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Il segreto nelle frecce

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Il 20 gennaio la Chiesa cattolica celebra la memoria di uno dei santi più noti e popolari. Mi riferisco a san Sebastiano, dall’iconografia immediatamente riconoscibile, che lo vede legato a un albero e trafitto da numerose frecce. Eppure di questo santo così popolare non esistono biografie precise o addirittura notizie certe della sua esistenza. Anche il luogo di origine è tuttora un mistero, poiché alcune fonti parlano di Milano e altre della Gallia Narbonensis. Il primo documento in grado di darci qualche notizia è la Depositio Martyrum, che indica nel tredicesimo giorno delle calende di febbraio il dies natalis del santo, il cui corpo venne deposto ad catacumbas, quelle che oggi a Roma sono note come Catacombe di San Sebastiano. Un’altra testimonianza ci arriva da sant’Ambrogio che, nel commento al salmo 118, cita la vicenda di un milanese devoto al cristianesimo, di nome Sebastiano. Scrive Ambrogio che quest partì per Roma, forse alla ricerca del martirio, non appena gli giunse notizia delle persecuzioni di Diocleziano. Altro documento, la Passio Sancti Sebastiani, attribuita al monaco Arnobio il Giovane (V secolo) e a cui si ispirò in seguito Jacopo da Varagine per la sua Legenda Aurea, ci parla di un militare di alto grado, che predicava ai compagni e li invitava a perseverare nella fede in Cristo. Noto è il caso dei due gemelli Marco e Marcelliano, persuasi dal futuro santo a non abiurare e a ribadire la loro fede. In quel momento il suo volto era raggiante. Così lo vide Zoe, moglie di un alto funzionario della corte di Diocleziano. Ben presto l'imperatore accusò Sebastiano di proselitismo e lo condannò a essere trafitto dalle frecce degli stessi armigeri di cui era a capo. Fu spogliato, legato a un tronco e infine martirizzato. Così lo ricordano quasi tutte le classiche rappresentazioni. I soldati, vedendolo esangue, lo abbandonarono. Ma Irene, una pia donna, vide che il soldato era sì gravemente ferito, ma ancora vivo. Dopo essere stato guarito dalle cure di Irene, Sebastiano volle presentarsi all’imperatore per rimproverargli le persecuzioni. Diocleziano, che lo riteneva morto, vedendolo ancora in vita ordinò un secondo martirio, quello definitivo, per flagellazione. Il suo corpo infine fu gettato nella cloaca maxima. Sebastiano indicò in sogno a una donna la posizione del suo corpo, così fu possibile recuperarne le spoglie e traslarle ad catacumbas.

Questo per sommi capi è quello che sappiamo della storia di Sebastiano. Ma rimane un interrogativo. Perché il santo viene rappresentato in una scena che non è quella del martirio definitivo? È credenza diffusa che il santo morì per le frecce, ma come abbiamo visto in precedenza, non è così: in quel frangente si salvò. In più, nei primi tempi, il santo non veniva affatto raffigurato quasi del tutto nudo e trafitto, ma come un uomo saggio già avanti con l’età: in tal senso, esiste una raffigurazione a mosaico nella basilica di San Pietro in Vincoli a Roma. Il Sebastiano come lo conosciamo ora arrivò un po’ più tardi. Vediamo di scavare un po’ più a fondo e seguire qualche traccia. Magari (anzi, sicuramente) non ci darà tutte le risposte, ma ci potrà offrire qualche spunto interessante.

La freccia: unione di insospettabili somiglianze

Nella devozione popolare il santo è ricordato per le sue capacità taumaturgiche, in particolare per i casi di peste e malattie infettive. Inoltre, spesso è raffigurato insieme a san Rocco, altro santo taumaturgo invocato nei contro la peste. Nelle più classiche rappresentazioni, san Rocco è intento a indicare sulla gamba la piaga della peste bubbonica, mentre san Sebastiano è un giovane quasi completamente nudo, legato a un tronco e con le membra lacerate della frecce. Meno frequentemente è rappresentato anche vestito di tutto punto, ma le frecce sono sempre presenti, solitamente strette nelle mani del santo. Qualche più rara rappresentazione lo ritrae mentre la pia donna Irene gli cura le ferite liberandolo dalle frecce. Che il bandolo della matassa stia proprio nelle frecce? Nell’antichità, la freccia era considerata un’arma potentissima e spesso gli dèi se ne servivano. Basti solo pensare alle frecce di Cupido. Ma la freccia è anche mortifera. In battaglia, per aumentarne l’efficacia, si intingeva la punta nel veleno: erano poche le possibilità di scampo per chi ne era colpito. La freccia era quindi arma divina e, in tutto il pantheon greco-romano, l’arciere infallibile era Apollo. Apollo era un dio per lo più benevolo, ma talvolta poteva risultare vendicativo. E quando il dio scatenava la sua ira, lo faceva proprio con le frecce. Si legge infatti nel Canto 1 dell’Iliade:


Quale or dei Numi alla lite li spinse, alla zuffa? Di Giove
fu, di Latona il figlio. Crucciato col re, su le schiere
un morbo ei suscitò maligno, e perivan le genti
1

Apollo, offeso dal comportamento degli achei, aveva deciso di punirli scagliando su di loro le frecce, che disseminarono tra la popolazione un’atroce pestilenza. Qui già vediamo un punto di contatto interessante con la storia di Sebastiano. C’è persino una sorta di parallelismo tra i due. Infatti, il culto di Apollo giunse a Roma dalla Grecia, ma si diffuse capillarmente solo dopo che i romani implorarono di far terminare una pestilenza erigendo un tempio in suo onore. Lo stesso percorso fece il culto di san Sebastiano: Paolo Diacono, nella Historia Longobardorum, narra che intorno al 680 a Roma ci fosse una violenta epidemia di peste, che si placò solo quando si decise di rendere onore a san Sebastiano; aggiunge poi che lo stesso prodigio si replicò di lì a poco a Pavia. Cominciamo quindi a vedere una serie di interessanti similitudini.

Ma chi era Apollo? Come già accennato, era una divinità greca, poi anche romana, ma ancora prima orientale. Giovane bellissimo, era dio della luce solare (in un periodo più tardo venne assimilato a Helios), della medicina, patrono della musica, delle arti, della poesia e della pastorizia. Inoltre, guidava il corteo delle nove muse. Apollo nacque dalla madre Latona sull’isola di Delo, insieme alla gemella Artemide. Latona era una delle innumerevoli amanti di Zeus e con lui aveva concepito Apollo e Artemide. La moglie di Zeus, Era, infuriata con Latona, la maledisse impedendole di dare alla luce i figli sulla terra visibile. Tanto durò il peregrinare di Latona, quando trovò una terra sospesa tra il cielo e il mare, Adelos, dove prontamente si recò per dare alla luce i figli. La nascita dei due fanciulli investì di luce questa terra, che da allora diventò visibile e il suo nome si tramutò in Delo. Δῆλος in greco significa infatti “luminoso” e trova la sua origine nella radice *dyew, la stessa che in latino ha dato dies (giorno) e divus/deus (dio). Un altro suo epiteto era Phoibos, che significa “splendente”. Apollo, nelle sue numerose peripezie, sconfisse anche il serpente Pitone, custode dell’oracolo di Delfi, che da allora diventò sede del culto apollineo. Questa vicenda descrive, sul piano allegorico, i culti solari di stampo patriarcale giunti dall’Oriente e che presero il posto dei culti matriarcali della terra presenti in Europa. Nel caso specifico, Apollo si sovrappose alla Grande Madre, divinità delle viscere della terra. Infatti, con la calata dei dori, nel XII secolo a.C., il tempio di Delfi fu distrutto e riaperto al culto solo alcuni secoli dopo. Un retaggio dell’antico culto femminile sono le pizie, le sacerdotesse a guardia del tempio di Apollo a Delfi. Questa sua caratteristica di dio solare e taumaturgo gli fece conoscere una discreta fortuna anche nel Medioevo, poiché visto come Sol Invictus e alter ego del Cristo. In aggiunta, si considerava Apollo come colui che aveva ucciso il serpente Pitone, quindi distruttore di una forza sotterranea e demoniaca.

Fronde di alberi sacri

Tuttavia, una delle vicende più note di Apollo riguarda il suo amore per la ninfa Dafne. Il racconto più diffuso ci arriva dalle Metamorfosi di Ovidio. Apollo aveva fatto indispettire Cupido che, per punirlo, decise di colpire il dio con la freccia d’oro dell’amore, mentre scagliò sulla ninfa Dafne, seguace di Artemide, quella di piombo della repulsione. Il finale della storia è noto, anche perché immortalato da numerosi capolavori dell’arte: incalzata da Apollo, nella sua fuga Dafne implorava Artemide di risparmiarla da un tale disonore e la dea esaudì la sua richiesta trasformandola in alloro. Apollo fece in tempo ad abbracciare il tronco, intrecciò una corona con alcune fronde e se la mise sul capo. Così facendo, consacrò l’albero, che diventò emblema di lustro e vittoria, usato per incoronare vincitori, atleti e poeti. Era inoltre la pianta con la quale le sacerdotesse pizie potevano pronunciare gli oracoli. Perché ho voluto parlare proprio di questo episodio? Perché anche l’alloro può darci delle risposte. Essendo sacro ad Apollo, gli arcieri ne coglievano le fronde per adornare gli archi e le frecce. Probabilmente era così anche per le frecce che trafissero Sebastiano, scagliate dagli arcieri che lui stesso aveva guidato. Inoltre, tradizionalmente si dice che il luogo del primo martirio di Sebastiano era un bosco di allori sacro ad Adone (coinvolto in una tragica storia con il dio Apollo).  Ma ci sono anche altre coincidenze più stupefacenti. In occasione della festa di san Sebastiano, nelle località liguri di Camporosso e Dolceacqua si tengono celebrazioni durante le quali a essere portata in processione è… una pianta di alloro! In particolare, a Dolceacqua la pianta viene decorata con nastri e ostie colorate; al termine della cerimonia, le fronde decorate vengono tagliate e vendute all’incanto. E tra i due comuni di Camporosso e Dolceacqua sorge l’oratorio di san Rocco, si pensa un tempo intitolato anche a san Sebastiano, e al cui interno è conservata un’ara romana dedicata… ad Apollo. Anche in questo caso è ribadito lo stampo solare di questo culto. A metà gennaio l’aumento delle ore di luce inizia a essere sensibile e preannuncia il ritorno della primavera. Non a caso, sempre in questo periodo dell’anno, si inserisce il culto di Sant’Antonio abate, santo del fuoco, quindi connesso a rituali di luce. La processione con l’albero carico di offerte attraverso i campi è una sorta di richiamo allo spirito della vegetazione affinché si risvegli e riporti la natura a germogliare. Un rituale simile si tiene sempre in occasione di san Sebastiano, ma da tutt’altra parte d’Italia: sui monti Nebrodi, in Sicilia.

Conclusioni

Quindi, abbiamo visto quante somiglianze ci siano tra il dio Apollo e san Sebastiano: le frecce, la bellezza eterea, il potere taumaturgico, l’alloro sacro e persino numerosi aspetti del culto. In questa rilettura, le frecce di Sebastiano da cui siamo partiti potrebbero rappresentare raggi luminosi, a indicare un essere legato a un qualche culto solare o comunque della luce. A questo proposito, come visto all’inizio, la passio ci dice che Sebastiano, quando esortava i suoi compagni nella fede, aveva il volto raggiante. Non dimentichiamo poi che la freccia è strettamente correlata al fulmine: la parola latina sagitta, che indicava la freccia, ha dato origine al termine italiano saetta. Forse proprio per questo la rappresentazione del santo trafitto ha avuto la meglio su altre raffigurazioni. Ora una domanda sorge spontanea, Apollo e san Sebastiano sono la stessa persona? Difficile dirlo, forse non lo sapremo mai. Tuttavia, l’universo cristiano è fatto di sincretismi, sovrapposizioni, corrispondenze. Non sarebbe dunque il primo esempio di una figura scelta a occupare, in veste di testimone di Cristo, il posto, mai veramente dimenticato nel collettivo, di una divinità più antica. Tuttavia, questa breve panoramica non ha l’intento di dare certezze, ma solo qualche insolito spunto di riflessione. E spero di essere riuscita nell’intento.



Claudia Migliari


Bibliografia essenziale

Agizza, Rosa
1986 - Miti e leggende dell’Antica Roma, Newton Compton Editori, Roma

Bétemps, Alexis
2015 - Il tempo sospeso dal Natale all’Epifania, Priuli & Verlucca, Ivrea
Brosse, Jacques
1994 - Mitologia degli alberi, Rizzoli, Milano

Burkert, Walter
2003 - La religione greca di epoca arcaica e classica, Jaca Book, Milano

Cattabiani, Alfredo
1993 - Santi d’Italia, Rizzoli, Milano
2002 - Lunario, Mondadori, Milano
2008 - Calendario, Mondadori, Milano

Chevalier, Jean - Gheerbrant Alain
2011 - Dizionario dei simboli, RUR Rizzoli, Bologna

Dal Lago Veneri, Brunamaria
2014 - Edizioni Alphabeta Verlag, Merano

Gentili, Augusto
2014 - Il martire e l’eroe, Persiani Editore

Panzarino, Rocco - Angelini, Marzia
2012 - Santi & simboli, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna

Pianigiani, Ottorino
1907 - Vocabolario etimologico della lingua italiana, Società editrice Dante Alighieri, Roma (versione online)

Sitografia
www.dolceacqua.it

I testi letterari citati sono disponibili in edizione digitale su Wikimedia

1 Traduzione di Emilio Romagnoli, 1923
 (https://it.wikisource.org/wiki/Iliade_(Romagnoli)/Canto_I)


CLAUDIA MIGLIARI
La storia di Claudia inizia in un giorno di fine aprile del 1980. Il luogo dove è nata e cresciuta, il lago di Lugano, terra di confine e di contrasti, dove l'asprezza e il rigore delle montagne cedono il passo alla dolcezza mediterranea dei laghi, forma il suo carattere poliedrico. Da sempre appassionata di tutto ciò che la può portare in epoche lontane, si butta a capofitto sul disegno, sulla musica, sulla storia. Nel 1999 inizia la sua avventura come guida turistica presso una villa rinascimentale, dove ancora collabora. L'attività la coinvolge tanto, che nel 2005 consegue la certificazione ufficiale di guida turistica. Nel frattempo, conclude i suoi studi di lingue (e, naturalmente, storia delle lingue) e inizia a lavorare come traduttore, sua attuale professione. Ha al suo attivo la traduzione di quasi un centinaio di libri sugli argomenti più disparati, dalle fiabe e dalla narrativa per ragazzi, fino a libri di scultura su pietra e su legno e sulla storia della smaltatura dei metalli. Da marzo 2015, Claudia è segretario della Pro Loco del suo paese, Bisuschio, e continua le sue attività artistiche, prosegue con lo studio del canto lirico e... è sempre in giro per chiese o luoghi storici, purché siano antecedenti all'Ottocento! Per concludere, Claudia ha una fluente chioma ribelle e rossa, vive sola con un gatto nero, ha la casa piena di libri e ama studiare e conoscere i principi curativi delle erbe. Che cosa avrebbe pensato di lei un inquisitore?




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