Quantcast
Channel: I Viaggiatori Ignoranti
Viewing all articles
Browse latest Browse all 679

Il Signore scese da cavallo per raccogliere una briciola da terra

$
0
0
Il cibo un tempo non veniva mai sprecato perché era un dono prodotto in un mondo duro, fatto di fatiche e giornate lavorative interminabili per raccogliere quel poco che si poteva per il sostentamento della famiglie. 
Ricordo che mio nonno paterno, nato a Miazzina nel primo decennio del 1900, era solito dirmi “il Signore scese da cavallo per raccogliere una briciola di pane a terra” per significare il rispetto e la sacralità del cibo che oggi invece è spesso gettato con noncuranza nei cassonetti non solo come avanzo ma addirittura anche intonso.
Un tempo si avevano a disposizione solo pochi alimenti spesso legati al territorio e alla stagionalità ma soprattutto alle condizioni di estrema povertà che talvolta non permettevano a tutti di mangiare. Nonostante l’asprezza della vita e le ridotte disponibilità economiche specie in paesi montani, non mancavano mai inventive per offrire un menu che almeno vagamente potesse aiutare ad immaginare di mangiare qualcosa di diverso.
In questo articolo desidero raccontare del “trusin” un piatto che sicuramente nelle attigue valli è conosciuto dai più magari con qualche variante o con nomi differenti. La ricetta che vi propongo mi è stata indicata da Bossi Luigia che a Miazzina è nata e tuttora vive a cui va il mio personale ringraziamento per aver condiviso questo importante pezzo di tradizione.
Al tempo il lardo in casa non mancava quasi mai perché quasi tutte le famiglie possedevano maiali oltre a mucche o capre, con il quale preparavano un battuto per insaporire la minestra di riso e verdure che quasi tutte le sere faceva la sua comparsa sulla tavola.
Le verdure oltre che dal’ orto, quando era stagione provenivano anche dai prati che offrivano tesori come  “petascioi”, “garzulett” “pancald” “urtighitt”, “braccol” malva selvatica oppure menta.
La minestra veniva preparata appositamente abbondante rispetto alle bocche da sfamare affinché la sera successiva potesse essere allungata con acqua ed aggiustata di sapore con dado oppure sale.
La minestra così allungata veniva posta su una stufa a legna e, una volta portata a bollore, veniva aggiunta a pioggia una ciotola di farina gialla per la polenta mescolando lentamente. La consistenza da raggiungere dopo circa 30 minuti di cottura dosando “a occhio” la quantità di farina a disposizione, era quella di una polentina da far rimanere morbida che nei dintorni viene chiamata “fersa”.
Terminata la cottura il composto ottenuto veniva versato in un piatto di portata e  ciascuno si serviva la propria porzione che si poteva mangiare con il latte, il gorgonzola oppure lo “spress” un formaggio casereccio di allora.
Mi rendo conto che parlare al giorno d’oggi di un pasto del genere possa, nel migliore dei casi, far sorridere molti lettori ma in momenti di difficoltà senza necessariamente doversi piangere addosso o parlare di povertà è una possibile idea da proporre qualche volta sulle nostre tavole.
Sarò un po’ “datato” ma noto sempre di più che i nostri “vecchi”, seppur meno istruiti di noi, hanno ancora ragione su molte cose. Vivevano una vita certamente difficile ma probabilmente meno stressata e proporzionalmente più felice della nostra dove abbiamo tutto ma spesso non sappiamo cosa scegliere e talvolta ci facciamo prendere dalla noia.
Ho avuto il piacere di condividere alcuni piatti di “trusin” insieme a persone care che mi hanno concesso il privilegio di vivere i loro ricordi di un tempo che mi ha fatto emozionare scoprendo gusti e profumi particolari a me sin ora sconosciuti.
In una fresca serata di Agosto, lasciando che il sole si affievolisse dietro le montagne e che pin piano diventasse buio,  ho maturato la sicurezza che l’appagamento dell’anima e della mente spesso prevale sulla mera necessità di nutrirsi e sentirsi sazi.
So che questo articolo potrebbe sembrare fuori tema, visto che il blog tratta di luoghi, ma prima di tutto sono sicuro che voglia preservare la memoria e le radici e dove meglio che in Italia il cibo rappresenta una parte della nostra infinita storia e cultura?
Mi auguro che ci possano pervenire molti commenti da nostri lettori più maturi che queste cose le hanno provate così come nuove ricette e curiosità dimenticate da aggiungere a questa. Il consiglio che mi sento di dare è quello di avere la volontà di provare a realizzare questa ricetta che oltre a far risparmiare qualche soldino possa essere spunto per raccontare a chi non l’ha vissuta le fatiche della guerra provando a far comprendere ciò che è stato e che permetta di apprezzare meglio ciò che abbiamo che, con gli ultimi avvenimenti mondiali, non sempre oggi è così scontato come erroneamente crediamo.

Luigia Bossi & Marco Boldini

Viewing all articles
Browse latest Browse all 679

Trending Articles



<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>