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Tra Maui e Coco, ovvero di come Disney stia puntando (e forte) sulle tradizioni

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 Introduzione

In questi giorni al cinema è in programmazione il film della Disney Pixart “Coco”. Un film preceduto da un cortometraggio - che sfrutta in maniera impressionante e persino pedante il franchising Frozen - che punta tutto sulla tradizione, dal titolo “Frozen - Le avventure di Olaf”. Nel film, Olaf, il pupazzo di neve che ha preso vita grazie ad Elsa, aiuta la nuova regina di Arendelle e la sorella Anna ad andare alla ricerca delle tradizioni di Natale. Tra gag ed alcuni interessanti aspetti realmente folkloristici (come la tradizione di preparare i dolci natalizi casalinghi, anche se non a forma di Norvegia), il pupazzo di neve si trova immerso in centinaia di tradizioni varie di matrice familiare: ogni famiglia del villaggio norvegese, infatti, ha una sua propria usanza natalizia che ripropone annualmente, nel ristretto ambito familiare. La stessa cosa che, ogni anno, si fa nelle case: io, ad esempio, festeggio il Natale preparando un “meeting pot” multiculturale, tra agnolotti piemontesi e frittelle calabresi.
Ed in effetti la cucina, complice anche la sua enorme diffusione in ambito mediatico, è forse l’esempio più interessante ed intrigante di questo miscelarsi di culture, tra sussunzioni ed assimilazioni. 
Nella cultura pop contemporanea si sta assistendo ad un particolare “remix” tra le antiche tradizioni ed il bisogno - disperato - che l’uomo postmoderno ha di ri-appaesarsi e di ricostruire la propria stabilità culturale tramite il ricorso, sistematico, alla tradizione.
Tornando al discorso culinario, ottimo esempio della nostra cultura: quanti cibi, oggi, fanno, direttamente o indirettamente, riferimento alla “tradizione”, tramite pubblicità, packaging o claim promozionali? Se il ricorso a questo valore “valore aggiunto” permette di migliorare le vendite di prodotti alimentari, perché non utilizzarlo anche per “piazzare” prodotti di intrattenimento?
1 - Maui & Songs

Non è un caso che i film della Disney, sempre molto attenta a rispondere alle esigenze del pubblico, ripropongano la tradizione, già da qualche anno.
Gli ultimi film, infatti, si basano proprio su questa riscoperta delle origini dei personaggi, della loro cultura originaria.
Prendiamo, ad esempio, Oceania, il lungometraggio Disney natalizio dell’anno scorso, dove il discorso sulla tradizione ed al suo ritorno è fondamentale. Pensiamo, ad esempio, al brano Ogni mio passo, cantato proprio dal padre di Vaiana (Moana nella versione originale), dove i riferimenti alla tradizione sono dappertutto:

“Vaiana!
Per me, per me
pensare che anche tu
stia bene a Motonui…
È un vero sogno!
Amiamo ripetere
canzoni antichissime,
per noi di cambiare
non ce n’è bisogno!
Tradizione e passione
ci emozianano e ci piacciono!
Lo sai!
Le cose che contano
le abbiamo qui.
Il cibo non manca mai…
Da noi!
E usiamo le nostre mani…
Ah, Ah!
È splendido vivere così!”
La tradizione ci permette di vivere, di andare avanti, di conoscere il mondo e, sotto alcuni aspetti di dominarlo. Pensiamo ad esempio alle tradizioni del popolo polinesiano viste nel lungometraggio, alle narrazioni, alla costruzione dei loro corpi attraverso i tatuaggi, o alle credenze metempsicotiche (di reincarnazione cioè) dove l’anima del defunto si trasforma nel suo “animale guida”. A tal proposito è particolarmente d’impatto la scena della morte della nonna di Vaiana, Tala, che si trasforma in manta, suo animale guida non a caso tatuato sul corpo. Certo che la canzone, nella sua traduzione italiana, si perde un pochino nell’equazione, semplicistica, della tradizione come un qualcosa di immutabile nel tempo: si è sempre fatto così e si farà sempre così. Se da un lato di tratta di una sorta di senso comune abbastanza diffuso, dall’altro è innegabile che le tradizioni, essendo composte da uomini figli del loro proprio tempo, cambiano nel corso del tempo per rispondere alle esigenze “hic et nunc”. Le Cavagnette, o i falò rituali, o anche il Carnevale, sono cambiati negli ultimi anni proprio per rispondere alle esigenze del nostro tempo, così come gli agnolotti piemontesi hanno “perso” la cervella dal loro ripieno…

2 - Tra Gaber e Ferrer

D’altra parte il ritorno alla tradizione è un bisogno dell’uomo contemporaneo, che ha subito una grande crisi dovuta alla caduta delle precedenti granitiche certezze, che ha portato ad una progressiva ricerca e riscoperta delle tradizioni. Gli anni ’50-’60 del Novecento sono stati contraddistinti dalla filosofia, per dirla alla Gaber, del “Come è bella la città”, ovvero del trasferimento dalle campagne verso città, culminata, in ambito mondiale, nel 2008, quando, per la prima volta, gli abitanti delle città hanno, a livello planetario, superato quelli della campagna.

“Vieni in città
Che stai a fare in campagna
Se tu vuoi farti una vita
Devi venire in città.
Com’è bella la città
com’è grande la città
com’è viva la città
com’è allegra la città.
Piena di strade e di negozi
e di vetrine piene di luce
con tanta gente che lavora
con tanta gente che produce.
Con le réclames sempre più grandi
coi magazzini le scale mobili
coi grattacieli sempre più alti
e tante macchine sempre di più”.

Ma questo trasferimento di massa ha portato all’abbandono delle certezze del paese, rappresentative dei concetti di Co-residenza, Co-discendenza e Co-trascendenza - concetti che possiamo racchiudere nei termini “Paese”, “Famiglia”, “Devozione popolare” -, creando un individuo fragile. Sono bastati infatti pochissimi anni per creare un pendolarismo città (luogo di lavoro) / campagna (luogo dove ritrovare le proprie origini, di svago), culminato, a partire dagli anni ’80-’90 e continuato nel nuovo millennio, con una ricerca di ri-appaesamento attraverso proprio la riscoperta degli antichi saperi. “Viva la campagna!” cantava infatti Nino Ferrer degli anni ’70:
“Io sto in città,
son come una formica nella folla dell’umanità
che corre qua e là
a gran velocità con l’orologio che va che va che va….
Io sto in città
non mi ricordo più la primavera che colore ha
amici non ne ho
e parlo per lo più con l’orologio che va che va che va… 
Felicità non sei in città
viva la campagna, viva la campagna”.

Il dialetto, lingua “bandita” dalle scuole negli anni ’50 (perché “le persone colte parlano l’italiano”), ha subito una progressiva riscoperta, diventa lingua delle canzoni (si pensi a Davide Van De Sfroos), e viene persino indicizzato in appositi dizionari, con tanto di edizioni di Wikipedia e di grandi classici in sardo, siciliano, milanese, piemontese…
3 - Coco e la paura di dimenticare ed essere dimenticati

E veniamo a Coco: un film senza dubbio magnifico e che, come tutti i film Pixart, riesce a lavorare sui sentimenti umani, commuovendo lo spettatore.
Analizziamo ad esempio i personaggi di Coco, in particolare la bisnonna, Coco, da cui il nome al film.
La donna, malata di demenza senile, ricorda il padre, condannato ad una sorta di “dannatio memoriae” poiché accusato di aver abbandonato la famiglia (valore chiave di tutto il film) per la musica. Il povero padre (ATTENZIONE SPOILER!), avrà poi il ruolo di aiutante magico durante la ricerca della benedizione di un familiare quando il giovane protagonista si trova nel colorato mondo dei defunti, in una riconciliazione tra antenati e discendenti. Non entro eccessivamente nei dettagli della trama, proprio per non togliere il gusto del film. Ma la ricostruzione del mondo dei morti e soprattutto della ritualità connessa al Giorno dei morti è veramente degna di nota: sembra quasi di assistere ad una vera testimonianza antropologica, con i cimiteri addobbati, i fiori arancioni utilizzati per ricordare i defunti, l’esposizione delle fotografie negli altarini familiari… 
E anche in Coco troviamo gli animali, sempre molto importanti nella cinematografia disneyana, che assumono la funzione di animali guida sciamanici, collegamento tra i due monti: dei vivi e dei morti. Questo collegamento tra mondo superiore e mondo inferiore, se vogliamo, è un po’ un fil rouge dell’animazione. Lo troviamo, ad esempio, negli animali aiutanti delle cosiddette majokko, le maghette dell’animazione giapponese, ma anche la stessa figura di Bert (come ho avuto modo di dimostrare proprio su questo blog), lo spazzacamino di Mary Poppins è uno sciamano postmoderno.
Non voglio addentrarmi troppo nell’analisi di questo cartone animato, ma gli spunti di riflessione ci sono tutti e vengono ripresi, se vogliamo, anche dalla grande distribuzione. Per la prima volta, nell’ottobre 2018, tra le decorazioni di Halloween in cartapesta a fianco a teschi e streghe sono apparse riproduzioni in polistirolo dei crani dipinti messicani, la mercificazione di una tradizione.
Ed anche una serie cult come Breaking bad, che narra le avventure di un professore di chimica malato terminale di cancro entrato nel mondo della produzione di droga, troviamo riferimenti al culto messicano della cosiddetta Santa Muerte, la Santa Morte. Si tratta di un culto smaccatamente precristiano, praticato dalle tribù precolombiane del Mesoamerica, trasformatosi con l’arrivo dei colonizzatori e l’avvento del cristianesimo, che lo ha “occidentalizzato”, abbigliando la statua a forma di scheletro con vestiti occidentali, molto simili a quelli della Madonna. Si tratta, tecnicamente, del culto di Mictecacihuatl, dea della morte e dell’oltretomba, ma anche della rinascita, apparsa, come Madonna Morte, ad un popolano messicano negli anni ’60. Il culto, con l’inizio del nuovo millennio, ha avuto un importante revival, arrivando ad accettare e ad accogliere nella liturgia anche pratiche apertamente condannate dalla Chiesa ufficiale, quali aborto o uso del preservativo, includendo anche delle categorie “liminari” estromesse o comunque fortemente emarginate dal culto ufficiale, ovvero omosessuali, travestiti o transessuali. Si tratta di una divinità molto “gelosa” e “vendicativa”: i voti non mantenuti, infatti, costano la morte di un familiare del credente che si era rivolto a lei. Come testimoniato proprio in Breaking bad la sua devozione è particolarmente diffusa negli ambienti criminali, legati ad esempio al narcotraffico; non a caso il suo luogo di culto principale è Tepito, uno dei quartieri più malfamati pericolosi di Città del Messico.


4 - Tradizione col copyright

Disney ha cercato di lavorare sulla tradizione, ed addirittura di brevettarla. Nel maggio 2013, infatti, il film Coco fu al centro di una controversia quando la Walt Disney Company cercò di registrare la frase "Día de Muertos" come marchio commerciale. Un po’ come volere rendere marchio commerciale il termine “Carnevale” o “Ferragosto”. Il tentativo della Disney, naturalmente, ricevette numerose critiche da parte della comunità messicana negli Stati Uniti, tanto è vero che sulla piattaforma Change.org vennero raccolte oltre 21mila firme per una petizione che affermava che il gesto della Disney era "un'appropriazione culturale e uno sfruttamento nel peggiore dei modi”. Una polemica che testimonia quando la tradizione sia percepita come un qualcosa di “intoccabile”, che non può essere modificato e soprattutto su cui non si possa fare business. O meglio una cosa su cui gli Altri non possono fare business…
Le polemiche ci furono anche con il già citato Oceania: il film fu infatti criticato per il fatto di perpetuare degli stereotipi sul popolo polinesiano, in quanto Maui, il grande eroe mitologico, viene raffigurato obeso. Altra accusa rivolta a Disney è stata quella di aver immesso sul mercato (e in seguito prontamente ritirato) dei costumi ispirati al personaggio, giudicati colpevoli di insensibilità culturale, poiché raffiguranti la pelle scura e i sacri tatuaggi delle tradizioni dei popoli del Pacifico.
Ma leggiamo proprio le parole di un polinesiano “offesosi” dalla rappresentazione: “It is unfortunately a stereotype and it is based on what the Americans see Polynesians as, because obesity is actually a recent phenomena amongst our people because of the junk food we're forced to eat from the first world” ovvero “E’ sfortunatamente uno stereotipo e si basa su come gli Americani vedono i polinesiani: l’obesità è un problema recente che ha colpito la nostra popolazione a causa del cibo spazzatura che siamo stati costretti a mangiare dal primo mondo”.


5 - Dal giorno dei morti agli zombie

Il tema di Coco non è nuovo alla cinematografia animata: già nel 2014, infatti, è uscito il film Il libro della vita, anch’esso ispirato all’usanza messicana del giorno dei morti. Il lungometraggio, prodotto della Reel fx animation studios e diretto da Jorge R. Gutierrez, si basa completamente su questa tradizione messicana, con il viaggio di vivi e morti tra i due mondi, con il loro ritorno ed il periodo di collegamento tra mondo ctonio e mondo terrestre nel periodo di fine ottobre. In questo contesto appaiono molti più personaggi del folklore messicano rispetto alla produzione Pixart: c’è la Muerte, sovrana della terra dei ricordati, e Xibalba, sovrano della terra dei dimenticati.
Il tema del ricordo dei propri antenati è un fil rouge, e rappresenta un importante tema sugli antenati e sul rapporto dell’uomo con la morte. Quando un morto viene ricordato si trasforma in antenato, entità benefica (vedasi i parenti di Miguel Rivera in Coco o di Manolo ne Il libro della vita), mentre quando se ne perde il ricordo sparisce e rischia in alcuni casi di diventare entità negativa e malvagia (questo aspetto è evidente in particolare modo nel film di Gutierrez).
Ed in questo contesto possiamo citare anche la moda mediatica del momento, ovvero gli zombie.
Lo zombie, se vogliamo, è la quintessenza del dimentico: ha perso la coscienza di sé, ha perso il suo nome, i suoi ricordi. E, letto in questi termini, colui che si nutre di carne umana altro non è che la rappresentazione filmica della nostra spaesatezza, del nostro timore di perderci, di non avere più identità. Lo zombie ha perso le tradizioni.

6 - Conclusioni

Il ritorno alla tradizione è un punto di primaria importanza per la cultura popolare contemporanea e risponde, se vogliamo, all’esigenza di creare comunità, di creare “luoghi”. Come spiega infatti l’etnologo Marc Augé, grande riformatore in campo antropologico (sua la teoria dei Non luoghi), in un mondo dove le distanze si sono ridotte ai minimi termini, dove la “circolazione” è diventata un bene di consumo, nell’epoca dei social media, “passiamo il nostro tempo a cercare di fare dei luoghi”. Ed è quello che fa anche la Disney nei suoi film, ci costruisce luoghi, ci costruisce addirittura delle mitologie (pensiamo a Star Wars ed al suo franchising, diventato persino religione, il Jedismo), proprio per sopperire al nostro bisogno di costruzione dell’identità e delle certezze perse.
Viviamo, è innegabile, in un mondo estremamente complesso: Baumann ha decretato, con la caduta del Comunismo, la fine di quel Novecento “Secolo breve” iniziato con l’applicazione dell’efficienza fordista della mitragliatrice in ambito militare, ovvero la Prima guerra mondiale. Ma l’11 settembre (l’anno è diventato superfluo, tanta è la potenza simbolica di questa data!) ci ha catapultato in qualcosa di ancora diverso e difficile, se non impossibile da definire (almeno ancora per un bel po’ di anni). La situazione socioeconomica, le innovazioni tecnologiche (pensiamo a quanto il nostro mondo sia cambiato dal 2007, quando è nato l’iPhone!), la crisi economica, il superamento della popolazione della città rispetto a quella delle campagne, la velocità delle informazioni e dei traffici di persone e mezzi, il ritorno alla tradizione, le mode enogastronomiche e la tendenza alla cucina fusion con un nuovo rispetto della terra e dei cicli della natura: questo è il mondo in cui viviamo, con una complessità estrema che non può far altro che rendere l’uomo postmoderno, quello contemporaneo, completamente spaesato, incapace di reagire e costretto, nell’impossibilità di gestire tutta questa complessità, a ricorrere degli escamotages per interpretare e sopravvivere al mondo. Ovvero alla “Tradizione”. Perché senza di essa lo spaesamento è talmente forte da trasformarci tutti in zombie…

Luca Ciurleo

7.1 - Bibliografia
Augé, Marc - Un altro mondo è possibile, Codice Edizioni, Torino, 2017
Ciurleo, Luca; Piana, Samuel - Ciboland - Edizioni Landexplorer, Boca, 2016
Ciurleo, Luca - Tradizioni di pasta frolla, edizioni Ultravox, Domodossola, 2014
Ciurleo, Luca; Molina, Anna; Migliari, Claudia - Montagne, maghette, mandragore. La strega nel tempo tra territorio, saperi erboristici e cultura pop - Edizioni Landexplorer, Boca, 2017
Dorson, Richard - Folklore and fakelore, in “American Mercury”, LXX, pp. 335-343, 1950, reperibile on line dal 2005 su www.unz.org
Grimaldi, Piercarlo - Tempi grassi, tempi magri, Omega edizioni, Torino, 1996

7.2 - Sitografia
https://imperodisney.com/2017/01/22/oceania-tutti-i-testi-italiani-delle-canzoni-del-film/
http://it.wikipedia.org
http://www.abc.net.au/news/2016-07-01/disneys-moana-trailer-upsets-polynesians-for-portrayal-of-maui/7561142

7.3 - Filmografia
Frozen, il regno del ghiaccio
Coco
Oceania
Il libro della vita



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