La sovrumana bellezza delle montagne dolomitiche giustifica la nascita di mille leggende, e fra queste forse una delle più belle, e anche per questo fra le più famose, riguarda il lago di Misurina, incastonato come uno smeraldo verde fra le tre cime di Lavaredo, del Monte Cristallo e del gigante Sorapìs. Le sensazioni quasi sovrannaturali che si possono provare al cospetto di quelle magnifiche vette dà conto e spiegazione delle meravigliose storie cui hanno dato vita.
Così ha perfettamente senso che sia stato un gigante infuriato a graffiare la parete nord delle Lavaredo, e non c’è niente di strano che le mille cime del Cristallo siano abitate da una fata bellissima e perfidamente gelosa del suo giardino verde e incantato. Né che Sorapìs sia stato un tempo un gigantesco Re dal cuore troppo tenero e troppo accondiscendente per la sua piccola bambina viziata. E che la sua unica bambina si chiamasse Misurina.
Così ha perfettamente senso che sia stato un gigante infuriato a graffiare la parete nord delle Lavaredo, e non c’è niente di strano che le mille cime del Cristallo siano abitate da una fata bellissima e perfidamente gelosa del suo giardino verde e incantato. Né che Sorapìs sia stato un tempo un gigantesco Re dal cuore troppo tenero e troppo accondiscendente per la sua piccola bambina viziata. E che la sua unica bambina si chiamasse Misurina.
Su tutte queste zone un tempo governava un Re. Il suo regno si estendeva dalle Tofane fino alle Tre cime di Lavaredo. Era un uomo imponente, di statura gigantesca ma di animo gentile, e i sudditi del suo regno non avevano di che lamentarsene.
Forse la sua mitezza d’animo, che poteva anche sconfinare nella malinconia, era dovuta al triste fato che l’aveva colpito nei suoi affetti. La moglie era morta e lui era rimasto solo con la sua piccola bambina, una bimba dolce e capricciosa, così piccola che anche raggiunta l’età di otto anni ancora poteva stare comoda nella mano del suo enorme papà.
Il Re si chiamava Sorapìs, la sua piccola figlia Misurina.
Misurina cresceva viziata, ed era la bimba più graziosa che mai si fosse vista in quei luoghi, tanto quanto era la più impertinente e capricciosa che si potesse incontrare.
Chiedeva al suo papà qualunque cosa e veniva esaudita, faceva dispetti a chiunque, combinava ogni disastro e veniva regolarmente perdonata. E’ piccola, crescerà diceva il suo grande padre, bisogna comprenderla, ha perso la mamma da piccola, non posso punirla. E così tutto il regno, il popolo, i cortigiani, le dame e i cavalieri subivano rassegnati i dispetti e le perfidie della piccola Misurina, ben consapevoli che suo padre il Re mai la avrebbe punita né contraddetta.
Misurina girava di continuo in lungo e in largo per il regno di suo padre, cogliendo fiori e ruzzolando nei prati quando non era impegnata a combinare scherzi e dispetti a chiunque incontrasse sulla sua strada. Sembrava che nulla potesse limitare le sue voglie e i suoi capricci.
Ma il giorno sarebbe arrivato. Il giorno in cui qualcosa l’avrebbe fermata per sempre. Non così sarebbe stato invece per l’amore infinito che papà Sorapìs provava per lei.
Un disgraziato giorno qualcuno le raccontò della fata del monte Cristallo. Misurina la conosceva, conosceva le sue arti magiche e conosceva il paradisiaco giardino che possedeva ai piedi del suo monte.
Quello che non sapeva ancora era che la fata del Cristallo possedeva uno specchio, uno specchio davvero magico. Facendoci specchiare qualcuno, chiunque esso fosse, il possessore ne avrebbe potuto leggere perfino i pensieri più nascosti. Era il giocattolo più meraviglioso che avesse mai sentito nominare. Meravigliosamente inutile come tutti i suoi capricci.
Misurina non lasciò più un solo attimo di tregua al suo povero padre. Nulla la avrebbe più soddisfatta finché non avesse avuto lo specchio prodigioso tutto per lei. Il povero vecchio Sorapìs tentò in tutti i modi di dissuaderla, ma la piccola invincibile Misurina era più forte della sua tenacia tanto quanto l’amore di lui era più forte di qualunque avversità, e alla fine si decise ad andare a visitare la fata del Cristallo, pronto ad offrirgli qualunque cosa gli avesse chiesto in cambio del suo specchio.
La fata disse no. Con la massima decisione disse di no.
Ma conosceva molto bene le debolezze di papà Sorapìs e la sua impossibilità a negare qualsiasi cosa alla piccola Misurina. Cedette in parte alle suppliche umilianti del grande Re, e in parte si lasciò condurre dalla sua perfidia verso un patto spietato.
Acconsentì a dare lo specchio al Re, ma chiese in cambio il più terribile dei pegni.
La fata possedeva un meraviglioso giardino ai piedi del monte Cristallo, una valle intera verde e brillante, ma vi batteva il sole tutto il giorno, e le sue meraviglie bruciavano per il troppo caldo. Il suo patto fu quindi questo: lei avrebbe dato il suo specchio al Re per donarlo a Misurina, e il Re si sarebbe trasformato per sempre in un gigante di roccia, tanto grande da diventare la più grande montagna della zona, e avrebbe tenuto per sempre nella giusta ombra il suo bel giardino.
Il vecchio Sorapìs inorridì, pianse, si disperò, rifiutò e poi urlò di rabbia, ma la fata era irremovibile. Poi l’amore per la sua unica figlia lo perse di nuovo, e si convinse che mai e poi mai la piccola Misurina avrebbe acconsentito ad un patto così scellerato solo per avere il suo futile giocattolo.
La fata, per quanto egoista e perfida fosse, rabbrividì rendendosi conto che l’amore di quel padre non solo lo piegava a qualsiasi umiliazione, ma ne accecava anche l’animo con la più verosimile e pietosa delle illusioni.
Quasi suo malgrado, fu costretta a cedere al suo stesso perverso incantesimo. Lasciò al Re lo specchio, con la promessa che se la piccola Misurina avesse rifiutato affinché suo padre non venisse pietrificato, avrebbe sciolto il patto e lo specchio sarebbe stato suo senza altro pegno.
Sorapìs se ne andò con lo specchio fra le mani e con l’animo convinto che il buon cuore della sua piccola bimba avrebbe salvato tutti dalla malignità della fata. La fata sapeva in cuor suo ciò che il papà non avrebbe mai potuto vedere e che era invece evidente a tutti gli altri, e già sapeva che di lì a poco il suo giardino avrebbe avuto l’ombra che gli necessitava.
Sorapìs tornò da Misurina e le raccontò tutto, attendendo fiducioso il rifiuto della piccola e lo scioglimento dell’orribile incantesimo.
Ma la piccola Misurina, cresciuta fra i propri capricci e senza mai altro pensiero al di fuori della soddisfazione delle sue voglie, non poteva capire né l’orrore né le conseguenze dei suoi gesti, né dove risieda il vero amore né cosa significasse davvero un sacrificio.
Alla notizia che il suo grande papà sarebbe potuto diventare una montagna, addirittura fu capace di gioirne. Saltellando come sempre nella sua grande mano e stringendo bene al petto il suo prezioso specchio, nella sua totale incoscienza andò fantasticando delle grandi ruzzolate che avrebbe potuto fare giù per i suoi prati e delle grandi dormite che avrebbe fatto all’ombra dei suoi boschi.
Mentre diceva queste cose e mentre suo padre ammutoliva, l’incantesimo della fata aveva già iniziato a produrre il suo infinito orrore. Le stupide urla di gioia di Misurina si trasformarono in un urlo di terrore, e sotto il suo sguardo raggelato il suo grande e buon papà iniziò inarrestabilmente a trasformarsi. Divenne ancor più grande, sempre più grande, e la sua pelle iniziò a cambiare colore, divenendo più scura e più grigia. I suoi capelli si trasformarono via via in larici ed abeti, le sue rughe diventarono sconfinati crepacci, le dita delle sue mani spuntoni di roccia e picchi inaccessibili.
Misurina, ancora in bilico su quella che una volta era la grande mano di suo padre, guardò giù e si trovò su uno spuntone di roccia altissimo, senza più niente sotto di lei. Il terrore della trasformazione di papà Sorapìs e il terrore dell’altezza a cui si trovava la vinsero d’un colpo.
Precipitò giù, senza nulla a fermare la sua caduta. Si schiantò sulle rocce insieme al suo maledetto specchio che finì in mille pezzi colorati sul fondo della valle.
E il fato non ebbe neanche la pietà di risparmiare a papà Sorapìs quell’ultimo terribile spettacolo, perché quando Misurina cadde giù e si schiantò, egli aveva ancora gli occhi, ed erano aperti.
Vide tutto, e pianse come nessun altro uomo al mondo pianse prima e dopo di lui.
Dai suoi due occhi in procinto di chiudersi per trasformarsi anche loro per sempre in roccia vennero giù due fiumi di lacrime disperate, due ruscelli impetuosi carichi di acqua cristallina. Scesero giù per le sue valli e i suoi burroni, e si raccolsero in fondo, dove era andato perduto per sempre il suo piccolo tesoro, e formarono lì il più piccolo e splendido lago di tutto il regno.
Da quel giorno Sorapìs divenne il suo monte più imponente e tragico, e la valle ai suoi piedi, dalle sue pendici fino a quelle del monte Cristallo, la più ombrosa e rigogliosa, e il lago di Misurina il più splendente lago delle alpi, splendente dei riflessi di mille colori che gli donano ancora oggi i mille frammenti dello specchio fatato rimasti per sempre a galleggiare nelle sue acque.
Alessandro Borgogno
Capitolo tratto dal mio romanzo “quasi” autobiografico “La valle del Boite”.