I veicoli Ansaldo S.V.A. erano una famiglia di biplani da ricognizione e bombardamento, sviluppati nella prima guerra mondiale.
Divennero famosi per il volo su Vienna e per il raid Roma-Tokyo del 1920.
Il progetto di questo biplano iniziò nel 1916 per mano di Rodolfo Verduzio e Umberto Savoja. Il nome del veicolo, SVA, era un acronimo delle iniziali dei cognomi dei due ideatori e della società costruttrice, Ansaldo.Utilizzando questi aeroplani Gabriele D’Annunzio volò su Vienna.
Quando nacque l’idea del volo?
Quali le basi politiche per l’effettuazione dell’incursione in terra ostile?
Indietreggiamo nella linea del tempo prima di rispondere a queste domande. Il terrore di colpire obiettivi civili con i bombardamenti non risale alla seconda guerra mondiale, bensì alla grande guerra. I cieli italiani e dell’impero austro-ungarico furono un palcoscenico naturale per i primi combattimenti aerei. Gli austriaci decisero, scientemente, di colpire obiettivi non militari per creare quel clima di terrore che ben conosciamo e pensiamo figlio della seconda guerra mondiale. Venezia, Gorizia, Brescia, Milano, Vicenza, Udine e molte altre città furono oggetto del bombardamento aereo austriaco. La risposta dell’esercito italiano non si fece attendere e si spinse sino a Lubiana, in territorio dell’attuale Slovenia.
La differenza è sostanziale: gli austro-ungarici colpivano obiettivi civili, gi italiani si limitarono a distruggere baraccamenti militari, ponti, strade e campi d’aviazione.
In questa guerra il Vate si distinse ancor prima di pensare e ideare il volo su Vienna: all’inizio dell’anno, esattamente il giorno 17 gennaio, Gabriele D’Annunzio volò su Trieste per lanciare i suoi personali auguri di buon anno ai fratelli che vivevano in quelle zone.
In questa situazione di guerra nacque l’idea del volo su Vienna, capitale dell’impero austro-ungarico.
Il volo fu progettato, nel 1917, dallo stesso D’Annunzio. Difficoltà tecniche, legate all’autonomia dei biplani per un volo di oltre 1000 chilometri, avevano indotto il comando supremo a negare il consenso. D’Annunzio, che aveva compreso da subito i problemi, si rivolse all’azienda torinese Pomilio[1], dove lavorava Ugo Zagato[2], per la soluzione degli stessi. Il vertice delle forze armate italiane decise per l’effettuazione d’alcune prove di collaudo degli apparecchi. Il 4 settembre del 1917 il Vate compì un volo di 10 ore senza riscontrare problemi. Il comando supremo autorizzò le operazioni che vedranno la luce l’anno successivo.
Il primo tentativo avvenne il 2 agosto del 1918.
La nebbia presente sia sulle Alpi sia in Val Padana, fu causa di sconforto e di ritorno alla base per i tredici apparecchi che partecipavano alle operazioni. Sette di loro tornarono alla base di partenza, altri dovettero atterrare in luoghi diversi. Tre di questi veicoli furono danneggiati e inutilizzabili nei giorni seguenti.
Il secondo tentativo avvenne il giorno 8 agosto del 1918.
Il problema questa volta fu il vento che fece abortire il volo sulla capitale austriaca.
Uno degli apparecchi, comandato dal tenente Censi, per alleggerire il carico fu costretto a lanciare i volantini in territorio ostile.
L’effetto-sorpresa poteva svanire.
Occorreva provare nuovamente e nell’immediato.
D’Annunzio ottenne di poter ripartire il giorno seguente, 9 agosto.
5,30 del mattino: da un campo d’aviazione nei pressi di Padova, partirono undici veicoli con destinazione l’Austria. Tre aerei, subito dopo la partenza, furono costretti ad atterraggi di fortuna a causa d’avarie diverse. Un quanto aereo, pilotato dal tenente Giuseppe Sarti, fu costretto ad atterrare in territorio ostile, nei pressi di Wiener Neustadt. Il tenente incendiò l’apparecchio poco prima d’essere catturato dall’esercito austriaco.
Degli undici partiti da Padova in volo ne rimasero sette, tra i quali gli aerei pilotati da Gabriele D’Annunzio e dal capitano Natale Palli. Furono intercettati dall’aviazione austriaca – i piloti di due caccia si affrettarono ad atterrare, per avvertire il comando generale – senza nessuna conseguenza bellica.
Alle ore 9,20 giunsero a Vienna mantenendo il gruppo compatto.
Il cielo era limpido.
Gli aeromobili poterono abbassarsi sotto i 1000 metri di quota per lanciare volantini preparati da D’Annunzio e Ugo Ojetti.[3]
Due volantini diversi?
Il manifesto preparato dal vate fu ritenuto di difficile traduzione e poco efficace.
Gabriele D’Annunzio volle scrivere: «In questo mattino d'agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l'anno della nostra piena potenza, l'ala tricolore vi apparisce all'improvviso come indizio del destino che si volge. Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. È passata per sempre l'ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta. La vostra ora è passata. Come la nostra fede fu la più forte, ecco che la nostra volontà predomina e predominerà sino alla fine. I combattenti vittoriosi del Piave, i combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno, con una ebbrezza che moltiplica l'impeto. Ma, se l'impeto non bastasse, basterebbe il numero; e questo è detto per coloro che usano combattere dieci contro uno. L'Atlantico è una via che già si chiude; ed è una via eroica, come dimostrano i nuovissimi inseguitori che hanno colorato l'Ourcq di sangue tedesco.
Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell'arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremmo osare e fare quando vorremo, nell'ora che sceglieremo. Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non revocabile, o Viennesi. Viva l'Italia!» [4]
Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell'arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremmo osare e fare quando vorremo, nell'ora che sceglieremo. Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non revocabile, o Viennesi. Viva l'Italia!» [4]
Furono lanciate, circa, 50.000 copie di questo manifesto dannunziano. [5]
Il volantino di Ugo Ojetti recitava: « VIENNESI! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni. VIENNESI! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell'Ucraina: si muore aspettandola. POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati! VIVA LA LIBERTÀ! VIVA L'ITALIA! VIVA L'INTESA!»
Di questo volantino, ritenuto maggiormente efficace, ne furono lanciate 350.000 copie.
Per il rientro, gli aeromobili scelsero un percorso alternativo rispetto la mattina. Valicarono le Alpi, sorvolarono Trieste e Venezia per atterrare, intorno al mezzodì, nei pressi di Padova. D’Annunzio, ebbro di gioia per il risultato conseguito, nel momento del passaggio su Venezia lasciò cadere un personale messaggio per comunicare al sindaco il raggiungimento dell’obiettivo.
I sette piloti percorsero oltre 1000 chilometri, di cui 800 in territorio ostile, in sole sette ore e 10 minuti.
La gioia di D’Annunzio si sfogò nelle pagine della Gazzetta del Popolo di Torino, quotidiano cui mandò il seguente telegramma: «Non ho mai sentito tanto profondo l’orgoglio d’essere italiano. Fra tutte le nostre ore storiche, questa è veramente la più alta…Solo oggi l’Italia è grande, perché solo oggi l’Italia è pura fra tante bassezze d’odi, di baratti, di menzogne». [6]
Il volo su Vienna riuscì a sollevare il morale dell’esercito italiano. D’Annunzio fu celebrato come un eroe moderno tanto che si cercò d’incoronare in Campidoglio il poeta abruzzese, ma il vate rifiutò tale onore.
L’operazione, inconsistente a livello militare, ottenne il risultato sperato: indebolire nell’opinione pubblica l’immagine dell’impero asburgico. Lo possiamo comprendere dall’articolo del quotidiano austriaco Arbeiter Zeitung «Dove sono i nostri D'Annunzio? D'Annunzio, che noi ritenevamo un uomo gonfio di presunzione, l'oratore pagato per la propaganda di guerra grande stile, ha dimostrato d'essere un uomo all'altezza del compito e un bravissimo ufficiale aviatore. Il difficile e faticoso volo da lui eseguito, nella sua non più giovane età, dimostra a sufficienza il valore del Poeta italiano che a noi certo non piace dipingere come un commediante. E i nostri D'Annunzio, dove sono? Anche tra noi si contano in gran numero quelli che allo scoppiar della guerra declamarono enfatiche poesie. Però nessuno di loro ha il coraggio di fare l'aviatore!»
Fabio Casalini
[1] La Pomilio all’epoca era la fabbrica torinese che si occupava della costruzione dei veicoli SVA
[2] Ugo Zagato era un caporeparto della Pomilio. Sarà destinato ad un grande futuro nell’industria automobilistica
[3] Ugo Ojetti – Roma 15-07-1871, Fiesole 01-01-1946 – fu scrittore, critico d’arte, giornalista e aforista italiano.
[4]Andreoli Annamaria - D’Annunzio e Trieste: nel centenario del primo volo aereo – De Luca, 2003
[5]A riguardo Ferdinando Martini disse: « Quando D'Annunzio fece le sue prime prove come soldato, la gente, poco fidando nel suo valore o nella sua bellica abilità, disse "Scriva e non faccia". Ora io dico di lui, dopo altre molte prove: "Faccia e non scriva" »
[6]Vittorio Martinelli - La guerra di D'Annunzio: da poeta a dandy a eroe di guerra e comandante - Gaspari, 2001