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I Korowai, i cannibali che vivono sugli alberi

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La Papua Nuova Guinea è costituita dalla parte orientale dell'isola di Nuova Guinea e da numerose isole che appartengono all'arcipelago di Bismarck. Nel cuore delle foreste pluviali di questo magnifico angolo di terra vive un popolo, i Korowai, che costruisce magnifiche case sugli alberi.
La conoscenza del mondo occidentale con questo gruppo etnico è recente, molto recente. Correva il marzo del 1974 quando un gruppo di scienziati, al seguito di alcuni missionari cristiani provenienti dall'Olanda, si addentrò per la prima volta nel verde di questa natura incontaminata. Lo strano insieme di scienza e fede scoprì un popolo che per millenni aveva vissuto nell'ignoranza del mondo esterno, indigeni convinti di essere gli unici abitanti della foresta a loro conosciuta. Alcuni missionari, evangelizzatori, iniziarono a vivere stabilmente a stretto contatto con i Korowai nell'intento di convertirli al cristianesimo, protestante. Scoprirono ben presto quanto fosse difficile modificare le tradizioni che da millenni si propagano in quelle terre. 
Durante un'intervista telefonica, rilasciata al Magazine dello Smithsonian, il reverendo Johannes Veldhuizen, missionario olandese, disse che abbandonò l'idea di convertirli al cristianesimo poiché “un Dio della montagna molto potente aveva avvertito i Korowai che il loro mondo sarebbe stato distrutto da un terremoto se gli stranieri entravano nella loro terra per cambiare le loro abitudini”. Dopo diverso tempo riuscirono a convertire alcuni indigeni, modificando per sempre la loro cultura. I missionari olandesi convinsero alcuni Korowai che fosse necessario compiere un rito a loro completamente avulso. I nuovi civilizzatori di anime, e di terre, battezzarono alcuni abitanti delle foreste accogliendoli nelle case, divenuti villaggi, che avevano costruito nelle nuove terre evangelizzate. Si susseguirono visite scientifiche conoscitive. Nel 2006 una troupe televisiva, guidata dal giornalista Paul Raffaele, riuscì a guadagnare la fiducia di alcuni Korowai che vivevano ancora nella foresta. Raffaele riuscì ad approfondire la tematica di maggior interesse per i lettori e telespettatori, il cannibalismo. 
Lo stesso giornalista commentò che “consumano la carne umana avvolta in foglie di banano. La parte preferita è il cervello, ma mangiano tutto tranne capelli, unghie e pene. I bambini che hanno meno di 13 anni sono esonerati in quanto ancora vulnerabili e potenzialmente esposti al contagio degli spiriti maligni”. Con molta probabilità dovremmo vedere questo comportamento come una forma di giustizia sociale. Il cannibalismo dei Korowai non ha un obiettivo alimentare, anche se l'uomo ucciso è considerato alla stregua di un maiale di cui non si butta quasi nulla. Per comprendere dobbiamo fare un passo indietro: i Korowai sono in grado di capire la morte accidentale causata da una caduta da un albero o la morte violenta in seguito a ferimento da freccia o lancia. Questo popolo non conosce l'esistenza dei batteri, per cui quando uno di loro si ammala sono portati a ritenere che uno spirito sia entrato nel corpo della persona con l'obiettivo di divorarlo dall'interno. Questo spirito maligno ha un nome: Khakhua. Quando un Korowai si ammala è ricoverato all'interno delle case sugli alberi circondato dai membri del proprio clan. Durante la malattia sussurra il nome del demone Khakhua che si è impossessato del proprio corpo. Il colpevole può essere un parente, un membro del proprio clan oppure un individuo di una tribù rivale. Colui che viene individuato dall'ammalato è catturato, ucciso e divorato dai membri dello stesso clan di appartenenza della persona posseduta dallo spirito maligno. 
Lo divorano come lui ha divorato dall'interno l'individuo ammalato. Consumato il pasto cannibalico conservano il teschio della persona considerata stregone, mentre le ossa sono utilizzate per scacciare altri eventuali Khakhua che possono infestare la famiglia. I membri del clan per allontanare gli spiriti maligni usano battere per tutta la notte le ossa del divorato sugli alberi nei pressi dell'abitazione. E' una forma di delazione non dissimile da quella che avveniva nel periodo della caccia alle streghe in Europa durante i secoli dell'Inquisizione. In quel periodo buio bastava che una persona si presentasse ai frati domenicani facendo il nome di un vicino o parente che non gradiva per far scattare le indagini e le successive torture, per non parlare del rogo liberatore. Negli ultimi anni questo fenomeno sembra in diminuzione grazie all'intervento delle forze dell'ordine. Alla fine del secolo scorso la polizia intervenne in seguito alla denuncia di una donna che si vide divorato il marito dal clan del proprio fratello in seguito all'accusa di essere un Khakhua. La polizia intervenne duramente arrestando l'uomo, il capo villaggio e un complice. Le forze dell'ordine, nel tentativo di scoraggiare questa pratica, chiuse i sospettati in alcune botti facendoli rotolare in un laghetto pieno di sangue, costringendoli a mangiare tabacco, peperoncini e feci di animali. A noi tutto questo pare inaccettabile poiché si scontra con i pilastri della cultura occidentale. Dobbiamo fare lo sforzo di ragionare in base alle terre ove questi avvenimenti si consumano. Quando fu chiesto ai Korowai se mangiassero carne umana, loro risposero “certamente no, noi mangiamo Khakhua”. 
I Korowai, come molti popoli non ancora contattati o che vivono ai margini di quella che noi consideriamo civiltà, vivono di una economia di sussistenza che si basa sul principio dell'uomo cacciatore-raccoglitore. Questo popolo ha notevoli capacità relative alla caccia e alla pesca. Inoltre praticano un'agricoltura itinerante, sfruttando un terreno sino a quando ritengono che sia da abbandonare per permettere alla natura di riprendersi e riuscire, in un vicino futuro, a dare nuovamente un raccolto soddisfacente. Il loro numero oscilla sulle 3000 unità raccolte in clan, all'interno dei quali i nuclei familiari sono composti da un capo-famiglia con le proprie mogli, in aggiunta ai figli celibi. La vera peculiarità dei Korowai attiene alle abitazioni che costruiscono sugli alberi. Questi capolavori possono trovarsi anche a 45 metri d'altezza. Le case possono essere costruire su un solo albero oppure utilizzare come base più alberi ravvicinati. Ogni singola abitazione può ospitare un numero variabile di persone compreso tra 8 e 15. Tutto questo sta lentamente sparendo, poiché i giovani si trasferiscono con maggior frequenza rispetto al passato presso le costruzioni e villaggi messi loro a disposizione dalle autorità governative e religiose. Rimarrà una sola generazione di Korowai che vivrà nel cuore della foresta pluviale e quando scomparirà potremmo dire che la profezia del potente Dio della montagna si è avverata.

Fabio Casalini

Bibliografia

Paul Raffaele, Sleeping with cannibals, Smithsonian magazine, settembre 2006

Georgia Rose, Meeting the Cannibal Tribes of Indonesian New Guinea, Vice, dicembre 2014

FABIO CASALINI– fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale, che si avvia a diventare un vero e proprio modello di diffusione della tradizione popolare, dell’arte meno conosciuta, dei misteri e delle leggende conosciuti o meno, in un felice connubio con le moderne tecnologie. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.



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