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Il pellicciaio e la berretta da prete

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A Piacenza, intorno alla metà del cinquecento, un uomo, con uno strano cappello nella mano, si affaccia sulla piazza principale. Quell'uomo si chiamava Domenico e giungeva sulle rive del Po dopo aver peregrinato per borghi e villaggi, mendicando e predicando la parola del Signore, o almeno quella che lui riteneva fosse la vera fede cristiana. Domenico, ancora giovane e accalorato nel cuore, scrutava le persone che frettolosamente abbandonavano la piazza della città placidamente appoggiata sulle curve sinuose del grande fiume. Appoggiato ad una colonna del Palazzo Grande ammira il giorno diventare sera. Quando la luce estiva abbandona le vie dell'antico borgo, decide d'indossare il cappello che stringeva nella mano. Non era un cappello dozzinale, era una berretta da prete ottenuta mendicando di paese in paese. Domenico inizia parlare, a raccontare, ad attirare la curiosità dei presenti. Inveisce contro la Chiesa di Roma, suscitando vivo interesse. Alcuni cittadini, infervorati nel cuore e nella mente, lo esortano a continuare. Gli indicano la strada per una piazza ancora gremita di persone. In pochi minuti, l'incitamento diviene amicizia. L'amicizia, protezione. Alcuni di essi lo rincuorano, gli assicurano di essere pronti a difenderlo con le armi. Domenico, rassicurato, scalda gli animi degli astanti. Racconta di non essere un prete della Chiesa di Roma, ma di Gesù Cristo. Esclama di non aver ricevuto l'ordine di predicare da un pontefice terreno, ma da Gesù Cristo. Inveisce nuovamente contro la millenaria Chiesa di Roma. Ricorda, al pubblico divenuto numeroso, che ogni membro del popolo cristiano è libero d'indossare quel cappello e di predicare per le strade del mondo.
La sera diviene notte.
Alcuni cittadini gli indicano la strada per una taverna: troverò ristoro ed un letto per riposare. La mattina seguente, come forma di ringraziamento, consegna delle copie di un libro all'oste che l'ha gentilmente ospitato. Trascorre il secondo giorno a Piacenza girovagando per le strade della città.
La sera ritorna nella piazza del giorno precedente. Indossa nuovamente il berretto da prete ed inizia a predicare. Inveisce, nuovamente, contro la Chiesa di Roma. Utilizza parole di fuoco contro il clero e confessione, contro il sacramento della comunione e la messa. Tra i presenti anche due francescani, che nelle ore seguenti troveranno motivo di denunciarlo al vescovo cittadino.
Domenico non vedrà il sorgere del sole da uomo libero.
Gli uomini dell'inquisizione sono già sulle tracce dell'eretico che diffama la vera fede cristiana. Sul fare del mattino è catturato e, prontamente, tradotto nelle carceri cittadine.
In breve tempo compare dinanzi all'inquisitore generale d'Italia, frate Callisto Fornari, ed a un frate domenicano che lo coadiuvava. Frate Callisto non si trovava casualmente a Piacenza. Era stato inviato per estirpare l'eresia dalle sponde del Po e dalle vie dei tanti villaggi che dividevano la città emiliana da Cremona. Domenico non fu aggredito solo dai cani del Signore, anche il podestà volle intervenire, indicando la tortura come l'unica soluzione per appurare la verità.
Durante l'interrogatorio si scoprono i particolari dell'uomo che girava con la berretta da prete e incitava contro la Chiesa di Roma. Quell'uomo dall'aspetto gentile si chiama Domenico Cabianca e svolgeva la mansione di pellicciaio a Bassano. Dopo aver proferito queste poche informazioni, Domenico si chiuse in un ostinato silenzio. Non sappiamo se fu la tortura o le visite dei tanti ecclesiastici, ma Domenico Cabianca dopo qualche ora decise di parlare. Iniziò a raccontare della sua vita, della sua nuova fede e della predicazione itinerante.
Agli inquisitori quest'uomo non pareva troppo pericoloso, era un pellicciaio che avrebbe riscosso scarso successo nelle piazze dei villaggi italiani. Decisero per una pubblica abiura da svolgersi nella piazza di Piacenza, lo stesso luogo ove Domenico aveva predicato contro la Chiesa di Roma. Gli inquisitori però furono scavalcati da un ordine perentorio giunto da Milano: Domenico Cabianca doveva morire.
Il Gonzaga, Governatore di Milano, scrisse al podestà di farsi consegnare dal vescovo il malcapitato, perché era un secolare. Il Gonzaga aggiunse che Domenico Cabianca doveva essere impiccato sulla pubblica piazza di fronte al pubblico festante. Gli inquisitori ed il vescovo nulla poterono. Il podestà mandò a prendere il disgraziato e, dopo averlo fatto confessare, gli pose lo scritto del Gonzaga ai piedi e lo mandò alla forca. I signori decisero di soprassedere nei confronti dei cittadini che aiutarono Domenico, per non guastare gli umori della città.
Così si conclude la storia di un pellicciaio divenuto predicatore, che si aggirava per le vie dei borghi italiani con una berretta da prete.
Una domanda potrà sorgere spontanea: perché questa storia così comune, quasi scontata, nell'Italia del Cinquecento è giunta sino a noi?
Esistono due possibili risposte.
Innanzitutto ogni credo necessita dei propri martiri. Così fu anche per Domenico Cabianca. Il supplizio del pellicciaio giunse presto a conoscenza degli italiani esuli in Svizzera per motivi religiosi. Tra essi anche Francesco Negri, pseudonimo di Francesco Buonamonte, letterato e teologo italiano nativo di Bassano, come il protagonista della nostra vicenda. Negri si affrettò a pubblicare lo scritto De Fanini Faventini ac Dominici Bassanensis morte, Francisco Nigro Bassanensi authore, creando la leggenda del martire che passò di paese in paese. A differenza delle altre fonti bibliografiche, Negri fornì ampia documentazione degli argomenti trattati a Piacenza da Domenico: dalla confessione al purgatorio, dalla compravendita delle indulgenze alla messa. Inoltre Francesco Negri scrisse che Domenico Cabianca non aveva mai ceduto alle intimidazioni degli inquisitori, preferendo morte certa all'abiura. Il libro di Negri circolò per anni, tanto da permettere la salita al rango di personaggio positivo di Domenico Cabianca.
Una seconda possibile risposta attiene alle diverse fonti bibliografiche che narrano la vicenda del pellicciaio di Bassano, in aggiunta a quelle degli esuli in Svizzera per motivi religiosi. Un primo, e fondamentale documento, è il dispaccio di Alfonso Trotti, ambasciatore presso Ferrante Gonzaga, al duca Ercole II. In questo scritto Trotti riporta la sua versione dei fatti. Un secondo documento è quello di un cronista piacentino del tempo, Corvi, che riprese ed ampliò la narrazione presente nel dispaccio.
A noi cosa rimane di questa, e tante altre, vicenda?
L'idea fondamentale che si tratta di una storia sbagliata, iniziata una berretta da prete e conclusa con una corda che stringeva il collo di un uomo libero.

Fabio Casalini

Bibliografia
Dispaccio del 20 settembre 1550, pubblicato da Alfredo Casadei, «Per la storia religiosa dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V», Rivista storica italiana, anno LVIII, p. 188, 1941

Franco Molinari, Il cardinale teatino beato Paolo Burali e la riforma tridentina a Piacenza (1568-1576), Romae: Apud aedes Universitatis Gregorianae, 1957

De Fanini Faventini, ac Dominici Bassanensis morte, Qui nuper ob Christum in Italia Rom. Pon. iussu impie occisi sunt, Brevis Historia, Francisco Nigro Bassanensi authore, [Poschiavo?]: [Dolfino Landolfi?], 1550



FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

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