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Ferragosto 1977: la grande fuga

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Lentamente scivolava quel pazzo settembre del 1943. 
Le certezze svanivano. 
Gli amici di un tempo si ammucchiano su una nave salpata in direzione Brindisi. 
Nelle stesse ore un aereo trasportava Mussolini dalla prigionia del Gran Sasso al cospetto di Hitler.  
A Roma un uomo di 38 anni è promosso tenente colonnello delle SS. 
Il suo nome è Herbert Kappler. 
Il primo incarico giunge direttamente dal potente uomo che comanda le SS: Heinrich Himmler. 
Kappler doveva deportare gli ebrei dalla città eterna alla Germania. Nei giorni seguenti un secondo ordine giunge da Berlino:  L’inganno della tranquillità verso morte sicura. Kappler convocò Almansi e Foà nel proprio ufficio e disse, secondo quanto riporta Foà: «[..]non sono le vostre vite né i vostri figli che vi prenderemo, se adempirete le nostre richieste. È il vostro oro che vogliamo per dare nuove armi al nostro Paese. Entro 36 ore dovrete versarmene 50 kg. Se lo verserete non vi sarà fatto del male. In caso diverso, 200 fra voi saranno presi e deportati in Germania...». Foà era il presidente della comunità israelitica di Roma mentre Almansi era presidente dell’Unione delle comunità israelitiche italiane.  Prima che calasse la sera del 28 settembre i cinquanta chili d’oro furono consegnati nelle mani della Gestapo. Gli ebrei si sentirono tranquillizzati, senza immaginare che il cappio si stringeva maggiormente intorno al collo. Kappler, esperto di criminologia e specializzato nel controspionaggio, preferiva sfruttare le vittime come fonte di denaro. Lo scopo? Finanziare la sua rete di spionaggio. Presumeva inoltre che gli ebrei fossero in contatto con gli alleati: potevano essere una preziosa fonte d’informazioni. Pochi giorni dopo, il 16 ottobre, la violenza dei tedeschi si riversò sugli ebrei: alle 5,30 del mattino circondarono diversi isolati nelle zone adiacenti il Teatro Marcello e Trastevere. In quei luoghi abitavano circa 4000 dei 12000 ebrei di Roma. Le SS entrarono nelle case costringendo i residenti a scendere in strada. Molti ebrei furono caricati immediatamente sui mezzi tedeschi. Quel giorno circa 1000 ebrei furono deportati. L’operazione non fu condotta direttamente da Kappler ma da un uomo di fiducia di Hitler giunto direttamente da Berlino. Kappler poteva non sapere? No, sapeva. Kappler non fu l’uomo della liberazione di Mussolini e dell’inganno dell’oro appartenente agli ebrei. Lo ricordiamo per il massacro delle Fosse Ardeatine. Il 23 marzo 1944 alcuni partigiani italiani piazzarono un ordigno esplosivo che uccise trentatré soldati tedeschi in Via Rasella a Roma. Dopo consultazioni tra i comandi tedeschi, inclusi il quartiere generale in Italia del feldmaresciallo Albert Kesselring quello di Hitler, si stabilì che dovevano essere uccisi 10 italiani per ogni soldato tedesco morto. Kappler, insieme al questore di Roma Pietro Caruso, attese alla scelta di una parte delle vittime: in gran parte civili ed ebrei furono condotti da Erich Priebke e Karl Hass presso le Fosse Ardeatine, fucilati in gruppi di cinque. Al termine dell'esecuzione di massa l'entrata delle cave fu fatta esplodere. Furono 335 gli italiani assassinati.
Kappler fu arrestato dalle truppe inglesi alla fine della guerra e consegnato alle autorità italiane nel 1947. Fu messo a disposizione della Procura Militare di Roma che aveva promosso l’azione penale contro di lui.  Il 28 luglio 1948 il Tribunale militare lo dichiarò responsabile dell’omicidio di 335 persone commesso alla Fosse Ardeatine di Roma, e colpevole del reato di requisizione arbitraria di oltre 50 kg d’oro a danno della comunità ebraica di Roma. Per questi crimini fu condannato alla pena dell’ergastolo per il primo reato e a 15 anni di reclusione per il secondo, con l’isolamento diurno per quattro anni. La pena comminata fu scontata a Gaeta.
Il 15 agosto 1977 fugge dall’ospedale di Celio.
Così riportavano le cronache del tempo: «Polizia e carabinieri brancolano nel buio, assolutamente incapaci di ricostruire le fasi della fuga di Kappler dall’ospedale militare del Celio. Il nervosismo che domina al vertice dell’Arma dei carabinieri suggerisce anzi che l’episodio Kappler rappresenta lo smacco più grave e mortificante che le forze dell’ordine e i servizi di sicurezza italiani abbiano conosciuto in questi anni difficili ».
Al momento dell’evasione Kappler non è un detenuto, ma solo un prigioniero di guerra. Il 12 marzo 1976 la sua pena è sospesa a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute: ha un tumore al colon all’ultimo stadio. A sospendere la pena è Arnaldo Forlani, allora ministro delle Difesa ed esponente di rilievo della DC. Kappler può beneficiare della libertà vigilata e della scarcerazione tramite Sentenza n° 397 del Tribunale Supremo Militare del 15.12.1976. La notizia fece scalpore tra la popolazione, molti protestarono anche nell’ambito politico. A sedare gli animi intervenne, fra i tanti, anche il Cardinale Ugo Poletti, che invitò i cristiani di Roma a non opporsi alla sospensione della pena per non aumentare gli scontri. La situazione era molto tesa. Il 7 gennaio 1977 fu depositata presso la Cancelleria militare, l’annullamento per violazione di legge, in accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero, dell'ordinanza n° 397 emessa dal Tribunale Militare Territoriale di Roma in data 10 novembre 1976 e rinvia, per nuovo esame, allo stesso Tribunale. Forlani non si fece impressionare, disponendo il trasferimento dell’esponente di spicco delle SS all’ospedale militare Celio di Roma. Fu ricoverato al terzo piano del padiglione destinato agli ufficiali, in una stanza vicina all’ascensore, sotto sorveglianza del carabiniere Oronzo Pavone e dell’appuntato Luigi Falso. La Germania spinse a lungo per la scarcerazione di Kappler, poiché considerato ormai vecchio e malato. Numerosi sono i documenti che riportano la richiesta del Governo Tedesco a quello Italiano di concedere la grazia, sempre diplomaticamente rifiutata. La fuga avviene in un periodo particolare di crisi economica per la nostra nazione, che ha bisogno di appoggiarsi alla Germania per ottenere un ingente prestito.
Quella di Kappler può essere considerata una “fuga di stato”?
Solo crisi economica come fondamento di quest’evento?
Proviamo a ricostruire il contesto nel quale avvenne la fuga: in una dichiarazione del 13 luglio 1976, subito dopo le elezioni politiche che porteranno all’insediamento del III governo Andreotti, il cancelliere tedesco federale Schmidt rese pubblica una dichiarazione concordata con i governi statunitensi, francesi ed inglesi con la quale si diffidava l’Italia dal mutare il proprio schieramento politico tradizionale, se non voleva trovarsi isolata. L’Italia aveva bisogno dell’appoggio della Repubblica federale tedesca, poiché rappresentava il paese al quale avevamo dato in garanzia la riserva monetaria per garantire ulteriori prestiti.
L’Italia necessitava dell’aiuto tedesco. La Germania faceva pressioni per la liberazione di Kappler.
Improvvisamente la fuga.
Il responsabile delle Fosse Ardeatine era un uomo libero.
Quali le reazioni?
I giornali tedeschi, sostanzialmente, non erano contrari alla fuga del povero vecchio malato, e – coraggiosamente – lodavano la moglie che aveva permesso, con il suo aiuto all’evasione, la morte in patria.
Il comportamento dei politici tedeschi?
La pietà a volte è un brutto sentimento.
Non aspettò nemmeno un giorno dalla fuga il deputato liberale Moellemann, Presidente della sottocommissione parlamentare per l’aiuto umanitario, per dichiarare di aver inviato un messaggio ad Andreotti per invitare il Governo Italiano a desistere dall’intenzione di promuovere un nuovo procedimento giuridico, inteso ad ottenere l’estradizione di Kappler.
In Italia cosa accadde?
Il solo a pagare fu il ministro della Difesa Vito Lattanzio, costretto a dimettersi. Durante un’intervista disse: “Fui l’agnello sacrificale: pagai per tutti”. Alla domanda chi ordinò di allentare la sorveglianza, rispose: «Non sono mai riuscito a sapere con esattezza se fu Moro, Andreotti o Forlani a darlo: ricordo solo che in quelle ore il governo fu preso dal panico e io pagai per placare l’ira del popolo».
Il ministro Lattanzio dimentica forse che la sua caduta fu di pochi centimetri: il 18 settembre del 1977 perse il ministero della difesa per assumere, ad interim, l’incarico di ministro della marina mercantile.
Pesante il prezzo pagato?
Tornado all’evasione con conseguente fuga: le voci sullo svolgimento dei fatti sono molte e talvolta leggendarie. Dopo la morte di Kappler, la vedova, Annalise, rilascia interviste a diverse testate giornalistiche tedesche e straniere, in cui racconta che il marito la sera del 15 agosto 1977 fuggì avvolto in una coperta, salendo sull’ascensore a fianco della camera in cui era alloggiato.
Riporto le esatte parole della moglie: « Avvolsi il colonnello in una coperta e lentamente ci avviammo per le scale, scendendo un gradino alla volta, senza fare il minimo rumore. Giunti in macchina, distesi mio marito sul sedile posteriore e lo coprii con la coperta. Era quasi l´una di notte e io sapevo di poter contare su almeno sette ore di vantaggio: fino al controllo mattutino del prigioniero» »
La sorveglianza dei due carabinieri sarebbe ripresa solo sette ore dopo, come da ordini ricevuti dall’alto.
Dopo alcuni mesi vissuti a Luneburgo in Germania, vinto dal male che lo consumava, Kappler morì all'età di 70 anni nel febbraio 1978 e fu sepolto presso il locale cimitero, presente una piccola folla di amici e nostalgici, alcuni dei quali non esitarono a rendere omaggio al feretro con il braccio teso nel saluto nazista.
A noi restano solo le domande, la pietà è volutamente lasciata ad altri.

Fabio Casalini & Rosella Reali


Bibliografia
Furio Colombo (prefazione)– The italians and the holocaust. Basic Book, New York 1987
Sandro Viola– La fuga di Kappler. Una dama bionda e tre carabinieri. Repubblica del 17 agosto 1977
Andrea Maori– Ferragosto 1977 la fuga di Herbert Kappler. Quaderni radicali del settembre 2015
Susan Zuccotti - L'inganno di Kappler 50 chili d'oro in cambio della vita. L’Unità del 16 ottobre 2002

Documenti
- Sentenza n° 397 del Tribunale Supremo Militare del 15.12.1976
- Annullamento Sentenza n° 397 del Tribunale Supremo Militare del 15.12.1976, del 7 gennaio 1977
- Armadio della Vergogna

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