Al mio arrivo a Introd, tra le montagne della Valle D’Aosta, scopro un paese piccolo, tranquillo e pieno di colore. Il sole mi regala una giornata stupenda, tutto sembra studiato apposta per dare risalto al mio soggiorno tra queste valli.
Sono stato invitato ad un evento dagli operatori turistici del comune d’Introd, per un viaggio nel tempo, attraverso delle porte virtuali, che mi permetterà, insieme ad altre persone, di scoprire le tradizioni di questo borgo così ricco di storia.
Sono stato invitato ad un evento dagli operatori turistici del comune d’Introd, per un viaggio nel tempo, attraverso delle porte virtuali, che mi permetterà, insieme ad altre persone, di scoprire le tradizioni di questo borgo così ricco di storia.
Introd, Euntrou - tra le acque - in lingua patois, è un paese con meno di mille abitanti. Deve il suo nome al fatto che si trova tra due fiumi, la Dora di Rhêmes e il torrente Savara. Proprio qui ha inizio il Parco del Gran Paradiso.
Arrivato a destinazione mi aspetta una grande sorpresa: Introd ha molte bellezze da scoprire, ma la cosa più piacevole è la grande cordialità della gente, pronta ad accogliermi come si fa con un amico di vecchia data.
L’impatto con il patois, la varietà dialettale della lingua francoprovenzale parlato in Valle d'Aosta, è sorprendente. Un misto di parole, affascinante e unico, ma del tutto incomprensibile.
Ma veniamo alle bellezze di Introd, alla sua architettura e alla sua storia.
Il primo edificio che ho il piacere di fotografare è L’Ola, antica cascina adiacente al castello, che serviva da stalla e pagliaio dei Signori d’Introd. La cosa che più che mi colpisce sono le 5 colonne a pianta circolare che sostengono l’edificio, interamente coperto da un tetto aggettante e perfettamente conservato nella sua unicità e imponenza.
Proseguendo a piedi verso il centro del paese attraverso il Ponte di Introd, sul torrente Savara. La sua altezza è impressionante: un salto di ben 86 metri, costruito interamente utilizzando pietra locale, iniziato nel 1915 e terminato nel 1916, non senza spargimento di lacrime. Sul ponte, a memoria delle umane fatiche, campeggia una croce in sasso.
Arrivo nel centro del paese dove scopro molte case con i tetti in Lose, pietre tipiche lavorate oltre che per questo scopo anche per la pavimentazione. Parlando con la gente del posto apprendo che i posatori di Lose sono dei maestri e che esiste una scuola per tramandare questo antico mestiere, per spiegare come tagliare in sezioni la pietra per renderla sottile e pregiata.
Poco distante m’attende la caratteristica Maison Bruil, un’antica casa rurale in cui tutti gli spazi necessari alla sopravvivenza di persone e animali sono raggruppati in un unico edificio interamente coperto: una vera rarità. La “crotta”, “lo boi”, il “crotteun”, il “peillo”, le zone di essiccazione e il solaio sono alcuni degli spazi a disposizione del pubblico. Pietra e legno si fondono perfettamente, lasciando spazio all’emozione di vedere come sotto un unico tetto di quasi 300 anni, il tempo si sia fermato, per farci ammirare un’economia di sussistenza che non lasciava nulla al caso: raccolta delle erbe, della frutta e della verdura, panificazione, macellazione, produzione dell’olio di noci, mungitura, produzione del formaggio e del burro… tutto in un unico stabile, tutto veniva recuperato e riutilizzato.
All’ultimo piano il concept store con mobili antichi appartenenti alla storia della Valle d’Aosta. Qui i prodotti di Tascapan, e-commerce di prodotti tipici della Valle d’Aosta, ci permettono di scoprire l’eccellenza dei piccoli produttori di questa Valle ricca di storia e tradizioni.
Nei pressi della Maison Bruil, la latteria sociale, luogo dove un tempo i consociati conferivano le quote latte che mungevano e che venivano lavorate e trasformate in formaggio e prezioso burro, buono non solo per cucinare ma per gli scambi. Il casaro era il sovrano indiscusso di questo piccolo regno, a lui tutti guardavano per avere il prodotto lavorato o semplicemente per acquistare una “misura di latte”.
Un viaggio nel tempo e nel gusto, con guide appassionate e capaci, che ci riportano a ritroso a lume di lanterna. Assaggio per cena, seduto in una tavolata con molti commensali allegri e chiacchieroni, piatti tipici della tradizione antica, come il prosciutto crudo Jambon de Bosses, stagionato in quota a 1600 metri circa, il Boudin al sangue, una salsiccia di suino e bovino con patata e barbabietola, il miele con il Lard d'Arnad, servito su pane di segale, la polenta con la fontina, i vini rossi e bianchi, il sidro di mele.
Poi il viaggio continua nella notte: il tempo scorre, i racconti si susseguono, gli zoccoli scandiscono i passi fino alla Chiesa parrocchiale dell'VIII secolo, totalmente rimaneggiata dopo il concilio di Trento. All’interno ascoltando canti gregoriani appaiono, improvvisamente, i penitenti o disciplini della confraternita locale.
Da qui ci spostiamo al Castello di Introd, in località Plan d'Introd. Le sue origini si fanno risalire al XII secolo, quando fu costruito con una struttura piuttosto semplice, a pianta quasi circolare con una possente torre al centro. Nel 1260 il castello fu ampliato, diventando una fortezza. Ulteriori modifiche nel XV secolo lo portano a una forma più arrotondata. Due incendi successivi, uno nella seconda metà dell'Ottocento e uno all'inizio del Novecento, distruggono buona parte degli affreschi e danneggiano l’edificio.
Nel 1910 l’architetto Jean Chevalley dirige l’opera di restauro, portando il castello alla forma attuale. L’atmosfera d’altri tempi ci regala altri piatti tipici a base di formaggi e trota affumicata, accompagnati da corposi vini rossi che ci aiutano a chiudere una serata unica.
Nel 1910 l’architetto Jean Chevalley dirige l’opera di restauro, portando il castello alla forma attuale. L’atmosfera d’altri tempi ci regala altri piatti tipici a base di formaggi e trota affumicata, accompagnati da corposi vini rossi che ci aiutano a chiudere una serata unica.
Il risveglio nella mansarda di legno è confortevole e pieno di sole, il tempo è stupendo anche oggi. La visita, perfettamente organizzata, continua con una stupenda colazione in pasticceria, ad assaggiare le Tegole e i Torcetti, le brioches e i “brutti ma buoni” fatti con la risulta della lavorazione dell’olio di noci.
Il giro non finisce qui. Andiamo a visitare i moderni casari, nel regno della Fontina DOP, dove tutto è rigorosamente prodotto secondo tradizione. La passione di queste persone mi contagia, e qui scopro la battaglia delle regine, La bataille de reines, dove in uno scontro del tutto incruento si fronteggiano le mucche più forti per la conquista del pascolo migliore per sé e per la mandria. Una festa, una tradizione, dove la Regina si impone in virtù della sua agilità e caparbietà, della sua muscolatura e delle sue corna che devono essere forti e ricurve in avanti.
Lasciata la latteria, procediamo per Pila, dove in agriturismo, immerso nella natura, assaggio la fontina stagionata di quattro tipi diversi, la polenta e la famosa Brossa, alimento principe della tradizione contadina, derivata dal siero residuo della lavorazione dei formaggi. Una delizia.
E poi conosco la futura regina, la ammiro in tutta la sua bellezza mentre mangia una brioches, docile come un agnellino, nelle mani del suo padrone.
Gente sincera, colori vividi, sapori genuini, profumo di libertà, tradizione. Questa è stata la mia esperienza di due giorni con gli amici di Tascapan e della Maison Bruil, tra montagne conquistate con fierezza dalle genti che le vivono, dove il tempo sembra essersi fermato per non dimenticare da dove veniamo.
Fabio Casalini
Fabio Casalini