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Julia Carta, la hichezera

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Nel 1492 l’inquisizione spagnola opera in Sardegna, con poca convinzione.
Viene istituita dal papa Sisto IV nel 1478 dopo le insistenti pressioni di Ferdinando II d'Aragona e Isabella di Castiglia e dipende direttamente dai sovrani di Spagna.
Diversa è l’inquisizione romana che nasce nel 1179 con il concilio Lateranense III indetto da papa Alessandro III, durante il quale si stabilisce, tra le altre cose, la necessità e la possibilità delle punizioni corporali nella lotta contro l'eresia (soprattutto in riferimento all'eresia catara e a quella valdese).
Nel 1563 la sede del Santo Officio nell’isola, con il suo inquisitore Diego Calvo, viene spostata a Cagliari.
La storia che vi voglio raccontare inizia nell’ottobre del 1596, quando alla casa di Costantino Nuvola a Siligo, nell’attuale provincia di Sassari, bussa il procuratore fiscale Pedro Folargio.
In questa casa Costantino vive con due figli e la giovane contadina Julia Casu Masia Porcu, detta Julia Carta.
Julia ha 34 o 35 anni, non sa di preciso la sua età. Ha un aspetto fiero, una spiccata femminilità, che sa usare in caso di bisogno con grande maestria, è astuta, dura come la roccia oppure dolce e remissiva a seconda dei casi. La famiglia è il suo bene più prezioso, ha perso 7 figli, conosce il dolore.
Ha 4 fratelli e 2 sorelle, tutti contadini o muratori. È analfabeta, come la maggior parte della gente del tempo e ha una cultura religiosa di base. Sa fare il segno della croce. In effetti Julia, come del resto le popolazioni rurali in genere, mal comprende i concetti che la Chiesa cerca di insegnare loro ad ogni costo. Preferisce le applicazioni pratiche che vengono dalla tradizione millenaria. Julia ha imparato da sua nonna tutto ciò che una contadina deve sapere, i segreti della terra e del vivere semplice.
Ma questa situazione cosa comporta? Che spesso si generavano dei sincretismi definiti “stregoneria”.
Julia viene arrestata.
L’accusa arriva direttamente dal parroco, che a su volta ha raccolto la confessione di una certa Barbara Sogos. E il segreto confessionale? Non esisteva?
Secondo il prete, Julia consiglia all’amica di non confessare tutti i suoi peccati, ma di tenere per sé quelli di stregoneria che devono essere detti solo in un buco fatto davanti all’altare, da ricoprire con la terra oppure con un lenzuolo superiore del letto.  A questa infamante accusa si aggiunge la fama di strega della Carta, che sa confezionare amuleti che proteggono dagli avversari, soprattutto se si tratta di uomini di legge, conosce pratiche magiche e fa la guaritrice, la bruxia, tanto che viene chiamata al capezzale dei malati o dei morenti.
Dopo l’arresto, altre 5 donne sono trattenute e interrogate: Dominiga Carta, Jacomina Zidda, Joana Seque Malisia, Joana Pinta, Jagomina Enna.
I fatti che hanno portato all’accusa sono i seguenti: l’anno precedente la nuora della Zidda si ammala. La Carta, la Sogos e la Dominga Carta vanno a farle visita e la Julia propone come rimedio alla malattia di cui soffre la donna, cioè l’idropisia, ovvero l’accumulo di liquidi nei tessuti interni, di far bere all’ammalata una bevanda con all’interno polvere di ossa di una persona morta della stessa malattia. Le amiche sono in disaccordo. Dopo un breve battibecco, causato dai rimorsi di coscienza di Jacomina nei confronti della nuova fede, Julia consiglia alla donna di non confessare al prete quanto sta per succedere e che certi peccati vanno affidati solo alla terra o al segreto delle lenzuola.
Julia è davanti agli inquisitori.
Per tre giorni le chiedono di liberare la coscienza e di confessare.
Lei non parla, non sa di cosa deve parlare.
Chiede di avere con sé il piccolo che ha partorito da solo 4 mesi, glielo concedono.  Dormono insieme per terra, stretti in un abbraccio senza fine.
Il tempo stabilito per la confessione finisce, viene giudicata colpevole di eresia e di stregoneria, per aver confezionato amuleti per i banditi, provocato la morte di una donna con malefici, sconsigliato la confessione. Ora può essere torturata e giustiziata.
Julia crolla, ha paura, si mostra debole. Dice di essere lì per aver rifiutato aiuto a persone del paese, e non per aver fatto qualcosa di male, che le accuse sono false.
Viene interrogata ancora, sugli amuleti. Sta volta parla. “Servirono per Antoni Melone, che era in carcere, e per Juan Pedro Masala per non farlo arrestare.”
A sentir parlare di questi due uomini, gli inquisitori si spaventano. Gli amuleti di Julia funzionano?
Antoni Melone non è stato trattenuto in carcere, mancano le prove, Juan Pedro Masala è ancora latitante.
E come guaritrice è apprezzata, i suoi suffumigi funzionano per quasi tutti, ma non per la cognata della Jacomina Zidda che muore. E la colpa ricade su di lei.
Le accuse fiaccano la resistenza di Julia. Comincia ad ammettere di aver appreso dalle anziane del paese l’antico sapere. Al suo fianco l’avvocato difensore, Dott. Antonio Angel Sanatello, che la incita a confessare, ad ammettere tutto, ad invocare la clemenza degli accusatori. Ad invocare la clemenza degli accusatori. Julia è confusa, sente il suo piccolo piangere, chiede di andare da lui.
Ad aggravare la posizione della donna arriva la testimonianza di una bambina, Bella Solinas, che racconta che sua madre Angela è ricorsa a Julia più di una volta per i suoi suffumigi e perché le dicesse quale sarebbe stata la sorte del figlio maggiore, chiuso in carcere.
Per avere questo responso la Carta prende una tegola e vi getta sopra delle braci che spegne con tale veemenza da spaventare i presenti. La riposta è tremenda: quella notte Angela morirà.
E così avviene, Angela muore. Il marito, Pedro Virde, è chiamato a testimoniare contro la Carta, ma non se la sente e dichiara di non averla mai vista fare stregonerie. Le accuse arrivano dalla sorella di Pedro, Maria Virde, che è piena id rancore per Julia, vuole, che qualcuno paghi per la morte della cognata.
A questo punto anche Pedro cambia idea, accusa la guaritrice. Dice di averla vista con un fazzoletto pieno di ossa di morto da polverizzare e da spargere sulla porta di casa, a protezione del figlio. La magia della Carta funziona.
Contro di lei anche due aspiranti streghe invidiose, Giorgia Sannia e Dominiga Carta, che la temono come la potente, la strega, la guaritrice. Parlano del suo sapere, dei suoi metodi antichi. Portano esempi, testimoniano contro di lei.
Julia è alle strette, nega tutto, nega la stregoneria. Il procuratore fiscale le domanda di parlare del suo patto con il demonio. Julia nega ancora.
Seguono tre settimane di silenzio. La Carta resta in carcere con il suo bambino da allattare.
Dicembre. La donna è stremata, vuole andare a casa con il suo piccolo ad ogni costo. Decide di confessare.
Dice di aver fatto qualcosa. Messa di fronte alle testimonianze raccolte cerca di minimizzare.
Racconta che una zingara un giorno le ha insegnato come predire la morte o la salvezza di un ammalato. Fa dei nomi, ma sono tutte “streghe” già morte. Parla anche della nonna Juanna Porcu, le cui conoscenze le erano state tramandate da bambina.
Passano i mesi. Febbraio.
Julia Carta è sfinita, chiede di poter tornare a casa con il figlio, non ha un letto, è denutrita, provata.
Durante la domenica delle Palme è liberata, può tornate a casa, a patto di presentarsi se fosse stata chiamata a farlo.
Poco tempo dopo è riportata a processo, e condotta nella camera delle torture. Terrorizzata, Julia confessa la stregoneria. Implora pietà, chiede clemenza ai suoi accusatori. La ottiene, la lasciano libera, hanno avuto ciò che volevano, la confessione.
La sentenza non può essere emessa se inquisitori e arcivescovo non sono d’accordo sulla colpevolezza dell’indagata.  E gli inquisitori sono dalla sua parte, li ha convinti. Ma come ha fatto?
Ma non finisce qui. Nel settembre 1597 è riportata in giudizio. Gli inquisitori sono Pedro De Gamarra e Pedro De Axpe. Questa volta Julia non esita a parlare del diavolo, confessa, ammette. La confessione chiude il processo, gli inquisitori possono dare un pubblico esempio condannandola a morte. Ma nessuno se la sente di comminare la pena capitale a quella donna tanto affascinante.
E’ condannata per eresia, stregoneria e idolatria del demonio. Deve abiurare pubblicamente per avere salva la vita.
Il giorno dell’abiura Julia sale sul palco, davanti a tutta la gente di Siligo. La condanna è letta in sardo. Ora deve ripetere parola per parola la sua abiura. Viene anche condannata a tre anni di carcere e al sequestro dei beni. Durante quel periodo avrebbe dovuto indossare sopra gli abiti, il sambenito, un abito scapolare in due pezzi che ricadono davanti e dietro e con un’apertura per la testa, confessarsi, comunicarsi, recitare il rosario il sabato, rinunciare ad ogni forma di lusso. Tanto lei è povera.
Finita la condanna, il sambenito è esposto in chiesa come monito per la gente. Sparisce.
Nel 1604 è nuovamente arrestata.  Questa volta è una relapsa, una ricaduta nell’eresia. I nuovi inquisitori sono indecisi in merito alla sua sorte. Altre streghe sono incarcerate con lei. Le sue doti di persuasione funzionano, è liberata.  Ne esce distrutta nella reputazione ma ancora salva.

Le carte a noi pervenute sono incomplete e la strega di Siligo si dissolve, fa perdere le sue tracce. 

Rosella Reali

Bibliografia
Angelica A. Pedatella - Le donne più malvagie della storia d'Italia - prima pubblicazione 2015

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