Il retro della Basilica di Santa Maria Novella affaccia sul piazzale prospiciente all’omonima stazione fiorentina, è un grande edificio di mattoni rossi che sembra non rispecchiare le meraviglie che ci si aspetta da questa città invece la preziosa facciata, in marmi bianchi e verdi, è celata nella piazza proprio dietro l’edificio. probabilmente è per questo motivo che, come la basilica di Santa Maria degli Angeli di fronte alla stazione Termini, non è tra le prime scelte di visita dei vari turisti.
Al contrario la chiesa è uno dei più importanti capolavori in stile gotico in Toscana e al tempo stesso la chiesa più antica in Firenze ed espone capolavori di Giotto, Brunelleschi (lo stesso della cupola del duomo) e Masaccio giusto per citare i più noti.
Al contrario la chiesa è uno dei più importanti capolavori in stile gotico in Toscana e al tempo stesso la chiesa più antica in Firenze ed espone capolavori di Giotto, Brunelleschi (lo stesso della cupola del duomo) e Masaccio giusto per citare i più noti.
Inizialmente fu convento di frati Domenicani edificato tra il 1279 e il 1357 vicino ad un'antica chiesa, citata nei documenti fin dal 931 ma esistente già nell’VIII secolo, circondata dai terreni coltivati fuori le mura di Firenze. Interventi successivi diedero forma all’attuale edificio che venne terminato nel secolo successivo e consacrato nel 1420.
Alla chiesa si può accedere da più punti, io ho scelto quello verso la Stazione che, tramite una piccola porta quasi anonima, passando per il Chiostro dei Morti (pregiato cimitero completamente affrescato dove si seppellivano i frati del convento) conduce nell’incantevole Chiostro Verde che deve il suo nome al colore predominante degli affreschi quattrocenteschi ad opera di Paolo Uccello incastonati sotto meravigliosi archi che fanno da cornice ad un prato con alcuni alberi.
L'interno della Basilica , la cui pianta è attribuita al Brunelleschi, è molto ampio e gli archi gotici colorati che scandiscono le tre navate contrastano con le pareti bianche o affrescate. Inizialmente la chiesa era suddivisa in due parti, all’incirca dove attualmente di trova il crocifisso di Giotto, quella superiore riservata ai franti mentre la parte inferiore aperta al pubblico: questo da una spiegazione logica alla strana posizione del pulpito apparentemente inusuale per l’attuale conformazione della chiesa.
Nel 1565 il Vasari eliminò tale tramezzo riordinando la chiesa in un unico corpo, chiudendo altresì la porta laterale che venne riaperta in occasione del Giubileo del 2000. Ulteriori ristrutturazioni furono effettuate tra il 1858 e il 1860 tuttavia la Basilica conserva nel suo interno ancora molti capolavori del passato alcuni dei quali riscoperti sotto affreschi effettuati in epoche successive.
La Trinità di Masaccio, recuperato solo nel 1860 sotto gli affreschi del Vasari, è uno splendido esempio di prospettiva e ritrae il crocifisso con ai piedi la Vergine Maria non come tradizionalmente siamo abituati a vederla nella sua giovinezza ma come una donna anziana.
Sospeso nella navata centrale della chiesa si può ammirare il crocifisso di un giovane Giotto realizzato sul finire del 1200.
La cappella Tornabuoni alle spalle dell’altare è intitolata sia alla Vergine a cui la chiesa stessa è intitolata si a Giovanni Battista, gli affreschi sono opera di Domenico Ghirlandaio presso la cui bottega Michelangelo lavorò per un periodo.
A destra e a sinistra dell’altare maggiore si trovano rispettivamente la Cappella Strozzi dedicata a San Giovanni evangelista e la Cappella Gondi che ospita un prezioso crocifisso ligneo del Brunelleschi che realizzo per dimostrare la propria bravura a “disprezzo” del Cristo che Donatello creò per la Cappella de' Bardi in Santa Croce.
Accanto alla chiesa si trova un museo e il Grande Chiostro che però è di solito non accessibile al pubblico in quanto ospita, dal 1920, la Scuola dei Marescialli e Brigadieri dell’Arma dei Carabinieri.
La torre campanaria ospita una campana chiamata “Cavolaia” che, leggenda vuole, prende il suo nome di un’erbivendola che vendeva i propri prodotti in Piazza delle Cipolle conosciuta e amata da tutti nel quartiere e gran devota alla chiesa di Santa Maria Maggiore. Sola e senza figli alla sua morte decise di devolvere tutti i propri a averi ai monaci con il preciso vincolo di utilizzare tale patrimonio per far fondere una campana. Questa campana, secondo le disposizioni della donna, doveva essere suonata al tramonto per richiamare l’attenzione di coloro al lavoro nei campi fuori le mura, affinché si affrettassero a rientrare prima delle chiusure delle porte della città.
Sul un lato della chiesa è possibile scorgere una testa di pietra murata nella struttura, si tratta di un viso di donna con i capelli ondulati tirati indietro che le discendono sulle spalle, che a Firenze viene chiamata Berta e dall’alto della suo posizione sembra scrutare l’andirivieni dell’indaffarato popolo fiorentino e suoi turisti.
Sull’origine di questa testa e la sua insolita posizione si sono alimentate nel tempo diverse leggende. La più accreditata racconta di tale Cecco D’Ascoli, astrologo ed alchimista, che percorrendo il viale nei pressi della chiesa che lo conduceva al rogo implorava acqua da bere. Una donna si affacciò da una delle finestre per vedere chi fosse il condannato. Riconoscendo l’alchimista e nel timore che l’acqua, grazie ai a suoi poteri potessero salvargli la vita, con poca carità cristiana intimò ai curiosi ai bordi delle strade di non offrir l’acqua aggiungendo a gran voce “altrimenti non brucerà più”. Cecco D’Ascoli per tutta risposta rivolgendosi a sua volta alla donna le disse “E tu non leverai più la testa di lì" lanciando la sua maledizione e facendola rimanere nella nicchia della finestra così come la vediamo oggi.
Una variante vuole che la testa raffiguri l’erbivendola “cavolaia” di cui abbiamo poco fa raccontato, grazie alla quale venne acquistata la campana per la torre che ogni giorno ricordava alla popolazione di affrettarsi perché la chiusura delle porte era vicina: i fiorentini riconoscenti per tale generosità vollero dedicarne un busto alla memoria.
Marco Boldini