Nel mese di marzo 2016 abbiamo richiesto all’archivio della Camera dei Deputati della Repubblica Italiana materiale inerente all’armadio della vergogna. Ritengo che tutto questo debba essere comunicato al pubblico nella forma di divulgazione più semplice possibile. L’espressione, relativa all’armadio della vergogna, fu ideata dal giornalista Franco Giustolisi nel corso di un’inchiesta per il settimanale L’Espresso.
In questi articoli il giornalista denunciò l’esistenza di un armadio, rinvenuto nel 1994, in un locale di Palazzo Cesi-Gaddi a Roma. I locali del palazzo in Via Acquasparta erano la sede di vari organi di giustizia militare. All’interno dell’armadio furono rinvenuti 695 fascicoli d’inchiesta, ed un registro che conteneva 2274 notizie di reato relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazista e fascista. Partiamo analizzando i dettagli del ritrovamento: nel 1994 il procuratore militare Antonino Intelisano ritrovò un armadio con le ante rivolte verso il muro. All’interno dell’armadio, situato nei locali di Palazzo Cesi-Gaddi a Roma, furono rinvenuti i documenti sopra descritti insieme con un promemoria del comando dei servizi segreti britannici, intitolato Atrocità in Italia, con il timbro top-secret. Questi documenti sono stati celati al pubblico ed al popolo italiano per oltre 50 anni. Posso immaginare lo sgomento del procuratore nel momento in cui ha aperto il primo fascicolo. Nell'archivio sono stati rinvenuti documenti inerenti diversi eccidi e stragi perpetrati ai danni delle popolazioni inermi.
Tra queste anche l'incredibile e dolorosa ferita di Marzabotto, conosciuta come l'eccidio di Monte Sole, che fu un insieme di stragi compiute dalle truppe naziste tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944, nel territorio dei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno, in provincia di Bologna. Fu un crimine contro l'umanità e uno dei più gravi crimini di guerra compiuti contro la popolazione civile perpetrati dalle SS in Europa durante la seconda guerra mondiale. La triste conta delle vittime va da un minimo di 1000 ad un massimo di 3200 sebbene confrontando i dati dell'anagrafe si raggiunge quella di 1830. Lo storico Renato Giorgi scrisse: “molti si erano rifugiati in chiesa a prendere conforto dalle parole del parroco, don Ubaldo Marchioni, che recitava il rosario sull'altare. In penombra la massa inginocchiata bisbiglia le parole della fede e della speranza. Irrompono i nazisti, una raffica si alza sopra le grida della gente. Don Ubaldo cade sulla predella, colpito a morte. Tutti gli altri vengono buttati fuori dalla chiesa e ammassati nel cimitero. Solo una povera donna non può uscire, perché paralizzata alle gambe: Vittoria Nanni. Farà compagnia a don Ubaldo, massacrata nel mezzo della navata centrale, mentre disperata urla e annaspa invano con le braccia in aria, inchiodata alla seggiola. Enrica Ansaloni e Giovanni Bettini riescono a rifugiarsi nel campanile, e forse ancora sperano: li trovano e gli sparano. Gli altri, spinti nell'angusto cimitero di montagna, giacciono stipati e accavallati contro le lapidi, le croci di legno e le tombe”.
Gli tirarono addosso le bombe a mano, finendoli con le mitraglie. Tre i sopravvissuti, due bambini e una donna, Antonietta Benni di professione maestra d'asilo. Anche a Marzabotto alcune SS parlavano italiano, erano italiani. Dobbiamo fare un balzo indietro nel tempo per ricostruire i terribili eventi. Dopo l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, del 12 agosto 1944, iniziò la Marcia della Morte che, attraversando la Versilia e la Lunigiana, giunse nel bolognese. Lo scopo era quello di fare terra bruciata intorno ai partigiani nelle retrovie della Linea Gotica, sterminando le popolazioni che li appoggiavano. Intorno a Monte Sole agiva la brigata Stella Rossa che, sfruttando la posizione elevata, portava attacchi alle ferrovie e alle strade che rifornivano il fronte. I primi attacchi nazisti alla brigata risalgono al maggio del 1944, sempre respinti con successo. Il Federmaresciallo Albert Kesselring decise di sterminare le popolazioni che appoggiavano la brigata e radere al suolo i paesi nei quali vivevano. L'intento era quello di debellare la resistenza dei partigiani. A capo dell'operazione fu nominato il maggiore Walter Reder, già noto per essere uno dei possibili assassini del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss.
La Mattina del 29 settembre quattro reparti delle truppe naziste, guidati dai repubblichini, accerchiarono e rastrellarono una casta area compresa tra le valli del Setta e del Reno. Ricorda lo scrittore bolognese Federico Zardi: “quindi dalle frazioni di Pànico, di Vado, di Quercia, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo le truppe si mossero all'assalto delle abitazioni, cascine, scuole”. Distrussero tutto, ammazzando tutti. Nella frazione di Casaglia di Monte Sole la popolazione si rifugiò nella chiesa di don Ubaldo. Furono uccisi tutti: 197 vittime di 29 famiglie, 52 delle quali furono bimbi, anche in tenerissima età. Fu l'inizio della strage, l'inizio di un crimine di guerra feroce e incredibile perpetrato dalle truppe naziste. La violenza fu inusitata, tanto che a fine primavera, sotto la neve, fu ritrovato il corpo decapitato di un parroco, don Giovanni Fornasini. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944 il numero delle vittime civili era spaventoso, ben oltre le 100o persone. Le voci immediatamente iniziarono a circolare ma furono negate con fermezza sia dalle autorità fasciste che dalla stampa locale, il Resto del Carlino che il giorno 11 ottobre del 1944 scriveva:«Le solite voci incontrollate, prodotto tipico di galoppanti fantasie in tempo di guerra, assicuravano fino a ieri che nel corso di una operazione di polizia contro una banda di fuorilegge, ben centocinquanta fra donne, vecchi e bambini erano stati fucilati da truppe germaniche di rastrellamento nel comune di Marzabotto... Siamo dunque di fronte a una nuova manovra dei soliti incoscienti destinata a cadere nel ridicolo perché chiunque avesse voluto interpellare un qualsiasi onesto abitante di Marzabotto o, quanto meno, qualche persona reduce da quei luoghi, avrebbe appreso l'autentica versione dei fatti».
Il testo dell'articolo del il Resto del Carlino è possibile trovarlo nel libro del collettivo di scrittori bolognesi Wu Ming intitolato 54, edito da Einaudi nel 2002. Secondo le autorità fasciste e Il Resto del Carlino, le voci era diffamatorie. Solo dopo la Liberazione, lentamente, iniziò a delinearsi l'entità del vile massacro. Tra i massacratori vi erano pure italiani. Uno dei vili assassini, Albert Meier, ebbe il coraggio di dichiarare: “hanno avuto quel che si meritavano, abbiamo punito quelli che erano bacilli di sinistra”. Albert Meier è uno dei vili assassini cui l'armadio della vergogna assicurò l'impunità. Dei tre assassini individuati fino al 2003, due erano ancora in vita a quella data: Albert Piepenschneider e Franz Stockinger. L'operazione di Marzabotto fu una carneficina pianificata nei dettagli, per la quale Kesselring si complimentò con i suoi sottoposti, enfatizzando particolarmente l'azione del Maggiore Reder. La tesi della pianificazione è ampiamente descritta da Franco Giustolisi all'interno del libro L'armadio della vergogna. A dimostrazione di quanto detto riporto le testimonianze di due disertori delle SS presi prigionieri dalle truppe alleate. Il primo fu Julien Legoll, 20 anni nel 1944: “Partimmo alle sei del mattino del 29 settembre, il comandante della quinta compagnia tenente Segebrecht ci dette l'ordine di sparare indiscriminatamente su tutte le persone nelle vicinanze qualora fossimo attaccati, mentre eravamo in marcia. Gli ordini venivano da Reder. La sera prima per una riunione con tutti gli ufficiali era arrivato il colonnello Looss. A fianco del fiume Sette ci fu il primo scontro a fuoco. Portammo fuori da tre case nei dintorni trenta civili, c'erano un paio di vecchi, donne e bambini. Il tenente ci ordinò di allinearli a un muro e di mitragliarli. Cosi facemmo. Dopo una marcia di circa mezz'ora incrociammo tre donne e altrettanti bambini, il sergente Wolf disse di farli fuori. Gli sparammo... Il giorno dopo arrivammo a San Martino, a ridosso del Monte Sole. C'era una chiesa con tre edifici. Wolf da ordine di sparare, si odono le grida di una donna, il caporal maggiore Knappe getta dentro una bomba. Silenzio, la vecchia è morta. Il sergente ordina di distruggere tutto, anche la chiesa. A me ordinò di buttare una bomba sull'altare e dare fuoco alla chiesa. Gli dissi che ero cattolico, fu incaricato un altro. Arrivarono tre SS dalla seconda e terza compagnia, scortano un gruppo di civili: 30-40 donne e bambini. Il maresciallo Boehler dà il solito ordine. Pieltner mormora una obiezione, Boehler cava la pistola e gliela punta alla testa. Le obiezioni rientrano, si piazza la mitragliatrice e via. Al ritorno ci riportarono le congratulazioni del maggiore Reder”.
La partecipazione fascista alla strage era stata riportata dai pochi sopravvissuti e già nel 1946 la corte d'Assise di Brescia giudicò Lorenzo Mingardi e Giovanni Quadri, due repubblichini, per collaborazione, omicidio, incendio e devastazione. Mingardi ebbe la pena di morte poi trasformata in ergastolo. All'epoca dei fatti ricopriva il ruolo di commissario prefettizio e di reggente del Fascio di Marzabotto. Quadri fu condannato a 30 anni, poi ridotti a dieci anni e otto mesi.
Entrambi furono liberati per amnistia.
Al termine della seconda guerra mondiale, Walter Reder fu processato e nel 1951 condannato all'ergastolo. Il 14 luglio 1980 il tribunale militare di Bari gli concesse la libertà condizionale, aggiungendo però un periodo di trattenimento in carcere di 5 anni,"salva la possibilità per il governo di adottare provvedimenti in favore del prigioniero".
Cosi avvenne poiché Bettino Craxi, presidente del consiglio, decise di liberare anticipatamente Reder. A suo favore si erano mossi il governo austriaco e quello tedesco.
Morì nel 1991.
Nel 2006 ha avuto inizio il processo contro 17 imputati, tutti ufficiali e sottufficiali delle SS. L'istruzione dei procedimenti ha avuto luogo grazie alla scoperta dell'armadio della vergogna.
Il 13 gennaio del 2007 il Tribunale Militare di La Spezia ha condannato all'ergastolo dieci imputati per l'eccidio di Monte Sole.
A noi non resta che concludere con le parole di Salvatore Quasimodo:“questa è memoria di sangue, di fuoco, di martirio, del più vile sterminio di popolo, voluto dai nazisti di von Kesselring, e dai soldati di ventura, dell'ultima servitù di Salò, per ritorcere azioni di guerra partigiana”.
Le parole di Quasimodo sono l'epigrafe alla base del faro monumentale che sorge sulla collina di Miana, sovrastante Marzabotto.
Fabio Casalini
Bibliografia
Luca Baldissara e Paolo Pezzino, Il Massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Il Mulino, 2009
Franco Fontana, La staffetta. Le guerre non finiscono mai, Oltre i portici, 2007
Carlo Gentile, Le SS di Sant'Anna di Stazzema: azioni, motivazioni e profilo di una unità nazista, Carocci, 2003
Luciano Gherardi, Le querce di Monte Sole, vita e morte delle comunità di martiri fra Setta e Reno, Il Mulino, 1986
Franco Giustolisi, L'armadio della vergogna, Nutrimenti, 2004
Renato Giorgi, Marzabotto parla, Marsilio editore, 1999
Dario Zanini, Marzabotto e dintorni, Ponte Nuovo, 1996
Wu Ming, 54, Il resto del Carlino, 11 ottobre 1944, Einaudi, 2002
FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.