Innocente non accusarti, se ti accusi, non giustificarti, rivela la verità, e non confidare nel Signore
[Graffito di un detenuto nelle carceri dell’inquisizione - Palermo]
Palazzo Chiaramonte, detto anche Steri da Hosterium ossia palazzo fortificato, si trova in Piazza Marina a Palermo. Fu iniziato nel XIV secolo e fu dimora di Manfredi Chiaramonte. Dal 1517 fu residenza dei Viceré spagnoli, poi sede della Regia Dogana e infine, dal 1600 al 1782, ospitò il tribunale dell’Inquisizione.
Nelle prigioni del palazzo risaltano i graffiti dei carcerati, testimonianza delle pene patite durante la detenzione. I graffiti sono stati ritrovati nel corso di lavori di restauro. Tra le iscrizioni murarie interessante la figura di un inquisitore con il campanaccio in mano.
L’inquisizione in Sicilia fu introdotta prima del 1224 da Federico II. L’imperatore, con la costituzione Inconsutilem tunicam emanata a Palermo, dispose che tutti gli eretici, ebrei e musulmani dovessero pagare una tassa agli inquisitori preposti al loro controllo.
E’ noto che la guerra agli albigesi servì di pretesto ai papi per fondare la prima inquisizione, il nuovo istituto religioso si appoggiò alla supposta necessità di punire l’apostasia degli ebrei spagnoli da poco convertiti. [1]
L’inquisizione siciliana dipendeva, direttamente, da quella spagnola e operava in autonomia rispetto a Roma. Alcuni papi, Innocenzo VIII e Alessandro VI, non si opposero, a differenza di Paolo III che fu ostile al tribunale dell’inquisizione spagnola. Il tribunale siciliano era retto da un inquisitore generale spagnolo, gli altri membri erano nominati dal viceré.
Lo scopo del tribunale era di zittire i peccatori della morale, eretici o semplici agitatori delle folle. Inoltre gli inquisitori punivano, come sempre, lo stile di vita arcaica, credenze o superstizioni contrarie alla diffusione della fede cattolica. A Palermo non furono quasi mai dibattuti processi legati alle idee o teorie teologiche.
Per comprendere la durezza dell’istituto ricordo che nel solo anno 1546 i tribunali attivi condannarono 120 persone al rogo, 60 in effigie e 600 a penitenze minori. [2]
Il giorno 8 di novembre del 1500 fu pubblicato a Palermo un editto di fede, anche se l’inquisizione spagnola a Palermo non fu operativa fino al 1511. Dopo quella data molti, se non tutti, i nuovi cristiani furono accusati di giudaismo e, tra il 1511 e il 1550, almeno 1850 di essi furono riconciliati con la Chiesa o consegnati al braccio secolare per il rogo purificatore. [3]
Niente perdono all’empio, niente straordinario amore
[Leonardo Sciascia – Morte dell’Inquisitore]
Un personaggio, passato tra le forti mani dell’inquisizione in Sicilia, merita e attira la nostra attenzione: Fra Diego La Matina.
Fra Diego fu un religioso dell’ordine agostiniano che incrociò la propria vita, all’età di 22 anni, con gli inquisitori del tribunale di Palermo per essere scorridore di campagne.[4]
Il suo percorso di conoscenza con il tribunale dell’inquisizione fu lungo e variegato: la sua persona fu colpita da diversi capi d’imputazione, si partiva dall’eresia per sfociare nella blasfemia e nel disprezzo delle sacre immagini e dei sacramenti.
Il primo contatto con l’istituto inquisitoriale avvenne il 5 settembre del 1644. Le persone accusate potevano risparmiarsi la tortura ammettendo ogni peccato, ottenendo un rito abbreviato: unica condizione era la confessione completa e veritiera.
Nel caso di Fra Diego questo non avvenne.
L’agostiniano, dal carattere forte e aggressivo, tenne testa all’inquisizione per otto mesi. Il processo si concluse con un atto d’abiura e la condanna a cinque anni al remo.
La condanna al remo era in relazione all’armamento delle galee: dal XV secolo su queste imbarcazioni furono imbarcati cannoni. Il trasporto dell’armamento su queste imbarcazioni creava problemi, inoltre la potenza dei cannoni era limitata dal fatto che le sollecitazioni derivanti dallo sparo potevano scuotere la galea. Fu inventato il sistema di remo a scaloccio, dove quattro o cinque rematori facevano forza sul remo stesso. I rematori potevano essere uomini liberi, stipendiati, oppure prigionieri condannati per un determinato numero d’anni. Da Galea nasce il termine galera.
Fra Diego al termine del primo processo subì questo tipo di condanna per un tempo di cinque anni, malgrado avesse abiurato.
L’atto d’abiura, dal latino ab iurare ovvero rinnegare un giuramento, è un documento con il quale un soggetto formalizza il suo rigetto ad una precedente ideologia, politica o religiosa. Tale documento è utilizzato a fini propagandistici: ad esempio possiamo ricordare l’atto d’abiura richiesto a Galileo Galilei che la notte precedente, l’ultima scena del processo, aveva reso confessione piena nelle mani dell’inquisitore. Quest’istituto fu disciplinato dettagliatamente dalla chiesa cattolica dopo il Concilio di Trento.
Oltre le cronache, le relazioni, gli studi qui citati, ho letto - o presumo di aver letto - tutto quel che c'era da leggere, relativamente all'Inquisizione di Sicilia: e posso dire di aver lavorato a questo saggio più, e con più impegno e passione, che a ogni altro mio libro.
[Leonardo Sciascia – Morte dell’Inquisitore]
L’abiura rilasciata da Fra Diego non fu sufficiente ad evitare la condanna al remo. In quegli anni l’agostiniano non modificò il proprio comportamento, lontano dalle volontà spagnole e cattoliche.
Da cosa desumiamo quest’ipotesi?
Nel 1647 subì un secondo processo, che si concluse con un nuovo atto d’abiura per eresia e il ritorno al remo, dove scontare la condanna impartita dall’Inquisizione di Palermo.
Fra Diego non era uomo da arrendersi al potere.
Nel 1649, durante la condanna, riuscì a provocare una sommossa, sulla nave dove scontava la punizione, che lo ricondusse nelle forti mani del potere inquisitoriale.
Gli inquisitori non potevano attendere oltre, serviva una punizione esemplare per quell’uomo che sedusse alcuni forzati con le sue idee.
Fu ricondotto a Palazzo Steri per l’istituzione di un nuovo processo, l’ultimo.
Il procedimento contro Fra Diego durò fino al 1656, sette anni cui fu costretto all’oscurità e all’isolamento.
Subì ripetutamente il rigoroso esame, ossia la tortura della corda e del cavalletto.
La follia cercava di impadronirsi del suo corpo.
Quale possibilità di tornare alla luce?
L’evasione!
Purtroppo non andò a buon fine e fu catturato e ricondotto presso le carceri.
Nel frattempo dalla Spagna, dove l’inquisizione generale si era interessata al caso, giunse il consiglio di rinchiuderlo a vita in un monastero.
L’isolamento in un luogo sacro avrebbe potuto modificare quel carattere forte e rivoluzionario?
Gli inquisitori di Palermo temevano che le manifestazioni di pazzia espresse da Fra Diego fossero atte ad evitare la condanna al rogo.
Il monaco fu costretto ad indossare le manette di ferro, e trascorrere il tempo nelle carceri poiché gli Inquisitori non sapevano dove inviarlo a scontare la pena.
In questa situazione complessa maturò l’estremo gesto di Fra Diego: il giorno 24 marzo del 1657 il monaco assalì il proprio inquisitore, Juan Lopez de Cisneros, durante lo svolgimento di un interrogatorio. Il monaco con le catene ai piedi, ma libero dalle manette di ferro, scivolò sotto la barra di metallo che lo separava dall’inquisitore. Afferrò un attrezzo di ferro di quelli sul tavolo e con enorme violenza lo colpì alla testa tre volte. Tentò ripetutamente di strangolarlo e gettarlo dalle scale.[5]
Il 3 aprile dello stesso anno Cisneros morì tra atroci sofferenze.
Fra Diego non poteva evitare l’estrema soluzione, l’attendeva il rogo.
L’autodafè si svolse il 17 marzo dell’anno seguente, il 1658, alla presenza di tutti i palermitani sopra i 12 anni, pena la scomunica. [6]
La notte tra il 16 ed il 17 marzo un gruppo di nove teologi tentò d’estorcere un pentimento a Fra Diego.
La notte si chiuse con l’alba e con il fallimento dei dottori della fede.
Troppo tenace, troppo forte di spirito quel monaco divenuto omicida.
Le ultime immagini, sfocate, che gli occhi di Fra Diego furono in grado di vedere consistevano in quattro palchi, un altare e un’immensità di croci, che sommessamente sfilarono dinanzi al corpo dilaniato dalle fiamme dell’inferno.
Fabio Casalini
Bibliografia
Leonardo Sciascia - Morte dell'Inquisitore - Adelphi, 1992
John Edwards – Storia dell’Inquisizione – Mondadori, 1999
Pietro Tamburini – Storia dell’Inquisizione – Bastogi editrice italiana, 1862
Matranga Girolamo – Racconto dell’atto di fede celebrato a Palermo il 17 marzo 1658 - 1658
Felice Cavallaro - Ecco la vera morte dell'Inquisitore - Corriere della sera, 28 novembre 1994
Vittorio Sciuti Russi - Gli uomini di Tenace concetto – Milano. 1996
Immagini
1- Graffito di palazzo Steri a Palermo
1- Graffito di palazzo Steri a Palermo
2- Leonardo Sciascia
3- Graffito di palazzo Steri a Palermo
3- Graffito di palazzo Steri a Palermo
4- Autodafé dell'Inquisizione spagnola
[1] Tamburini Pietro – Storia generale dell’Inquisizione - 1866
[2] Tamburini Pietro – Storia generale dell’Inquisizione - 1866
[3] Edwards John – Storia dell’Inquisizione - 1999
[4] Matranga Girolamo – Racconto dell’atto di fede celebrato a Palermo il 17 marzo 1658 - 1658
[5]Vittorio Sciuti Russi, Gli uomini di Tenace concetto, Milano 1996
[6]Autodafè o auto da fé era una cerimonia pubblica in cui era eseguita, alla presenza del popolo, la penitenza o la condanna decretata dall’inquisizione. Il nome deriva dal portoghese auto da fé ossia atto di fede.