Auschwitz fu il campo di concentramento e sterminio più vasto e prolifico della storia del nazionalsocialismo. Il complesso fu creato a partire da vecchie costruzioni militari appartenenti all’esercito polacco. I terreni circostanti furono via via espropriati per aumentare la capacità del complesso, che divenne operativo a partire dal 14 giugno 1940. Un anno dopo vantava una superficie di 40 km², fra baracche, camere a gas, forni crematori, area destinata ai roghi umani, fattorie modello e aziende di produzione.
L’intero corpo era suddiviso in Auschwitz 1, campo di concentramento e centro amministrativo dell’intero complesso; Auschwitz 2, conosciuto anche come Birkenau, operativo dal 8 ottobre 1941, campo di sterminio nel quale persero la vita oltre 1.500.000 di prigionieri; Auschwitz 3, conosciuto anche come Monowitz, campo di lavoro per la produzione di gomma sintetica, operativo dal 31 ottobre 1942, dove soggiornarono anche Primo Levi e Elizer Wiesel. Intorno ai tre campi gravitavano 45 sottocampi.
Sul cancello principale campeggiava la scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. La scritta fu voluta dal primo responsabile del campo, Rudolf Höss, che la fece fare a un fabbro dissidente politico polacco, di nome Jan Liwackz, matricola n° 1010, che fece saldare, a suo rischio e pericolo, la lettera B al contrario. Se si osserva una foto della scritta, si nota in effetti qualcosa di strano.
All’interno del campo si potevano trovare politici, criminali, emigranti, testimoni di Geova, omosessuali, Rom e Sinti. Costituivano una categoria speciale gli ebrei, indicati con un contrassegno specifico, le donne che avevano una relazione interrazziale, i sospettati di fuga, i polacchi, i cechi, i membri delle forze armate e i prigionieri speciali. Nella scala sociale gli ebrei occupavano l’ultimo posto ed erano trattati peggio di tutti.
Auschwitz era considerato una fabbrica di morte. Io ritengo che fu anche una fucina di mostri, tra i peggiori di tutti tempi. Sembrava quasi che entrando in quel luogo, uomini e donne perdessero la loro umanità. Chiunque dava sfogo alle proprie frustrazioni, alla morbosità, alla cattiveria più nascosta, al sadismo.
Il personaggio di cui vi vorrei raccontare si calò perfettamente nell’ambiente che ho descritto sopra. Si sentiva a proprio agio, amava il suo ruolo, godeva letteralmente dell’altrui sofferenza.
Giovane, bella, bionda e senza cuore, Irma Grese fu soprannominata, da chi la conobbe, la Bella Bestia di Auschwitz. Irma nacque a Wrechen, nel nord della Germania, il 7 ottobre 1923. La sua infanzia fu difficile.
Era terza di cinque figli, molto introversa e manipolabile, spaventata da tutto e incapace di prendere una qualsiasi iniziativa, neppure per le cose del vivere quotidiano come mangiare o cambiarsi i vestiti.
I fratelli approfittarono spesso del suo carattere debole. I suoi genitori non andavano molto d’accordo. Suo padre Alfred trovava spesso distrazioni dal matrimonio con altre donne. Dopo anni di sopportazione, la madre Berta, profondamente depressa, si tolse la vita bevendo dell’acido cloridrico. Irma aveva solo 12 anni. Questo dolore segnò tutta la sua esistenza.
La nuova famiglia che si venne a costituire era molto allargata: 5 fratelli, il padre, la matrigna e 4 figli avuti dalla donna durante il primo matrimonio. Poco dopo dalla nuova unione nacque un altro figlio. La vita di Irma divenne ancora più difficile, sbeffeggiata da fratelli e fratellastri, detestata dalla matrigna, che la vedeva molto più bella di tutti gli altri figli, soprattutto i suoi. La costringeva spesso a vestirsi in modo goffo, per mascherare la sua avvenenza. Da parte sua Alfred era spesso violento con i figli, li picchiava senza motivo.
Durante l’adolescenza da timida e introversa bambina si trasformò in ragazza sadica e spietata. Su di lei ebbe un’influenza fondamentale l’indottrinamento nazionalsocialista , che la convinse della superiorità della razza ariana e che la “soluzione finale” fosse una cosa più che giusta da mettere in atto.
A 15 anni si ritirò da scuola, dopo essersi messa spesso nei guai. Con il padre i rapporti divennero molto tesi, essendo lui un fermo oppositore del regime nascente. Nonostante questo Irma si iscrisse alla Lega delle ragazze tedesche - Bund Deutscher Mädel - organizzazione di giovani naziste, che educava con disciplina ferrea in modo che le arruolate fossero pronte per combattere e morire per il Reich.
Quando la giovane espresse la volontà di lavorare nel campo di Ravensbrück, fu cacciata di casa e denunciata come “senza fissa dimora”. Per lei si aprirono, anche se per un breve periodo, le porte del carcere.
Successivamente fece apprendistato come infermiera, mostrando doti considerevoli. A 19 anni divenne membro delle SS e successivamente supervisore a Ravensbrück. Il suo sogno si era concretizzato. Li conobbe Dorothea Binz che la iniziò alle pratiche del sadismo: le aveva insegnato come punire i prigionieri, come reagire alle ribellioni ed ai rallentamenti del lavoro. Definiva il sadismo come un “piacere malizioso”.
Irma si distinse anche qui per le sue doti innate: bella, giovane e tremendamente crudele. Voleva emergere, per dimostrare a tutti il suo valore, soprattutto alla famiglia che l’aveva denigrata a lungo.
Curava ossessivamente la propria divisa, la frusta, i suoi stivali e il suo cane: li considerava strumenti di lavoro. Dopo poco tempo fu promossa e trasferita a Birkenau dove divenne sorvegliante del settore destinato alle ebree polacche. In quel blocco diede sfogo a tutta la sua malvagità. Fu nuovamente promossa, arrivando a ricoprire il secondo ruolo più importante a cui una donna nelle SS potesse aspirare: sorvegliante di 31 baracche con circa 3000 donne ciascuna. Tra queste il blocco 11, il “blocco della morte”, in cui ogni giorno venivano eseguite le fucilazioni di chi vi era rinchiuso. Nello svolgimento del suo operato le era stata data autorizzazione di eliminare tutti coloro che si fossero opposti alle regole, senza dover rendere conto a nessuno. Suo superiore diretto era Maximilian Grabner, capo della Gestapo ad Auschwitz.
Nel campo Irma conobbe un uomo mostruoso, con cui intrecciò una relazione, il dottor Josef Mengele, che aiutava personalmente nella scelta dei prigionieri destinati agli esperimenti o alle camere a gas. Questo rapporto amoroso di collaborazione non le impedì di avere relazioni omosessuali con sorveglianti e prigioniere, che poi venivano uccise per eliminare ogni traccia di ciò che aveva fatto. Se veniva scoperta, la malcapitata testimone veniva inviata alla camera a gas oppure uccisa con un colpo di pistola alla nuca.
Il suo sadismo non conosceva limiti. Amava frustare per passatempo le prigioniere più belle su seno e ventre, provocando loro orribili lacerazioni che poi faceva curare in infermeria senza anestesia; alle loro sofferenze reagiva con malcelato piacere. Assisteva alle operazioni chirurgiche, anche quelle senza anestesia, godendo fisicamante delle sofferenze dei pazienti. Seguiva le prigioniere in bicicletta fino ai luoghi di lavoro, facendole attaccare e sbranare dal proprio pastore tedesco, che teneva a digiuno per giorni, se le vedeva troppo deboli e malate. Al culmine della sua follia arrivò a legare insieme le gambe di una donna in travaglio che morì fra atroci dolori insieme al suo bambino. Non si separava mai dalla sua amata frusta, fatta a mano da lei stessa con anima in metallo e foderata con cellophane trasparente. Chiamava le prigioniere “deck” – letame, immondizia -, le prendeva a calci con i suoi stivali sempre impeccabili, fino ad ucciderle, le colpiva con il manganello e le finiva mentre erano a terra. Si divertiva a selezionale le prigioniere che non parlavano tedesco per ordinare loro di portare qualcosa oltre la rete divisoria; quando si avvicinavano, i soldati ordinavano loro di fermarsi, ma poiché non erano in grado di capire l’avvertimento, continuavano il loro cammino per essere poi uccise a fucilate. Secondo alcuni testimoni la Bella Belva era responsabile di almeno 30 morti la giorno, ma se ne ipotizzavano anche di più.
La sua promiscuità le si ritorse contro. Rimase incinta nel 1943. La decisione fu ovvia, abortì, tornando subito al lavoro, nella fabbrica della morte. A marzo del 1945 venne trasferita nel lager di Bergen-Belsen, dove iniziò una nuova relazione con un ufficiale delle SS. La loro storia durò poco perche il 15 aprile le truppe inglesi entrarono nel campo per liberare i prigionieri. Irma Grese fu arrestata insieme ad altri ufficiali.
Fu accusata di crimini di guerra sulla base delle testimonianze fornite dai sopravvissuti.
Con lei alla sbarra degli imputati altre 18 donne, 44 SS e il loro comandante, Josef Kramer. Il processo iniziò il 17 settembre 1945. Il pubblico ministero, colonnello T.M. Backhouse, la definì senza ombra di dubbio la “peggiore donna del campo”. Non mostrò mai un attimo di cedimento, nessuna emozione o il benché minimo pentimento. Aveva solo 22 anni e il ghiaccio al posto del cuore. Il 17 novembre arrivò il verdetto: «Il tribunale degli Alleati ha giudicato Irma Grese colpevole di genocidio e di strage e l’ha condannata a morte mediante impiccagione». Con lei altre due donne furono condannate all’impiccagione, Juana Bormann, Elisabeth Volkenrath. La mattina del 13 dicembre 1945 a Hameln, con altri 12 membri delle SS, Irma Ilse Ida Grese fu impiccata. Salendo la patibolo, baciò il crocifisso, chiuse gli occhi e mentre le veniva infilato un cappuccio nero in testa disse solo….«Schnell!». Così morì la Bella Belva, lasciando dietro di se solo dolore e morte. Come lei tutti i colpevoli della Shoah non meritano pietà o comprensione. Irma durante il dibattimento, sempre arrogante e sprezzante verso chi le stava di fronte, non mostrò mai un segnale di umanità. Tutte le foto scattate in quei giorni la ritraggono impassibile, anche durante le deposizioni dei testimoni. Solo riascoltando le torture a cui aveva sottoposto le prigioniere esibì un sorriso compiaciuto, quasi a voler rivivere il piacere che aveva provato in quei drammatici giorni nel campo di Auschwitz.
Rosella Reali
Bibliografia
Sarti, Wendy Adele-Marie. Women and Nazis. Bethesda: Academica Press, 2012
Kater, Michael H. Hitler Youth. Cambridge, MA: Harvard University Press, 2006
Zweite eidesstattliche Erklärung Greses am 14. Juni 1945, in: Claudia Taake: Angeklagt: SS-Frauen vor Gericht Universität Oldenburg 1998
Ernst Klee: Das Personenlexikon zum Dritten Reich. Wer war was vor und nach 1945. 2. Auflage. S. Fischer, Frankfurt am Main 2003
Hermann Langbein: Menschen in Auschwitz. Frankfurt am Main, Berlin Wien, Ullstein-Verlag, 1980
Claudia Taake: Angeklagt: SS-Frauen vor Gericht. Diplomarbeit an der Universität Oldenburg 1998
Roland Paul, Le donne del nazismo. Il fascino del male, L'Airone Editrice Roma, 2015
ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali.
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...