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Giulio Cesare Vanini, il bestemmiatore cui tagliarono la lingua

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Le fredde biografie ci ricordano che Giulio Cesare Vanini nacque nella notte tra il 19 e il 20 gennaio del 1585 a Taurisano, casale di Terra d'Otranto, da Giovanni Battista, uomo d'affari toscano trasferitosi in terra pugliese, che aveva sposato una ragazza dell'influente famiglia spagnola dei Lopez de Noguera.
In un censimento del 1596 sulla popolazione delle terre d'Otranto, risulta che nel casale di Taurisano risiedevano Giovanni Battista Vanini, il figlio legittimo Alessandro e il figlio naturale Giovan Francesco. La madre e Giulio Cesare non comparivano. Giulio Cesare lo ritroviamo nel 1599 a Napoli, come studente alla facoltà di giurisprudenza. Nel 1603, dopo la morte del padre, abbandonò gli studi per mancanza di fonti di sostentamento e decise d'entrare nell’ordine carmelitano assumendo il nome di Fra Gabriele. Nel 1606 ottenne la laurea in diritto civile e canonico. Nel 1608 fu trasferito a Padova, dove decise d'iscriversi alla facoltà di teologia. Gli anni trascorsi nella città veneta furono importanti per la sua formazione di filosofo, ed eretico. La città veneta era attraversata da continue polemiche antipapali poiché Paolo V voleva assoggettare la Serenissima Repubblica, di cui Padova faceva parte, all'autorità vaticana. Vanini si schierò arditamente contro Paolo V, favorendo nei suoi pensieri e nelle sue parole la Serenissima. Nello stesso periodo decise d'entrare a far parte del gruppo del frate Paolo Sarpi, colui che scatenò il conflitto antipapale. Agli inizi del 1612, in conseguenza dei suoi atteggiamenti antipapali, fu allontanato dal convento di Padova ove dimorava e rinviato, in attesa di provvedimenti disciplinari, al Provinciale di Terra di Lavoro. Vanini a Napoli non giunse mai, poiché si fermò a Bologna tramando in segreto con ambasciatori inglesi il suo passaggio in terra d'Albione. 
Poco tempo dopo, insieme al confratello genovese Bonaventura Genocchi, fuggì, attraverso la Svizzera e l'Olanda, in Inghilterra trovando rifugio presso Lambeth, sede arcivescovile del Primate d'Inghilterra. In questa località i due fuggiaschi si fermarono due anni, nascondendo, inizialmente, a tutti la loro vera identità. Vanini e Genocchi presero la decisione d'abbandonare pubblicamente la fede cattolica all'interno di una chiesa londinese di fronte ad un folto pubblico, tra i presenti anche Francesco Bacone, celebre filosofo, per abbracciare quella anglicana. Le autorità cattoliche furono prontamente informate dell'accaduto. Il nunzio apostolico a Parigi avvertì la segreteria di Stato vaticana che due frati non meglio identificati erano fuggiti in Inghilterra e “s'erano fatti ugonotti”. Il referente a Roma, cardinal Borghese, rispose dicendo d'essere già al corrente dei fatti e della esatta identità dei frati fuggiaschi. A Roma sapevano inoltre che Paolo Sarpi nutriva intenzioni di fuga, e che altri avrebbero seguito le orme dei fuggitivi, cercando di ricostruire in terra straniera un forte movimento antipapale. I mesi che seguirono furono intensi sull'asse Parigi, ove operava il nunzio Ubaldini, e Roma, dove la macchina della Santa Inquisizione stava pulendo gli ingranaggi. Improvvisamente i dispacci di Ubaldini in direzione di Roma mutarono tenore. Il Nunzio attestò al cardinal Borghese che i due preti fuggiaschi godevano di ottima reputazione in Inghilterra e trasmetteva grande fiducia sul fatto che si potessero recuperare per la Chiesa di Roma.Gli ingranaggi della Santa Inquisizione erano altamente ripuliti, tanto che iniziarono ad istruire un processo contro Vanini. I due frati, riparati in Inghilterra, supplicarono il perdono e la possibilità di rientrare in seno al cattolicesimo. Le autorità anglicane, informate delle lettere contenenti richieste di supplica, iniziarono una forte sorveglianza sulle persone di Vanini e Genocchi. Tra la fine del 1613 e l'inizio del 1614, Vanini si recò in visita alle Università di Cambridge ed Oxford, dove confidò ad alcuni conoscenti la sua imminente fuga dall'Inghilterra. Le autorità, immediatamente avvisate dell'accaduto, decisero di arrestare i due frati italiani e di rinchiuderli nelle case di alcuni servi dell'arcivescovo. Lo scandalo che scoppiò fu enorme: furono avvisati il Re e le massime autorità dello stato. Pochi giorni dopo, approfittando degli scarsi controlli e godendo dell'aiuto di agenti di stati stranieri, Genocchi fuggì dalla prigionia e dall'Inghilterra. 
La conseguenza immediata ricadde su Giulio Cesare Vanini, che fu trasferito e rinchiuso in un carcere nei pressi dell'abbazia di Westminster. La fuga del Genocchi ingigantì lo scandalo. Andavano trovati i collaborazionisti. Le voci si concentrarono sull'ambasciatore spagnolo a Londra e sul cappellano dell'ambasciatore veneziano. Nel frattempo Roma tacque, seguendo con molto calore le vicende. Le autorità di Londra decisero d'istruire prontamente il processo ai danni di Giulio Cesare Vanini. L'arcivescovo Abbot suggerì al Re la deportazione in colonie lontane come punizione, non il rogo che avrebbe trasformato il pensatore in martire. Le autorità londinesi non compresero che il silenzio dei cattolici era motivato dalle operazioni che stavano eseguendo in terra inglese. Nella seconda settimana di marzo, sempre del 1614, Giulio Cesare Vanini fece perdere le proprie tracce, aiutato dal cappellano dell'ambasciatore veneziano e dall'ambasciatore spagnolo. Vanini e Genocchi si ricongiunsero nell'aprile di quell'anno presentandosi al Nunzio di Bruxelles, che attendeva con trepidazione l'arrivo dei fuggiaschi. Prontamente iniziò la stesura della lettera di perdono per la fuga in Inghilterra e per l'apostasia. Le autorità cattoliche accordarono ai due frati il rientro in Italia previo l'abbandono dell'abito religioso. Con i documenti nelle loro mani, Genocchi e Vanini furono inviati a Parigi, dove gli attendeva il Nunzio Ubaldini. Dopo aver trascorso alcuni mesi nella sede del Nunzio parigino, i due frati ripresero la strada verso Roma, consci che la fase finale del processo di fronte alla Santa Inquisizione attendeva la loro persona. Si fermarono qualche mese a Genova insegnando filosofia. Nella città adagiata sul mare della Liguria accadde un fatto inaspettato: l'inquisitore generale decise d'arrestare Genocchi. Giulio Cesare Vanini, probabilmente intimorito dal fatto che sarebbe finito violentemente nelle mani degli inquisitori, fuggì verso la Francia, abbandonando l'idea di ritornare a Roma. Riparò a Lione dove, nel 1615, pubblicò l'Amphitheatrumn dedicandolo a Francesco de Castro, ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede. Vanini intendeva esibire tale pubblicazione a Roma in difesa della sua persona e dei suoi pensieri. La dedica all'ambasciatore spagnolo fu un atto per convincerlo a prendere le sue difese. Lo scritto ebbe un buon successo negli ambienti cattolici, tanto da convincere il Vanini di ripresentarsi al Nunzio di Parigi. Ubaldini, dopo alcuni incontri con il filosofo, decise di scrivere al cardinal Borghese a Roma per sapere quali fossero le condizioni esatte per il rientro in Italia. Vanini, scarsamente interessato alla risposta di Roma, entrò a far parte di alcuni ambienti molto influenti della nobiltà parigina. Nel 1616 pubblicò un'altra opera che ebbe un grande riscontro all'interno della nobiltà francese. Alcuni giorni dopo la pubblicazione due teologi della Sorbona, che avevano dato il benestare alla pubblicazione dell'opera, si presentarono ai membri della facoltà di Teologia dell'Università spiegando che il testo che circolava per le strade di Parigi non era lo stesso che loro avevano letto ed approvato e che in esso vi erano “errori contro la comune fede di tutti”. La Sorbona accolse la richiesta dei teologi: l'opera del Vanini non poteva circolare con la loro approvazione. Tale evento costituiva di fatto un divieto alla circolazione del volume. La risposta della Santa Inquisizione non si fece attendere: il vicario episcopale di Tolosa la condannò espressamente. Altri inquisitori firmarono e sottoscrissero la condanna del vicario di Tolosa. La Congregazione dell'Indice pronuncerà una condanna esplicita al testo del Vanini il 3 luglio del 1620. Fuggito dall'Inghilterra, impossibilitato a rientrare in Italia e minacciato dal alcuni settori cattolici francesi, il Vanini vide restringersi lo spazio di azione e la possibilità di trovare stabile sistemazione nella società francese. 
Giulio Cesare decise di fuggire dalla capitale francese e di rifugiarsi presso un monastero della Bretagna ove l'abate commendatario era un suo amico e protettore. Inaspettatamente e senza nessuna plausibile ragione, un personaggio sconosciuto fece parlare di se a Tolosa pochi mesi dopo la condanna esplicita del suo testo da parte del vicario episcopale della città del sud della Francia. Questo personaggio, dotato di grande intelletto e cultura, iniziò ad essere sorvegliato dalle autorità. Il 2 agosto fu arrestato e tradotto nelle carceri cittadine. Le autorità non riuscirono a conoscere le generalità di quell'uomo. Lo interrogarono sulle idee in materia di religione e di morale. Gli interrogatori procedettero speditamente. Il 9 febbraio del 1619 quello strano personaggio che si aggirava per le strade di Tolosa, al secolo Giulio Cesare Vanini, fu riconosciuto colpevole dal parlamento della città di bestemmie contro il nome di Dio e di apostasia. Vanini morì abbandonato da tutti. La sentenza fu terribile condannando il filosofo, sulla base delle normative del tempo previste per i bestemmiatori, alla stessa pena cui andarono incontro altri pensatori: gli fu tagliata la lingua. Fu strangolato. Infine fu gettato nel fuoco.

Fabio Casalini


Bibliografia

F. P. Raimondi (a cura di),Giulio Cesare Vanini: dal tardo Rinascimento al Libertinisme érudit, Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano 24 - 26 ottobre 1985, Galatina, 2002

G. Spini, Vaniniana, in «Rinascimento», I, 1950

F. De Paola, Vanini e il primo ‘600 anglo-veneto, Cutrofiano, 1979

F. De Paola, Giulio Cesare Vanini da Taurisano filosofo Europeo, Fasano, 1998

F. De Paola, Nuovi documenti per una rilettura di Giulio Cesare Vanini, in «Bruniana & Campanelliana», V, 1999

D. Foucault, Un philosophe libertin dans l'Europe baroque: Giulio Cesare Vanini (1585 – 1619), Paris, 2003

F. P. Raimondi, Documenti vaniniani nell'Archivio Segreto Vaticano, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», VIII (1980 - 1985), ma 1987

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

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