollywood.