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Capo di guerra Nuvola Rossa

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“Di chi era la prima voce che riecheggiò su questa terra? La voce del popolo rosso che aveva solo archi e frecce … Cosa non è stato fatto nel mio paese, senza che io lo volessi, senza che io lo chiedessi. La gente bianca passa attraverso il mio paese lasciando una traccia di sangue dietro di sé.” 
(Mahpiya Luta - Nuvola Rossa, degli Oglala Sioux - discorso al Presidente Grant).
Nuvola Rossa 
Fort Laramie, territori del Wyoming, 13 giugno 1866. Il Commissario Taylor dell’Indian Bureau, era in piedi al centro della tribuna allestita fuori dal Forte e attendeva immobile di poter concludere il negoziato preparato ed avviato da un’apposita Commissione di Pace, nominata dal Governo con il fine di strappare ai Capi Sioux il permesso di attraversamento dei territori indiani da parte delle carovane di coloni.
Per primi sopraggiunsero un migliaio di soldati del 18° Fanteria, inviati dal Dipartimento della Difesa al comando del Colonnello Carrington, mentre poco dopo, si mosse dalle colline la delegazione di oltre duemila guerrieri Oglala, Miniconjou, Brulè, Hunkpapa, Cheyenne e Arapaho che si schierarono, fila dopo fila, in ordine di rango: i capi ed i sottocapi delle varie bande con le loro lance, i coltelli, i tomahawk, gli ornamenti variopinti, penne bianche e facce dipinte color ocra. All’improvviso fu silenzio, non una frase, non una parola veniva sussurrata. La tensione era palpabile. Soltanto ad intervalli il suono prodotto dagli zoccoli di qualche pony irrequieto. Questa immobilità venne interrotta dall’arrivo al galoppo del capo più importante, preceduto dal suo luogotenente: il primo dalla faccia dipinta in modo tale da sembrare una maschera, era Tašunka-kokipapi “Uomo che teme il suo cavallo”, l’altro, dalle spalle ampie e dal torace guizzante di muscoli sotto un mantello di pelle tinta di rosso purpureo, con un portamento regale sul suo magnifico pinto, era Maḣpíya Lùta, Nuvola Rossa. Il Colonnello Carrington prese parola con un tono tipico dei militari quando istruiscono le truppe: “I miei ordini sono di marciare nel territorio del Powder River per costruire alcuni Forti, costituirvi le rispettive guarnigioni ed assicurare la nuova via per le miniere del Montana, il Bozeman Trail”. Nuvola Rossa guardò Taylor che era sbiancato in volto. Il Capo indiano si spostò al centro della tribuna, i suoi capelli neri e lisci, divisi nel mezzo, gli scendevano sulle spalle fino alla cintola. I suoi occhi lampeggiavano mentre pronunciava furioso: “I bianchi ci trattano come bambini. Il Grande Padre prima ci manda regali dicendo che vuole una nuova strada ed ora il Piccolo Capo Bianco arriva con i soldati per rubare la strada, prima che gli indiani dicano si o no. Tra due lune non vi rimarrà neppure uno zoccolo.” Non c’era più spazio per le parole, non era più tempo di scontri occasionali e di assalti isolati: era l’inizio della guerra di Nuvola Rossa.
Alloggi della cavalleria a Fort Laramie [proprietà dell'autore dell'articolo]
Nato nel 1822 in un villaggio lungo il fiume Platte, in quello che oggi è l’odierno Stato del Nebraska, Nuvola Rossa rimase orfano del padre appartenente alla tribù dei Brulè a soli 5 anni, venendo allevato dallo zio materno “Capo Fumo” degli Oglala, grazie al quale crebbe presto nell’arte della guerra, dimostrando già dalla giovinezza grande coraggio e arguzia nelle frequenti battaglie che gli Oglala Sioux combattevano sia contro le tribù nemiche, come Pawnee, Crow, Ute e Shoshone, sia contro fazioni avversarie dello stesso ceppo Lakota, tanto da guadagnarsi in poco tempo il titolo di Capo di Guerra del clan Oglala “Facce cattive”, uno dei più influenti dei Teton Sioux. Tale importante leadership gli servì, qualche anno dopo, per riunire sotto la sua guida tutte le tribù delle pianure nella lotta contro gli invasori bianchi. Era da poco passato il 1860, quando gli giunse notizia di feroci deportazioni di intere Tribù Sioux Santee dai territori del Minnesota in aride riserve lungo il fiume Missouri; c’erano poi stati i massacri del Sand Creek e del Bear River. Nuvola Rossa sapeva ormai che i bianchi stavano stringendo il cerchio attorno al popolo delle Pianure, bisognava quindi unire le nazioni amiche. Già nel 1865 le bande Hunkpapa di Toro Seduto, quelle Cheyenne di Coltello Spuntato con i dog soldiers di Naso Aquilino, gli Arapaho di Orso Nero, i giovani Oglala di Cavallo Pazzo, i Brulè di Coda Chiazzata, nonché altre bande minori, affiancavano ormai il Capo di Guerra in una poderosa alleanza indiana, unita nelle scorrerie contro soldati e carovane di coloni, la cui presenza in quelle terre rappresentava un’aperta violazione ai trattati che avevano consegnato agli indiani le Bighorn Mountains, le valli del Tongue e del Rosebud fino alle Black Hills. Già un anno prima del fallito negoziato di Fort Laramie, Nuvola Rossa ed i suoi alleati avevano contrastato più volte l’arrivo di ben 4 colonne militari, di cui 3 agli ordini di Capo Stella Connor (Ufficiale già tristemente noto per aver trucidato 278 Shoshone due anni prima sul Bear River) ed una guidata da un ingegnere civile, James A. Sawyer, rispettivamente incaricati dal Congresso degli Stati Uniti di costruire tre Forti nella zona del Powder River (in seguito realizzati dal Col. Carrington con i nomi di Fort Reno, Fort Smith e Fort Phil Kearney) e preparare una pista che dal Nebraska doveva condurre ondate di minatori verso i giacimenti auriferi del Montana. L’arroganza dei bianchi era chiara, volevano chiedere una cosa che già era in atto. Ciò nonostante, il Capo Indiano era voluto andare a sentire ugualmente cosa voleva proporgli l’Agente Indiano Taylor a Fort Laramie: Nuvola Rossa sapeva che i bianchi amavano mentire quando parlavano di pace, ma sentiva su di sé la responsabilità delle grandi decisioni, conosceva fin troppo bene il significato della parola “guerra”, l’ultima opzione, quella più dura, la più impegnativa per il suo popolo. Dopo quel fatidico 13 giugno il Colonnello Carrington avrebbe subito una spietata guerriglia: nessuno dei convogli di carri civili o militari che percorrevano la pista Bozeman fu esente da attacchi di sorpresa. Tutte le carovane dovettero essere scortate da truppe a cavallo e i soldati impararono ben presto ad attendersi imboscate fatali. La strategia di Nuvola Rossa, infatti, era tagliare i rifornimenti ai tre avamposti in modo da indebolirli in vista dell’inverno, certo che con il freddo e la fame sarebbero stati ben presto in balia dei suoi tremila guerrieri.  
Ciò che rimane di Fort Phil Kearney  [proprietà dell'autore dell'articolo]
Fort Phil Kearney, territori del Wyoming, 21 dicembre 1866. Era da poco spuntata la fredda alba invernale, le nevicate avevano imbiancato le colline attorno al Forte ed il Colonnello Carrington, intirizzito dal vento gelido che soffiava sulla palizzata, si era accorto con apprensione che i tanto sospirati carri di legname, indispensabili per la vita ed il riscaldamento della guarnigione, apparsi finalmente in arrivo dal Lodge Trail Ridge, erano stati improvvisamente attorniati da una decina di giovani guerrieri urlanti, riconoscendo alla testa del gruppo il temuto Cavallo Pazzo che, frapponendosi sulla strada per il Forte, guidava l’attacco al convoglio. Il Capitano Fetterman guardava il Comandante e non stava più nella pelle, aspettava solo l’ordine per dimostrare, come sosteneva da tempo, che solo lui con 80 uomini sarebbe bastato a sconfiggere tutti i guerrieri Sioux delle Pianure, bisognava solo dargliene modo. Di lì a poco l’ordine arrivò, lo Squadrone uscì al galoppo in soccorso dei taglialegna sotto attacco, Cavallo Pazzo entrava ed usciva dalla boscaglia, sventolando una coperta rossa e continuando a urlare ordini ai suoi, sembrava spaventato. I guerrieri zigzagavano lungo il pendio, alcuni si davano a precipitosa fuga mentre qualcuno, più ardito, sfidava da vicino i soldati lanciati all’inseguimento. Dalla palizzata il Colonnello Carrington, osservando visibilmente compiaciuto, si lasciò sfuggire un mezzo sorriso di approvazione. Quando il gruppo di indiani, inseguiti a breve distanza dai cavalleggeri a spade sguainate, attraversò il Pine Creek scomparendo alla vista dell’avamposto, il Capitano Fetterman – che già pregustava la vittoria – non poteva immaginare la trappola nella quale stava cadendo. 
Cavallo Pazzo con un gesto inaspettato divise il suo gruppo dando così il segnale di attacco: Piccolo Cavallo alzando la lancia sbucò all’improvviso con centinaia di Cheyenne e Arapaho dalle gole sul versante occidentale, mentre dal versante opposto ecco altrettanti Miniconjou e Hunkpapa al galoppo che si gettavano, sotto gli ordini di Toro Bianco e Falco Tuonante, in un confuso combattimento corpo a corpo con i soldati disorientati. I fanti, subito circondati dai cavalieri indiani, cercarono inutilmente di fare quadrato venendo sopraffatti in poco tempo, uno dopo l’altro, mentre i cavalleggeri tentarono la ritirata in velocità ma, chiusi nel frattempo dai guerrieri di Cavallo Pazzo e non riuscendo ad indietreggiare quel tanto da essere coperti dall’artiglieria del Forte, ripiegarono su un promontorio roccioso posto alla fine del pendio, provando ad abbozzare una difesa tra alcuni massi incrostati di ghiaccio. Fecero del loro meglio e vendettero cara la pelle, spari, urla, poi tutto finì. Gli indiani contarono oltre 200 tra morti e feriti ma non restò vivo nemmeno uno degli 81 soldati di Fetterman. Nuvola Rossa e Schiena Alta osservavano impassibili dall’alto della collina mentre il giovane Cavallo Pazzo, unico tra tutti i guerrieri a non cedere all’orgia di sangue, continuava freddamente ad impartire ordini. Era la Luna del grande freddo ed i combattimenti si sarebbero fermati per qualche mese. Un’ora dopo, quando il silenzio calò pietoso sulla prateria, il Cap. Eyck con 76 uomini uscì per recuperare i corpi, rimanendo inorridito nel vedere mutilazioni, sventramenti, arti tagliati, organi sessuali staccati ed indecentemente messi sulla persona. Il Colonnello Carrington, nel suo primo incarico in territorio indiano, era disgustato, forse perché non aveva visto le medesime mutilazioni inferte due anni prima a uomini, donne e bambini indiani dai soldati di Chivington nella carneficina del Sand Creek.  
Il massacro Fetterman in una stampa de[proprietà dell'autore dell'articolo]
Il massacro Fetterman fece profonda impressione sul Governo degli Stati Uniti: era la peggior sconfitta mai subita nelle guerre indiane. Carrington fu immediatamente destituito dal comando, furono inviati rinforzi ai Forti sul fiume Powder e giunse anche una nuova Commissione di Pace da Washington a Fort Laramie. Inutili furono i tentativi dei vari messaggeri per discutere una tregua: Nuvola Rossa non avrebbe parlato fino a quando tutti i soldati non se ne fossero andati dal territorio. La situazione non si sbloccava, nel 1867 lungo la pista del Nebraska i guerrieri Sioux riuscirono persino a far deragliare un convoglio dell’Union Pacific Rail Road, bruciando i vagoni e massacrando tutti i passeggeri. La pista Bozeman era completamente tagliata fuori, le truppe demotivate, affamate, ogni giorno si registravano casi di diserzione ma i fuggitivi, quando non erano ripresi e fucilati dai commilitoni venivano ritrovati orrendamente uccisi dagli indiani. Dopo numerosi tentativi di tregua falliti, nella primavera del 1868 arrivò a Fort Laramie il Generale Sherman – l’eroe della Guerra Civile - per parlamentare con Nuvola Rossa, portando con sé l’assicurazione e l’impegno del Governo a ritirare tutte le truppe dalle Pianure occidentali. 
Ma Nuvola Rossa rifiutò nuovamente di presentarsi mandando a dire: “Siamo sulle montagne da dove vediamo ancora sia i soldati che i Forti. Quando vedremo i soldati partire ed i Forti abbandonati, scenderò a valle e parlerò.” 
Il Generale Sherman ed i Commissari di Washington erano imbarazzati, l’umiliazione era totale, ma alla fine il riluttante Dipartimento della Guerra diede ordine di abbandonare la Powder River Country. Le truppe lasciarono a testa bassa i tre Forti Reno, Smith e Phil Kearney caricando i loro equipaggiamenti sui carri, sempre controllati dall’alto delle colline da migliaia di guerrieri. Gli indiani diedero infine fuoco alle palizzate: dopo due anni di resistenza Nuvola Rossa aveva vinto la sua guerra, il 6 novembre circondato da una schiera di guerrieri trionfanti entrò a Fort Laramie. Ora, come eroe vittorioso, avrebbe firmato il trattato. Ma l’inganno era ancora una volta dietro l’angolo, quando il Congresso ratificò il Protocollo, ben 16 articoli non erano stati accettati consapevolmente dagli indiani bensì inseriti in qualche modo dai relatori e omessi dagli interpreti. Tra le situazioni non dichiarate c’era la creazione di una Riserva per i Sioux lungo il fiume Missouri, a circa 500 km di distanza da Fort Laramie, che invece si trovava nella zona dove i Teton vivevano, cacciavano e intendevano commerciare. Quando Nuvola Rossa se ne accorse andò su tutte le furie minacciando di dissotterrare nuovamente l’ascia di guerra. La Presidenza degli Stati Uniti era nel frattempo cambiata, il “Grande Padre Bianco” era ora Ulysses S. Grant, già Comandante in Capo delle truppe Unioniste. Il Presidente neo eletto, avendo a cuore la risoluzione delle guerre con i nativi, che costavano un patrimonio all’erario, nominò un suo amico indiano Irochese “Donehogawa”, laureato in ingegneria civile a New York con il nome “bianco” di Ely Samuel Parker, Commissario degli Affari indiani. Lo stesso, dopo aver contattato Nuvola Rossa, riscosse subito interesse e fiducia da parte del Capo Indiano il quale, favorevolmente stupito che una carica elettiva di tale importanza fosse toccata ad un Pellerossa, accettò l’invito di Parker di recarsi a Washington a discutere la questione dei Sioux con il Presidente Grant. 
Il 26 maggio 1870 il Capo Oglala con 15 guerrieri come accompagnatori salì sul “Cavallo di Ferro” che lo avrebbe condotto ad Est per trattare con il Grande Padre Bianco. L’incontro ebbe luogo il 9 giugno successivo e Nuvola Rossa ebbe modo di dare sfoggio della sua eloquenza e della sua abilità diplomatica: “Io non voglio la mia riserva sul Missouri, questa è la quarta volta che lo dico. I Brulè che vi sono andati stanno morendo come le pecore, il paese non è adatto a loro. Io sono nato alle sorgenti del Platte e mi è stato detto che la terra mi appartiene da Nord a Sud, da Est ad Ovest … mi diedero un pezzo di carta da firmare e questo è tutto quanto ho avuto in cambio della mia terra. Io non voglio la guerra ma so anche che gli uomini che ci mandate sono bugiardi.”
I giornalisti presenti all’incontro mandarono in stampa articoli roventi denunciando raggiri contro i nativi, la folla delle grandi città dell’Est parteggiava per i Pellerossa, numerose persone giunsero a Washington perché volevano vedere da vicino il grande Capo Nuvola Rossa. Il Governo giocò l’ultima carta e accompagnò la delegazione indiana a visitare New York, gli mostrò enormi navi alla fonda e sofisticati cannoni negli arsenali, con il chiaro scopo di impressionare i “selvaggi” circa la potenza dei bianchi. Nuvola Rossa, per tutta risposta, improvvisò discorsi talmente efficaci che fecero enorme presa sull’opinione pubblica sensibilizzandola ancora di più alla causa indiana. Fu così che il Presidente Grant, tramite il Commissario Parker, non poté fare a meno di impegnarsi ad istituire un’agenzia Sioux là dove voleva Nuvola Rossa, lungo il corso superiore del White River, a poca distanza dalle sacre Black Hills, promettendo libertà di cacciare il bisonte in estate lungo le sconfinate praterie della Powder River Country (per meglio dire a ciò che rimaneva delle mandrie, il cui sterminio era solo all’inizio) e coperte e viveri sufficienti per l’inverno, se gli indiani non si fossero dimostrati ostili. Nuvola Rossa, per la seconda volta in due anni, poteva vantare un’altra vittoria sul Governo. Ma quando egli tornò nelle Pianure si accorse che i giovani guerrieri non riuscivano ad apprezzare gli sforzi compiuti, non lo stimavano più come una volta, soprattutto Cavallo Pazzo non nascondeva il suo disprezzo per essere sceso a compromessi con l’invasore: aveva addirittura acconsentito a farsi fotografare, a vestire per l’occasione anche gli abiti dei bianchi. Egli, tuttavia, continuò per la sua strada, sapeva in cuor suo di non avere mai avuto una vera scelta, anche perché i bianchi erano troppi, troppo potenti e questa loro idea di aprire delle Agenzie gestite dai Capi in parte del territorio indiano, pur essendo un compromesso, avrebbe forse garantito pace e prosperità per la sua gente.  
Purtroppo il destino era in agguato: nel 1874, solo un anno dalla creazione delle Agenzie indiane nelle Grandi Pianure, venne scoperto l’oro sulle Black Hills e migliaia di cercatori si riversarono nelle sacre colline, generando proteste e rivolte, soprattutto da parte dei guerrieri più giovani ed irrequieti, i quali notando la scarsa preoccupazione del loro Capo per il sacrilegio dei Paha Sapa, ma piuttosto un suo impegno unicamente per il buon funzionamento della Riserva, iniziarono a lasciare i villaggi di Nuvola Rossa e Coda Chiazzata per unirsi a Cavallo Pazzo ed a Toro Seduto i quali erano tornati finalmente a parlare di guerra. Loro sì che venivano visti come veri condottieri, non avevano mai vissuto in una Riserva e non avevano mai accettato l’elemosina dell’uomo bianco. Persino un figlio di Nuvola Rossa si unì ai giovani ribelli; il padre che all’epoca aveva 52 anni, non condivideva tale scelta ma ciononostante gli donò il suo fucile migliore. Le ostilità si fecero frequenti, così come le uccisioni di coloni. Una nuova commissione governativa si riunì il 20 settembre 1875 a Fort Robinson, ma Nuvola Rossa annunciò che non vi avrebbe preso parte. Reputava più importante per la sua leadership battersi per assicurare gli approvvigionamenti promessi dall’Agente Indiano per l’inverno. E poi, dentro di sé già sapeva che nulla di buono ne sarebbe scaturito. Presenziò Coda Chiazzata dei Brulé, che riferì indignato a Nuvola Rossa quali fossero i termini dell’incontro: l’ordine del giorno era la cessione delle Black Hills agli Stati Uniti, i bianchi volevano solo trattare sul prezzo. L’agitazione dei guerrieri montava ovunque, il rifiuto a qualsiasi trattativa su tale argomento era inevitabile e 
scontato. Anche perché era chiaro che il Governo non avrebbe nuovamente onorato il trattato stipulato a Fort Laramie, omettendo ancora una volta di scacciare i bianchi dalle terre indiane. Nonostante i suoi tentativi pacifici di resistere alla cessione delle Black Hills, tuttavia, Nuvola Rossa vedeva assottigliare notevolmente il proprio potere di trattativa, i giovani guerrieri lo vedevano ormai come un Capo vecchio e superato. Il Governo, d’altra parte, temendo che l’irrefrenabile aumento di minatori e coloni sulle “colline nere” potesse esplodere in nuove devastanti guerre indiane, decise di intervenire militarmente in loro protezione. Il 3 dicembre 1875 il commissario agli Affari Indiani Edward P. Smith (Donehogawa Parker, inviso a troppi Senatori, era ben presto caduto in disgrazia ed era stato sostituito) ordinò agli Agenti delle tribù Sioux e Cheyenne di avvisare tutti gli indiani che si trovavano fuori dalle Riserve, di rientrare e di presentarsi alle loro agenzie entro il 31 gennaio 1876, oppure vi sarebbero stati costretti dall’Esercito.   
Lapidi dei soldati del 7° cavalleria a Little Bighorn  [proprietà dell'autore dell'articolo]
Le bande di Cavallo Pazzo e Toro Seduto, sempre più numerose ed agguerrite, scapparono ad Ovest attestandosi sul Little Bighorn. Era il preludio degli scontri del 25 giugno, che avrebbero portato al massacro del Colonnello Custer e del suo 7° Cavalleria. Dopo la battaglia e lo smacco per le forze militari statunitensi, le operazioni si intensificarono, ogni indiano non trovato all’interno delle Riserve veniva braccato e preso, vivo o morto. Molti guerrieri con le rispettive famiglie, Sioux Cheyenne e Arapaho, gli stessi che avevano seguito il sogno di Cavallo Pazzo e Toro Seduto, in migliaia tornavano indietro alla rinfusa e si rifugiavano ora da Nuvola Rossa, stremati e sconfitti. Questo non piaceva all’Esercito, anche perché il Capo Oglala si era sempre rifiutato di fornire un censimento esatto sugli indiani della sua Riserva. A fine luglio, un solo mese dopo Little Bighorn, la sua Agenzia, al pari delle altre, venne quindi posta sotto legge marziale con l’arrivo di 8 Squadroni di Cavalleria agli ordini del Col. Mackenzie. La gestione di tutte le derrate alimentari in distribuzione passò dall’Agente Indiano ai militari, decisi a smascherare qualsiasi eventuale rifugio per gli ostili. Il 15 agosto le terre dei Sioux vennero confiscate, il 24 ottobre Nuvola Rossa ed i suoi vennero privati di armi e cavalli ed ogni rapporto e trattativa non sarebbe passato più da lui ma attraverso l’Agenzia di Coda Chiazzata, ritenuto maggiormente influente e collaborativo. I mesi passavano e la situazione per Nuvola Rossa si faceva sempre più difficile pressato com’era, da una parte, dai giovani guerrieri ansiosi di proseguire la ribellione, dall’altra dagli anziani della Riserva, i quali al contrario gli contestavano troppa durezza nei confronti dei bianchi, tanto da incolparlo degli scarsi approvvigionamenti di cibo e coperte per donne e bambini. Inoltre da occidente le notizie si rincorrevano: Toro Seduto era riparato in Canada mentre Cavallo Pazzo, dopo mesi di ostinata resistenza sulle montagne, si era consegnato con oltre duemila guerrieri a Fort Robinson dove, dopo pochi mesi di cattività era stato ucciso, ufficialmente accusato di covare una nuova rivolta, ma probabilmente tolto di mezzo per evitare che i giovani delle varie Agenzie continuassero a vedere in lui un’idea di riscatto. Ogni sogno di libertà era finito miseramente, la grande vittoria di Little Bighorn in realtà si era rivelata solo l’ultimo inutile sussulto di un popolo morente. I Paha Sapa, i suoi spiriti, i suoi misteri, le sue vaste pinete e i suoi miliardi di dollari in oro passarono per sempre dalle mani del popolo rosso al dominio degli Stati Uniti; il Powder River, le verdi vallate del Rosebud e del Tongue ricche di mandrie di bisonti, tutto ciò per cui Nuvola Rossa aveva lottato per una vita intera era irrimediabilmente perduto, strappato da quei bianchi che, anche quando avevano provato ad aiutare la nazione indiana, non erano mai riusciti né a capirla né a rispettarla in quanto tale.   
Pochi anni dopo Nuvola Rossa si dimise dalle funzioni di Capo di Guerra continuando a lavorare come leader civile per cercare di migliorare, per quanto possibile, le condizioni di vita del suo popolo all’interno dell’Agenzia, che fu spostata definitivamente nel 1889 a Pine Ridge nel neo-nato Stato del South Dakota. Ma gli Oglala ormai non erano più padroni della propria vita, da oltre 10 anni gli antichi legami tribali si stavano allentando, il potere dei capi era minato. Nuvola Rossa tentava disperatamente di tenere unita la propria gente, venendo giudicato “non progressista” per voler mantenere almeno la libertà di movimento e di caccia, che era poi l’essenza della cultura Sioux, quella dignità che una vita da agricoltori – che i bianchi prediligevano ma che lui odiava – non avrebbe mai più restituito. Non accettò di riconoscere movimenti sovversivi come “La danza degli spettri” (i cui sviluppi portarono, nel 1890, all’uccisione di Toro Seduto e al massacro di Wounded Knee”) proprio per non inasprire oltremodo i propri rapporti con i rappresentanti del Governo, ma si recò invece più volte, nel corso degli anni, a Washington per protestare contro la corruzione degli agenti indiani, riuscendo anche a farne licenziare uno grazie ai contatti tessuti con alcuni politici e scienziati di Washington “sensibili” alla questione indiana. In questi anni, nel 1887, all’età di 65 anni, se pur sofferente per una malattia degenerativa agli occhi, si oppose con tutte le proprie forze, senza peraltro riuscirvi, all’emissione di un provvedimento del Congresso: il Dawes Allotment Act, che imponeva un sistema di proprietà privata nelle Riserve Indiane, esaltandone il potere civilizzante e d’integrazione. Le terre delle Riserve, sottratte alla proprietà collettiva tribale, vennero distribuite: ogni famiglia di nativi ricevette 160 acri (i celibi un po’ meno) di terreno da adibire a coltivazione o pascolo con diritto ereditario, prevedendo tuttavia di vendere il “surplus” in un’asta pubblica. Data la scarsa densità della popolazione indiana nelle Riserve, il “surplus” era ovviamente rilevante e, grazie all’abilità degli agenti dell’amministrazione, vi vennero ricomprese terre fertili e ben irrigate, facili da vendere agli agricoltori bianchi della zona. Nuvola Rossa protestò inutilmente a Washington, questo era l’ultimo scellerato inganno, l’annullamento di ciò che rimaneva dell’identità dei nativi americani. Grazie alla legge Dawes le Riserve Indiane passarono dai 138 milioni di ettari del 1887 a soli 48 milioni di ettari nel 1934, anno in cui la Legge fu definitivamente abrogata.  
Tomba di Nuvola Rossa a Pine Ridge  [proprietà dell'autore dell'articolo]
La Riserva Sioux di Pine Ridge è oggi una delle aree più povere degli Stati Uniti, ai margini del deserto delle Badlands e priva di insediamenti industriali, lamenta un’assistenza medica insufficiente registrando una disoccupazione del 69%. Nuvola Rossa si spense il 10 dicembre 1909 all’età di 88 anni, dopo essersi convertito al cristianesimo ed aver ottenuto dal Governo contributi per la creazione, grazie all’aiuto di una missione di Gesuiti, di una scuola Cattolica per il recupero e l’inserimento dei bambini Oglala, secondo il metodo Montessori. L’umile tomba di colui che fu uno dei più rappresentativi Capi di Guerra Lakota si trova nel piccolo cimitero indiano all’interno della “Red Cloud Indian School”, che accoglie bambini provenienti da tutte le Riserve dell’Ovest, dal Wyoming al New Mexico. Nei programmi scolastici odierni sono state reintrodotte anche le antiche tradizioni del popolo Sioux: l’ultima amara vittoria per un uomo il cui sogno era di poter camminare libero in due mondi.

“Ci fecero molte promesse, più di quante ne ricordi, ma ne mantennero una sola: promisero di prendere la nostra terra. E se la presero.” (Mahpiya Luta - Nuvola Rossa, Capo di Guerra Oglala) 

Sergio Amendolia  


Bibliografia
M. Monti, Passarono di qui, dal massacro di Custer a Wounded Knee, la storia di Cavallo Pazzo e Toro Seduto (1990); 
G. E. Hyde, Nuvola Rossa e il suo popolo (1937); 
Dee Brown, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee (1970); 
Mari Sandoz, Cavallo Pazzo, lo strano uomo degli Oglala (1942).  

Sitografia: bioghaphy.com - history.net – nativepartnership.org 



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