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Fatti di gente perbene

Fatti di gente perbene è un film del 1974, diretto da Mauro Bolognini ed ispirato ai fatti che seguono.

Il processo per l’omicidio di Francesco Bonmartini iniziò il 21 febbraio 1905. Per questioni d’ordine pubblico non si svolse a Bologna ma a Torino. In aula non vi era una sedia disponibile: erano giunti giornalisti da tutta Italia e da buona parte del mondo.
La folla all’esterno premeva per sentire, per sapere, per conoscere la successione dei fatti.
L’attesa per l’esito del processo si concluderà con gravi scontri, tra le forze dell’ordine e coloro che all’esterno parteggiavano per l’omicida, per il deceduto o per la donna che si cambiava d’abito ad ogni udienza.
Non mancarono i colpi di scena e le sorprese. Cent’anni prima della famosa ricostruzione di Bruno Vespa, per l’omicidio della contessa Vacca Augusta, qualcuno s’inventò la ricostruzione dell’immobile ove si era consumato il folle delitto. Il plastico dell’edificio, in scala, prevedeva la possibilità di alzare il tetto per visionare la stanza divenuta scena del crimine.
Possiamo immaginare la sorpresa dei giurati per quell'espediente?
Si? Nulla in confronto alla ricostruzione dell’arma del delitto.
Colui che sferrò, senza appello alla morale, un poderoso numero di pugnalate decise di liberarsi del coltello con il quale aveva infierito sul corpo di Francesco. Il coltello giaceva da qualche parte in fondo al mare: come ricostruire la scena del crimine, in anticipo di un secolo rispetto alla moderna criminologia, senza l’arma del delitto?
Le persone che conducevano l’inchiesta dovevano dimostrare la colpevolezza con riferimento alla situazione delittuosa. Occorreva dimostrare la possibilità dell’omicida di infierire, fisicamente, sul corpo del Bonmartini.  Gli inquirenti decisero di commissionare ad una società di Parigi la ricostruzione di un coltello con lama retrattile e un dinamometro incorporato.  Mancava però un corpo sul quale poter effettuare, in aula, una prova ad uso della giuria. Fu recuperato un cadavere donato alla scienza. Uno degli inquirenti iniziò a lanciare fendenti sul corpo inanimato. L’espediente dimostrò la possibilità dell’imputato di uccidere un uomo che pesava oltre 120 chilogrammi.
Una domanda sarà sorta spontanea: di chi stiamo parlando?
Ma partiamo dall’inizio.
Siamo a Bologna. È il 02 settembre 1902.
In comune era in corso una seduta del consiglio comunale, a cui partecipava Tullio Murri, figlio di Augusto Murri, noto luminare della medicina e docente all’Università di Bologna.
La porta della camera consigliare si aprì, tutti improvvisamente smisero di parlare. Entrò un usciere che si avvicinò al Murri e bisbigliandogli flebili parole all’orecchio.
Insieme uscirono. In corridoio Tullio si trovò di fronte la portiera del palazzo dove sua sorella Teodolinda viveva con il marito e i figli. La donna gli parlava sottovoce, non era bene che tutti sentissero. La faccia del Murri non lasciò dubbi. Ma cosa era successo?
Da alcuni giorni dall’appartamento della sorella usciva un odore cattivo, insopportabile. Qualcuno doveva aprire per capire cosa fosse successo, visto che la famiglia era in vacanza già da tempo.
Tullio non aveva la chiave, l’odore era insopportabile, nauseante, così decise di chiamare la polizia e di far abbattere la porta.
La scena che si presentò fu davvero inaspettata: in camera da letto c’era il cadavere in avanzato stato di decomposizione del conte Francesco Bonmartini, marito di sua sorella Teodolinda, Linda per tutti, ucciso con numerose coltellate.
Il sangue era sparso ovunque, l’appartamento sottosopra. A terra un portafoglio vuoto e delle mutandine femminili. Sul tavolo della sala due bicchieri utilizzati per bevande alcoliche.
La famiglia Bonmartini si trovava in vacanza al Lido di Venezia. Francesco era rientrato il 28 agosto solo, per sistemare delle faccende, ed ora giaceva morto pugnalato da oltre 10 fendenti.
Una rapina andata male?
Le indagini sembrarono arenarsi fino al 10 settembre, quando Tullio Murri si costituì ai carabinieri di Ala di Trento, mentre suo padre allo stesso tempo le denunciava come autore del delitto, avvenuto in seguito ad una lite degenerata in tragedia.
Con lui fu arrestata anche la sua amante, Rosa Bonetti, la donna di servizio della sorella. Anche Linda fu fermata, come mandante dell’omicidio.
Le indagini portarono a galla rapporti torbidi e relazioni poco chiare, addirittura incestuose.
Entrarono in scena nuovi personaggi, un giovane medico di nome Pio Naldi, che confessò di aver preso parte al delitto, e Carlo Secchi, allievo prediletto del Dottor Murri ed amate della bella Teodolinda.
Il 25 giugno 1903 il Secchi fu arrestato per il tentato omicidio per avvelenamento del conte Bonmartini, con la complicità di Tullio Murri, risalente ad alcuni mesi prima. Dietro tutto questo sembrava esserci la separazione tra il conte e Linda, che avvenne nel 1899 ma non ancora ufficializzata. Il Bonmartini era intenzionato a trasferirsi a Padova con i figli, per allontanarli da quell’ambiante ormai divenuto deleterio.
Iniziò il processo: 420 testimoni sfilarono in aula, ognuno dicendo la propria. Si susseguirono 104 udienze e sei mesi di dibattito, che portarono alla luce tradimenti, invidie e rivalità mai risolte.
Linda fu chiacchierata, analizzata, accusata. Attorno a lei si strinsero gli uomini della sua vita, il padre, il fratello, l’amante. Tutti la volevano proteggere, tutti volevano salvare lei, la bella e infelice Teodolinda, che nel dibattimento fu descritta come avida, dedita al piacere più che alla gestione dei figli, corrotta a tal punto da spingersi fino ad avere una relazione incestuosa col fratello e nel contempo ad intrattenersi con l’amante di lui.
L’opinione pubblica fuori dal tribunale era divisa. Innocentisti e colpevolisti si fronteggiarono anche con la violenza, tanto da costringere le forze dell’ordine a intervenire.
12 agosto 1905, il processo si concluse. La condanna arrivò per tutti: Tullio Murri fu condannato a 30 anni di carcere per l’omicidio del Conte Bonmartini, stessa sorte toccò a Pio Naldi, ritenuto complice.  Linda Murri e Carlo Secchi furono condannati a 10 anni per complicità.
Il ruolo di Rosina Bonetti non era stato accertato con sicurezza, ma il suo coinvolgimento in questa torbida storia le costò una condanna a 7 anni e mezzo per favoreggiamento. In carcere poco dopo la sentenza, la povera donna impazzì per la vergogna e per il dolore e finì i suoi giorni in manicomio a Torino.
Nel 1906 Vittorio Emanuele III concesse la grazia a Linda, che finì di scontare la sua pena in un villino di famiglia a Porto San Giorgio. Nel 1919 arrivò la grazia anche per Tullio Murri e Pio Naldi. Carlo Secchi morì in carcere in seguito ad una polmonite. I fratelli Murri furono graziati dal Re per il ruolo scientifico fondamentale svolto dal padre.
Il vero movente del delitto non verrà mai accertato, così pure come il colpevole.
Molti anni dopo, nel 2003, Gianna Murri, figlia di Tullio, nel libro La verità sulla mia famiglia e sul delitto Murri, scrisseche il vero autore del delitto era stato un facchino di nome La Bella o Labella, amante di una governante di Linda, soprannominato il "biondino". L’assassino solo in punto di morte confessò ad un prete la verità sul delitto Bonmartini. Ma ormai era troppo tardi.

Fabio Casalini ha curato l'introduzione, Rosella Reali la narrazione dei fatti

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Fabio Casalini - fondatore del Blog i Viaggiatori Ignoranti

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Rosella Reali - con i  Viaggiatori Ignoranti dal 26/07/2016




Bibliografia
Gianna Murri - La verità sulla mia famiglia e sul delitto Murri – Edizioni Pendragon, Bologna 2003

Valeria P. Babini - Il caso Murri. Una storia italiana - il Mulino, Bologna 2004

Massimo Picozzi, Alfonso Signorini - Blu come il sangue. Storie di delitti nell'alta società – Mondadori Editore, 2011

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