Uno sguardo letale, la lingua penzolante, un rivolo di sangue, una moltitudine di serpenti e il corpo pietrificato. Questo insieme disparato e strisciante potrebbe rappresentare l'incubo di molti esseri umani.
Buona parte della nascita della fitta schiera di mostri era servita, come per esempio il basilisco, ad esporre la teoria della mortalità dello sguardo: chi propagava veleno attraverso lo sguardo, o l'alito, non poteva essere umano. Ancora nel XVII secolo, la descrizione realistica della Catoblepa di Topsell divulgava lo stereotipo dell'occhiata mortale. La catoblepa era una creatura leggendaria descritta sia da Plinio io Vecchio che da Claudio Eliano. Nell'antica zoologia greca, e romana, era una quadrupede africano raffigurato con il capo pesante sempre abbassato verso terra. Plinio, all'interno del Naturalis historia, lo descrive come un animale dall'andatura pigra, che vive in Africa ai confini dell'Etiopia. Il suo sguardo uccideva all'istante, malgrado fosse difficile fissarlo negli occhi poiché l'animale teneva sempre la testa chinata a causa dell'enorme peso. Per Claudio Eliano, nel suo Sulla natura degli animali, la creatura è un erbivoro dalle dimensioni di un toro, con folta criniera ed occhi stretti iniettati di sangue. Eliano trasforma l'arte d'uccidere della catoblepa poiché non è lo sguardo a fulminare le prede ma l'alito, questo perché l'animale si cibava di piante velenose. Un'ulteriore caratteristica aggiuntiva risiede nella capacità di questa bestia di trasformare le persone in pietre. La catoblepa ha superato i confini dello spazio e attraversato il tempo. Questo essere leggendario è citato in una canzone del 1992, dal titolo Supergiovane, del gruppo musicale Elio e le storie tese. Inoltre è presente nei videogiochi Final Fantasy V e Final Fantasy XVe nel romanzo Il gioco del mondodi Julius Cortazar.
L'animale leggendario ha dato vita a un neologismo, il Catoblepismo, coniato del 1962 dall'economista e banchiere Raffaele Mattioli. Con questa parola intendeva riferirsi ai patologici rapporti di commistione che si erano creati in Italia tra il mondo dell'industria e il sistema creditizio ordinario. Secondo l'economista, nell'Italia degli anni trenta del secolo scorso, si era instaurato un circolo vizioso per cui il controllato controlla il controllore. Il termine non è mai sparito, e non ha destato scalpore il suo riapparire in seguito alla crisi economica del 2011-2012. Qualcuno deve sempre chinare il capo nei confronti del potere. Tali animali leggendari indicano che la loro funzione principale era quella di nutrire la credenza nell'alito e nello sguardo letale. Possiamo sforzarci di intuire quali penosi effetti potesse provocare negli antenati, vicini o lontani, l'idea di poter morire a causa di un soffio o di uno sguardo. Possiamo provarci ma non riusciremo a comprendere. L'alito velenoso e l'occhiata che uccide confluirono nell'immaginario scientifico sin dagli albori delle pubblicazioni sulla natura, sino a spegnersi nelle leggende popolari. Un secondo aspetto che modificò la percezione dei nostri avi concerne la visione femminile. La maggioranza degli europei coltivava il mito dello sguardo che uccide e prendeva in seria considerazione l'idea della mostruosità femminile. Per chi ha camminato prima di noi su questi sentieri, era un obbligo culturale tormentarsi con l'idea che una donna con serpenti sul capo e dallo sguardo fiammeggiante potesse mettere in pericolo la loro vita. Non solo donne, gli uomini rettili o uomini serpente sono creature leggendarie menzionate nella mitologia e nel folclore di diverse culture, aventi fattezze di rettili umanoidi. In epoca contemporanea sono presenti nella fantascienza e nell'ufologia che per descriverli usano i termini di rettiliano o uomo lucertola. Allontaniamoci dalle teorie del complotto per tornare alla storia delle leggende. Il primo mitico re di Atene, Cecrope, era mezzo uomo e mezzo serpente.
Nella stessa mitologia greca i Titani e i Gigantiavevano servitori serpenti e talvolta i Giganti sono rappresentati in forma anguiforme, ossia con le gambe formate da terminazioni serpentiformi. Anche il vento Borea, per i romani Aquilone, era descritto in forma anguiforme. Quale figura rappresenta al meglio la paura dello sguardo? Sicuramente Medusa, figura della mitologia greca. Insieme a Steno ed Euriale, è una delle tre Gorgoni, figlie delle divinità marine Forco e Ceto. Secondo la mitologia le Gorgoni avevano il potere di pietrificare chiunque avesse incrociato il loro sguardo e, delle tre, Medusa era l'unica a non essere immortale, dato che nella maggioranza delle versioni è decapitata da Perseo. Questa invenzione, alla base della storia della paura, è stata elaborata lungo un arco temporale ampio. La raffigurazione della donna serpente benevola, i Minoici la rappresentavano come una seducente signora da ingraziarsi, furono via via sostituite dalle raffigurazioni dell'inguardabile Gorgone. Tutte queste paure si trasformarono per concentrarsi in un unico animale leggendario, noto come il piccolo Re.
Nei bestiari e nelle leggende, sia dell’antica Grecia sia in quelle europee, il basilisco è una creatura mitologica citata anche come il re dei serpenti. Traducendo il nome greco, basilìskos, comprendiamo la sua importanza: piccolo Re. La narrazione delle sue gesta riporta a sogni primordiali. Il suo potere è immenso: può uccidere con un solo sguardo diretto negli occhi della vittima. Si narra che il basilisco nacque dal sangue di Medusa decapitata da Perseo. Forse la nascita aiuta a comprendere il suo attacco: se lo sguardo è diretto negli occhi della vittima questa muore all'istante, se è di riflesso la pietrifica. Come non trovare analogie con la mitica Medusa. Il basilisco è onnivoro poiché si nutre di uccelli, rettili, mammiferi e creature umanoidi. Nelle fasi di accoppiamento gli esemplari si riuniscono in gruppo per permettere la continuazione della specie. Il basilisco è invincibile? Due sono i nemici mortali: la donnola e il gallo. La donnola nell’epico scontro muore qualora non riesca ad azzannare il Re alla gola. Il gallo è più fortunato: il suo canto intimorisce il rettile sino ad essere letale per il piccolo Re. La donnola è animale in grado di smascherare la falsità. Nella mitologia greca si narra di una giovane donna, Galantide amica o ancella d’Alcmena madre d’Ercole. La moglie di Zeus, Era, saputo della gravidanza d’Alcmena cercò di arrestare la nascita del figlio ordinando alle divinità di stare sedute davanti alla camera della donna con le mani intrecciate, in questo modo il bimbo non poteva venire al mondo. Per nove giorni e nove notti le divinità stettero sulla soglia della casa impedendo la nascita d’Ercole. Vista la difficile situazione Galantide ideò uno stratagemma: decise di uscire dalla stanza annunciando la nascita del figlio. Le divinità, prese alla sprovvista, levarono le mani in un gesto di stupore. Svincolato dall’intreccio malefico Ercole nacque per la gioia di Alcmena. Le divinità, infuriate, decisero di trasformare in donnola Galantide. Un altro animale è in grado di sottomettere il basilisco: il gallo o meglio il suo canto. Sin dall’antichità si ritiene che il canto del gallo, all’alba, sia in grado di allontanare gli spiriti maligni. Il gallo è collegato al sorgere del sole, e come tale discosta le tenebre dal mondo. Il gallo separa il buio dalla luce, combatte il basilisco e vince la perenne battaglia tra bene e male. Le testimonianze sul basilisco non si rincorrono solo nelle vallate alpine. Esiste da sempre. Secondo Plinio il vecchio il basilisco è un piccolo serpente, lungo venti centimetri. Nonostante le sue misure contenute risulta la creatura più mortale in assoluto. E’ infatti velenosissimo ed è in grado di uccidere con il solo sguardo che pietrifica o incenerisce. Il poeta Lucano s’interessò al piccolo Re: un cavaliere che colpì il basilisco fu ucciso insieme al cavallo dal veleno che si infiltrò dalla lancia. Isidoro di Siviglia lo definiva il re dei serpenti, i quali lo temono per il suo soffio velenoso e per lo sguardo mortale. Beda fu il primo ad attestare la leggenda di come il basilisco nascerebbe da un uovo deposto di tanto in tanto da un gallo anziano. L'uovo deve essere sferico e deve essere covato da un serpente o da un rospo, processo che poteva impiegare fino a nove anni. Secondo l'enciclopedia di Rabano Mauro, sarebbe lungo mezzo piede e striato da macchie nere. Alessandro Neckman fu il primo a riferire la teoria secondo la quale non era lo sguardo del basilisco a uccidere ma la corruzione dell'aria che esso provocava. Questa teoria fu ripresa successivamente dal grande medico e astrologo Pietro d'Abano. Nel XII secolo Teofilo monaco, nella sua raccolta di ricette artigiane, indicò un procedimento per creare un basilisco, attraverso la copula di due galli rinchiusi in una cella sotterranea e tramite la cova di due rospi.
In epoca moderna anche Vittorio Spinetti lo menziona, ricordando frate Bernardo Rategno: “[...]e il frate inquisitore spiega la malia fatta ai fanciulli appoggiandosi all’autorità del Beato Tommaso dicendo che quella è infezione che procede dagli occhi infetti per la malizia dell’anima, con l’aiuto del demonio e con il permesso di Dio, e ciò che avviene specialmente nelle vecchie, nelle quali per una certa malizia contratta con l’amicizia e con il patto del demonio si forma un rivolgimento velenoso attraverso le vene degli occhi… e così lo sguardo di esse velenoso corrompe e guasta i fanciulli… e perché avviene perché la donna se guarda uno specchio puro subito lo guasta e lo deturpa, e il basilisco quando vede l’uomo lo uccide.” La leggenda non ha fine. L’uomo alimenta la propria fantasia per svariati motivi, che risultano insondabili nella mente di chi cerca la verità. L’immaginario alpino è a nostra disposizione per comprendere il cammino che abbiamo perseguito nella nostra esistenza. Aurelio Garobbio nel 1969 scriveva: “il basilisco è poco più grosso di un ramarro, e gli somiglia anche, benché la sua pelle non sia verde bensì grigio scuro e coperta di squame. Sulla testa ha una cornea corona, lungo il filo della schiena e sulla coda una durissima cresta a sega”. Questo passaggio è fondamentale. Il piccolo Re ha la corona. E’ scritto, non c’è nulla da inventare. Altri prima di me hanno affermato la regalità del piccolo rettile, tanto temuto. Garobbio continua analizzando il terrore dell’incontro: “il veleno del basilisco ha effetto immediato e non c’è scampo. La dannata bestia aspetta però a morsicare la vittima che non può fuggire, fermandosi a fissarla per intere ore, godendo del disperato terrore ed accorciando il supplizio soltanto se ode avvicinarsi qualcuno”. Le leggende servono ad inserire poesia nella nostra vita, a creare una moltitudine di colori dove il grigio potrebbe sovrastare. Non ammazzate le leggende. Non uccidete quest’ultimo grido di gioia della nostra civiltà.
Fabio Casalini
Bibliografia
A. Cerinotti, Atlante dei miti dell'antica Grecia e di Roma antica, Giunti Editore 2000
M.C. Cresti, Draghi, streghe e fantasmi della Toscana. Creature immaginarie, spettri, diavoli e leggende di magia della tradizione toscana, Lucia Pugliese editore, Firenze 2012
P. Galloni, Il sacro artefice, Laterza, Bari 1998
A. Garobbio, Leggende delle Alpi Lepontine e dei Grigioni, 1969
A. Giallongo, La donna serpente. Storia di un enigma dall'antichità al XXI secolo, Edizioni Dedalo, 2012
D. Pepe, Plinio il Vecchio e l'opera d'arte: riflessioni sul metodo ecifrastico nella Naturalis historia, in Kronos numero 29 anno 2010
M. Savi Lopez, Le leggende delle Alpi, 1889
V. Spinetti, Streghe in Valtellina, Sondrio 1903
T. Valsesia, Val Grande ultimo paradiso, Alberti libraio editore, Verbania 2006