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Salecchio, terrazza walser sulla Valle Antigorio

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Salecchio è un piacevole abitato silenziosamente adagiato su una terrazza naturale che domina la valle Antigorio. La sua bellezza ha superato i secoli, regalando a chi ha la voglia di arrivarci a piedi nel periodo estivo, case in legno e sasso adorne di variopinti gerani. 

Dalle sue alture si può ammirare, oltre che la valle Antigorio, anche una parte della Val d'Ossola. 
Il piccolo borgo è un antico insediamento walser. Si pensa che a stabilirsi qui fu un gruppo di provenienza dalle vicine valli della Svizzera, che su invito esplicito della famiglia dei conti di Castello, di cui i de Rodis erano un ramo, decise di fare di questo luogo impervio ed isolato la propria dimora per molti secoli. Il paese anticamente era sotto la giurisdizione dei de Rodis: un vicario, nominato direttamente da loro, si occupava dell'amministrazione della giustizia, che si svolgeva in piazza davanti alla chiesa principale. 
Il 19 marzo 1381, con formale atto di dedizione, Salecchio e tutta l’Ossola superiore passarono sotto il controllo del duca Gian Galeazzo Visconti di Milano. I privilegi feudali goduti dalla famiglia de Rodis furono riconfermati, a più riprese, sia sul territorio del paese che sulle altre colonie walser di Formazza e Agaro. Il XVI secolo segnò la fine della giurisdizione del casato di Baceno. Il loro posto fu preso dai Marini di Crodo. 
Il 22 febbraio 1588 furono pubblicati per la prima volta gli statuti che regolamentavano la vita della comunità. Erano composti da: un prologo, una parte dedicata agli atti criminali, redatta su esempio dello statuto della curia di Mattarella, e una parte civile, che si ispirava a quanto stabilito negli statuti della giurisdizione di Antigorio. In totale si contavano 74 articoli, che regolavano il vivere quotidiano in ogni suo aspetto, da quello legale a quello più strettamente personale, cercando in ogni modo di mantenere unita la collettività e integro il territorio. Ad esempio erano sancite pene molto severe per alcuni tipi di reati: i bestemmiatori erano messi in catene, ai ladri venivano tagliate le mani, gli assassini erano decapitati, le adultere erano fustigate in piazza davanti a tutti. Si quantificano inoltre, con grande precisione, i diritti feudali dei nobili Marini di Crodo, fra i quali vi era la possibilità di cacciare nel territorio di Salecchio, il diritto di confiscare i beni in caso di condanna a morte di un abitante, e quello di incassare un'imposta del 5% sugli acquisti, esclusi quelli inerenti case e boschi. Ogni anno doveva inoltre essere nominato un giudice che assumeva l'incarico di riscuotere le spese processuali e che percepiva, nello svolgimento del suo incarico, una somma in denaro prestabilita: ad esempio per ogni controversia risolta oppure per ogni confessione di un reato ottenuta, incassava una somma che costituiva per lui una specie di rimborso spese. 
Dalle genti di Salecchio il giudice, che era un uomo “di fuori”, non era molto ben visto, come del resto non lo erano i Marini, signori dispotici che abusavano abbondantemente dei loro privilegi. Fu così che in seguito ad una serie di angherie subite, il salecchiesi decisero di rivolgersi all’ufficiale giudicante della curia di Mattarella, al fine che valutasse con imparzialità quanto stava avvenendo sul loro territorio. Nel febbraio 1635 arrivò un incaricato della camera Ducale, che si recò in valle per appurare se i fatti denunciati corrispondessero a verità. In seguito alle indagini svolte, gli abitanti del paese chiesero ed ottennero di poter eleggere fra loro un vicario che amministrasse in prima istanza la giustizia, sia per le cause civili che per quelle penali più leggere. Il primo delegato liberamente eletto a Salecchio fu Peter Hans Menning. I territori dell’abitato e quelli di Agaro furono sequestrati ai Marini, nonostante la loro fervida opposizione, e messi in vendita. Li acquistò il conte Giulio Monti di Valsassina nel 1646, al prezzo di 4360 lire. Con le terre e i suoi abitanti, si aggiudicò anche i diritti feudali di sfruttamento, tra cui vi erano il diritto a riscuotere una tassa sugli acquisti di terreno, la possibilità di nominare un notaio per tutti i passaggi di proprietà, la facoltà di vietare la caccia e di punire i trasgressori. Il conte Giulio Monti assunse il titolo, conferitogli da Filippo IV, di Marchese di Salecchio. Dopo qualche tempo Salecchio che Agaro passarono alle dirette dipendenze dello stato di Milano. 
Il successivo trasferimento del piccolo borgo walser e dell'Ossola al Regno d'Italia, non segnò la fine di questa tenace comunità. Salecchio in quel tempo era uno dei Comuni più piccoli per territorio e per numero di abitanti. Nonostante questo mantenne la sua autonomia rispetto al resto della valle, continuando la propria vita fra mille difficoltà e sacrifici. I contatti con “l'esterno” erano pochi e dettati quasi esclusivamente da ragioni di sopravvivenza e necessità: gli scambi commerciali in primis, la stesura dei verbali durante i consigli comunali, che erano necessariamente stilati da una persona proveniente dalla valle Antigorio in quanto nessuno in paese sapeva leggere o scrivere. Questa richiesta costituiva spesso motivo di scontro con il delegato convocato, che mal volentieri si apprestava a percorrere la distanza tra la valle e il paese. Per ovviare a questo problema veniva spesso chiesto ai salecchiesi di svolgere i consigli comunali in un luogo più comodo per tutti, magari proprio in valle Antigorio. Ma l'orgoglio degli abitanti del piccolo centro aveva sempre la meglio su qualsiasi rimostranza. Solo un decreto del governo fascista riuscì ad avere ragione sul suo isolamento. Salecchio fu annesso come territorio al più grande comune di Premia nel 1928. Dal primo insediamento erano trascorsi 700 anni, durante i quali la gente walser aveva preso autonomamente in molte occasioni le proprie decisioni, con tanta caparbia tenacia da riuscire a sottrarsi al controllo dei pretenziosi signori che si erano susseguiti nel tempo. 
La cosa più spiacevole che avvenne in seguito fu la distruzione dei documenti a testimonianza di quei sette secoli di vita: la maggior parte fu data alle fiamme dai funzionari saliti da Premia. Nascite, morti, matrimoni, controversie, passaggi di proprietà, cause civili e penali…. tutto in fumo, tranne quello che fu ritenuto di carattere “ufficiale”, che venne caricato in gerle e portato a Premia, quasi a voler sottolineare che si concludeva così la storia dell'autonomia di questo paese. Qualche anno dopo una parte della documentazione conservata a Premia fu distrutta a sua volta. Un ulteriore colpo alla memoria del borgo fu dato negli anni ’70, quando qualcuno mise mano all'archivio parrocchiale trafugando una parte degli incatramanti li conservati. 
L'abitato era costituito da due grandi frazioni, Salecchio inferiore a 1320 mt. e Salecchio superiore, a 1510 mt. La parte inferiore era sua volta composta da due grandi gruppi di case distinti: im Sluga, ai piedi della parrocchia di Santa Maria dell'Assunta e, vicino al cimitero, zur Rufinn, sede della piccola scuola. La parte superiore era costruita attorno all'oratorio di San Giuseppe. Essendo questa zona del paese più esposta al pericolo delle valanghe, era sancito inderogabilmente nello statuto il divieto di tagliare le piante cresciute sul bordo del pendio sopra le case. Vi erano poi altri piccoli centri di pertinenza dell'abitato principale: Morando (Murant), Casa Francoli (Frankuhuis), immersa in prati verdeggianti e rigogliosi. A queste si aggiungevano alcune abitazioni utilizzate solo in estate e autunno, nascoste tra i folti boschi di larici, alcune le baite all'alpe Campo (Kameralpu) e altre all'Alpe Casarola, costruite in una conca sotto il Pizzo Topera. 
La popolazione è sempre stata molto devota, e lo ha ampiamente dimostrato nei secoli. 
Le prime tracce giunte fino a noi dell'edificazione della chiesa dell'Assunta risalgono al 1470. La giurisdizione sulle anime dei salecchiesi era affidata ai parroci di Baceno, che si impegnarono a celebrare, dietro esplicita insistenza della popolazione, nel piccolo oratorio la messa durante i giorni festivi e, in caso di richiesta, di suffragio dei morti. Il resto delle cerimonie veniva svolto a Baceno. Col passare del tempo gli abitanti di Salecchio, che si sentivano trascurati, fecero la richiesta di avere un proprio parroco, qualcuno che rimanesse in pianta stabile a vivere con loro. Anche questa volta, come per il vicario, ottennero nel 1640, seppur in parte, quanto desideravano. Il primo cappellano del paese fu Antonio De Filippis di Masera, che però non rimase mai nel borgo: le condizioni di vita erano da lui giudicate proibitive e troppo sacrificali. Si presentava inoltre un altro problema, di non facile risoluzione. Don Antonio, come molti altri parroci che si susseguirono, non conoscevano il titsch, lingua walser rimasta in Salecchio al riparo da contaminazioni esterne. Fu così che gli uomini del posto ottennero un altro privilegio, cioè quello di poter nominare in caso di vacanza, il proprio cappellano in maniera del tutto autonoma. Questi sarebbe vissuto con le rendite della piccola chiesa Dell’Assunta, circa 400 lire Imperiali, e con le regalie dei fedeli. 
La chiesa di Santa Maria dell'Assunta divenne la principale per la piccola comunità alpina. In merito alla sua storia sono arrivate fino a noi due versioni contrastanti. Secondo alcuni documenti l’edificio originale venne abbattuto e riedificato, in quanto versava in condizioni di grave trascuratezza. Esiste una richiesta del Vescovo Volpi del 1627, con la quale il prelato di Novara chiese esplicitamente di mettere mano all'edificio, al fine di renderlo dignitoso per chi si volesse recare sul luogo a pregare. Nella lettera si raccomandava, soprattutto, di coprire gli affreschi in essa contenuti con della calce, per salvaguardare gli occhi dei fedeli dallo scempio in cui vertevano. Secondo altri documenti, invece, sembrerebbe che la cappella fu distrutta in seguito a una valanga che travolse il paese nella primavera del 1663, in seguito alla quale furono iniziati i lavori per l’edificazione della nuova chiesa dell'Assunta, quella che oggi è arrivata a noi. La tradizione vuole come veritiera questa seconda versione. 
Nel 1682 fu nominato il primo cappellano dai salecchiesi. L’uomo era in grado di parlare e comprendere la lingua del posto. Fu stilato un nuovo accordo economico di sussistenza, che andava a implementare il precedente, in quanto il primo era considerato inadeguato e oggetto di gradi lamentele, soprattutto a causa dell’esiguità della somma che veniva riconosciuta come indennizzo per il grande sacrificio richiesto. Furono aggiunte 50 lire Imperiali a patto che il cappellano si impegnasse, senza deroghe, a impartire l'estrema unzione a tutti i moribondi, garantendo la sua presenza ogniqualvolta fosse stato necessario, cosa che prima per altro non avveniva, con grande dolore per i devoti abitanti del borgo, che vedevano spirare i propri cari senza il conforto della fede. La richiesta comportava la presenza fissa di un rappresentante della chiesa in paese. Ma ancora una volta il salecchiesi dovettero fare i conti con la difficoltà che presentava vivere sul loro territorio e si trovarono di fronte all’ennesimo rifiuto. Intervenne nuovamente la loro tenacia. 
Un ulteriore passo avanti verso l'indipendenza fu fatto il 15 aprile 1727. Come risulta da alcuni documenti, il parroco di Crodo, Giuseppe Darioli, fu incaricato dalla curia di Novara di trovare una soluzione definitiva alle continue richieste che pervenivano dal paese walser. Il Darioli scrisse al vescovo per comunicare una nuova proposta, con la quale si augurava di poter accontentare tutti. Si decise di affidare a colui che avrebbe assunto l'incarico di cappellano del paese, ovviamente in seguito all’autonoma nomina da parte dei fedeli, il compito di svolgere tutte le funzioni ecclesiastiche e di amministrare i sacramenti, compreso il matrimonio e l’estrema unzione. L'accordo stilato era suddiviso in dodici articoli, nei quali, con precisione erano indicati i compensi spettanti per tale attività. Nel 1817 Salecchio divenne parrocchia a tutti gli effetti. Non fu possibile ottenere un pastore sempre presente in paese, questo perché nessuno si sentiva di affrontare la dura vita che lo aspettava in quel luogo. Ci fu qualcuno per un breve tempo, ma viste le avversità chiese il trasferimento in valle. Nel tempo La giurisdizione ecclesiastica fu estesa a casa Francoli (nel 1867), e poi a Morando (nel 1912). 
L'economia del piccolo paese, molto precaria, si basava sul allevamento di bestiame e sull'auto sostentamento. Una piccola parte dei pascoli, tutti su terreni piuttosto impegnativi per altro, era destinata alla coltivazione di segale, orzo, patate, lino e canapa. Il foraggio era l'elemento più importante. Si sfruttano tutti i terreni possibili anche i più distanti e difficili da gestire. Il fieno raccolto era riunito in biche, trasportate poi a spalle fino alla stalla più vicina. Tutte le famiglie si riunivano a turno aiutandosi vicendevolmente nel taglio, raccolta e trasporto, per fronteggiare in modo compatto le difficoltà della vita in montagna. In questa economia povera, in cui si produceva l'indispensabile per sopravvivere, tutti contribuivano al benessere della comunità, in modo che non ci fosse chi restava senza nulla. La migrazione interessò, come si può vedere dalla documentazione a nostra disposizione, gli abitanti di Salecchio fin dalla seconda metà del 1600. Si ha notizia di un gruppo di salecchiesi che si trasferì a Roma. Abituati a stare uniti e ad affrontare le difficoltà del vivere quotidiano tutti insieme, una volta arrivati in città si adattarono a svolgere qualsiasi lavoro unendosi anche qui in una sorta di comunità nella quale convogliavano il denaro da inviare al paese di origine. Con i soldi risparmiati contribuivano al pagamento del parroco, incaricato di insegnare ai bambini del paese a leggere e scrivere. Abbiamo notizia anche di una corrente migratoria verso l’America, in cerca di guadagni più facili con la corsa all'oro. La vita isolata e piena di privazioni aveva reso gli uomini e le donne di Salecchio piuttosto rudi nei modi, tanto da essere additati come particolari dagli abitanti della valle. Ma nonostante questo non venne mai meno la loro bontà d'animo e la loro religiosità, caratteristiche comuni a molte popolazioni di montagna, costrette a vivere nel quasi totale isolamento. 
Salecchio non fu mai una comunità molto numerosa. In base ai documenti consultati, sappiamo che il picco massimo di sviluppo demografico fu nel 1701, con 125 abitanti. Fra alti e bassi il paese fu abitato fino al 1966, anno in cui anche le ultime famiglie si trasferirono a vivere altrove. Il numero esiguo degli abitanti era condizionato dalla scarsità delle risorse alimentari disponibili: se la popolazione cresceva oltre un certo numero di persone, si doveva ricorrere all'emigrazione. Il numero massimo delle famiglie presenti oscillava dalle 16 alle 23 unità. 
700 anni di vita in questo luogo difficile da raggiungere, hanno permesso ai salecchiesi di conservare alcune particolarità. Il tempo ad esempio era misurato all’antica: quando il sacrestano la sera suonava l'Ave Maria, si regolavano gli orologi sulle 12:00, cioè sulla mezzanotte. Col trascorrere dei mesi dell'anno le ore 12:00 venivano spostate più avanti, mente in inverno venivano spostate più indietro. In pratica in estate si pranzava alle 4 del pomeriggio, mentre in inverno alle 7. Fu solo in seguito ai ripetuti contatti con escursionisti e cacciatori, che a Salecchio si adottò l’orario utilizzato in valle. 
I rapporti con la loro patria di origine, il Vallese, furono mantenuti per molti secoli. Dopo un lungo e difficoltoso viaggio attraverso il passo dell’Arbola, erano soliti recarsi lì per chiedere consulenze mediche, che erano fornite nella lingua da loro conosciuta, piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno in valle Antigorio. Anche gli scambi non furono interrotti, nonostante la chiusura delle frontiere a causa dell’annessione al Regno D’Italia. Gli scambi continuarono grazie al contrabbando. Ci fu un cambio di tendenza solo quando in Salecchio non si riuscì più a produrre tutto quello che occorreva per soddisfare il fabbisogno della popolazione. Fino ai primi del ‘900 molti salecchiesi morirono senza conoscere l’Italiano. Durante la prima guerra, per ovviare a questa mancanza di comunicazione con l’esterno, fu istituita la prima scuola in paese, nella quale i bambini imparavano a leggere e scrivere e, obbligatoriamente, il catechismo. Dopo la seconda grande guerra, interrotta la panificazione semestrale e la produzione di tessuti in casa, l’apertura verso la valle Antigorio fu quasi una necessità. 
Quell’isolamento tanto cercato e mantenuto con sacrificio, fu abbandonato completamente nel 1966. Il loro idioma particolare sarebbe andato perso completamente se, prima dell’abbandono totale, una studiosa Svizzera, Margaret Frei, non avesse condotto delle ricerche e raccolto materiale per conservare traccia del loro parlare. 
Restano ora i discendenti di quelle genti forti e coraggiose, testimoni di quel tempo lontano e del loro desiderio di indipendenza.

Rosella Reali

Per le fotografie si ringrazia Giulio Tonzi.

ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

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