A seguito dei plebisciti del 1859 e del 1860, la nascita del Regno d’Italia fu ufficializzata il 17 marzo del 1861 quando Vittorio Emanuele II, già Re di Sardegna, assumeva per sé, ed i suoi discendenti, il titolo di Re d’Italia.
Per molti anni il Regno d’Italia non ebbe una politica coloniale vera e propria: i governi si limitavano a trattative con il Portogallo, per avere concessioni in Angola e Mozambico, con l’Inghilterra per una base in Nigeria, con la Danimarca e la Russia.
Per molti anni il Regno d’Italia non ebbe una politica coloniale vera e propria: i governi si limitavano a trattative con il Portogallo, per avere concessioni in Angola e Mozambico, con l’Inghilterra per una base in Nigeria, con la Danimarca e la Russia.
Un fatto scosse profondamente i sentimenti di chi governava il nostro paese: l’apertura del canale di Suez. Camillo Benso conte di Cavour cercò di avviare una politica maggiormente attiva, il risultato fu la partecipazione d’operai italiani all’apertura del canale. Per comprendere la mancanza di sforzi rivolti all’attività coloniale dovremmo rivedere la situazione economica, soprattutto industriale, del nostro paese in quel preciso momento storico: le aziende italiane non avevano necessità di uno sbocco coloniale dove inviare i prodotti poiché non riuscivano a coprire la domanda interna. Superando l’idea che l’Italia non avesse necessità di cercare nuovi sbocchi, Cavour fece un tentativo, poco conosciuto, di creare una piccola colonia sulle coste della Nigeria, esattamente rivolgendosi all’isola portoghese di Principe.
I primi tentativi di acquisire veri possedimenti coloniali risalgono ai tempi della sinistra di De Petris e Crispi, anche se alcuni governi precedenti avevano appoggiato iniziative private, come l’acquisizione della baia d’Assab da parte della compagnia di navigazione Rubattino. Nel corso degli anni ottanta del XIX secolo, vi furono tre tentativi del governo di acquisire un porto nel Mar Rosso per fungere da appoggio verso un futuro impero coloniale in Asia. Nel 1882 cambiò l’indirizzo dell’Italia, in corrispondenza con le richieste di una politica coloniale più aggressiva da parte dell’opinione pubblica. Oltre all’acquisto d’Assab, lo stato italiano cercò di acquistare ed occupare il porto di Zeila, controllato dagli egiziani. Il tentativo fallì. Nel corso del 1884, grazie al ritiro degli egiziani dal Corno d’Africa, la diplomazia italiana strinse un accordo con la Gran Bretagna per occupare il porto di Massaua: nascevano così i possedimenti italiani nel mar Rosso, che dal 1890 assunsero il nome di colonia eritrea. Per Crispi, ed i suoi governi, la città di Massaua doveva diventare il punto di partenza di un progetto, ambizioso, che prevedeva il controllo completo dell’intero Corno d’Africa, dimenticando che le popolazioni locali erano sottoposte al controllo di diversi dominatori. I governi italiani cercarono di sfruttare le capacità degli studiosi e dei commercianti che frequentavano la zona, al fine di dividere ulteriormente le fazioni permettendo una penetrazione politica e militare del nostro esercito nell’altopiano etiopico. Occorre ricordare che la zona era divisa sotto il dominio di due Negus Neghesti, da una parte Giovanni IV e dall’altra Menelik.
Nel frattempo in Europa si svolse una conferenza, a Berlino tra il 1884 ed il 1885, che rappresentò un momento fondamentale della storia del colonialismo. In tale conferenza, dove vi erano rappresentati i maggiori stati europei ad eccezione dell’Italia, si decise di spartire l’Africa in reciproche sfere d’influenza. L’Italia, che aveva mosso i primi passi, decise di intensificare ulteriormente la sua attività coloniale per diversi motivi: innanzi tutto per questioni di prestigio internazionale, in secondo luogo per le pressioni esercitate sul governo dagli armatori e dai principali gruppi siderurgici del paese ed in ultimo seguendo la convinzione che le colonie potessero costituire una valvola di sfogo all’emigrazione. I progetti del governo italiano prevedevano l’occupazione della città santa di Harar, dell’acquisto di Zeila dagli inglesi e dell’affitto di un porto sulla foce del fiume Giuba in Somalia. Tutti i progetti fallirono. Di quel periodo ricordiamo la dolorosa battaglia di Dogali, a causa dell'eco che la sconfitta ebbe in patria, del 1887 dove trovarono la morte 430 italiani, di cui 23 ufficiali. La situazione in terra d’Africa si stava evolvendo assumendo aspetti positivi per l’Italia: l’imperatore Giovanni perì in una battaglia contro i dervisci sudanesi.
I nostri militari occuparono una parte dell’altopiano etiopico, compresa Asmara, in conformità a precedenti accordi stipulati con Menelik, l’avversario di Giovanni. I rapporti tra gli italiani e Menelik erano però destinati a compromettersi a causa di un malinteso, non sappiamo quanto involontario: i due paesi stipularono un accordo e Menelik riconobbe l’Italia come canale di comunicazione preferenziale con gli altri paesi europei. L’Italia da parte sua interpretò quest’accordo come l’accettazione di un protettorato sul regno di Menelik. Il malinteso creò problemi nelle relazioni tra i due paesi per molti anni, sino allo scoppio di un conflitto che comportò l’avanzata italiana in Abissinia. Dopo un’iniziale sconfitta ne seguì una terribile, la disfatta d’Adua del 1 marzo del 1896. Gli storici non sono conformi sui numeri, passando da 5000 ad oltre 7000 morti di parte italiana. La notizia della sconfitta provocò grandi manifestazioni di piazza contro la politica coloniale del governo, tanto da condurre Crispi alle dimissioni, rassegnate il 5 marzo. Alcuni reparti dell’esercito ripiegarono in Eritrea tranne la guarnigione d’Adigrat che fu assediata dagli etiopici. Molti contingenti etiopi furono richiamati da Menelik a causa delle gravi perdite avute in battaglia, alle malattie ed alla mancanza di rifornimenti per l’esercito. La guerra, stancamente, continuò sino ad Ottobre quando, il giorno 26, fu conclusa la pace d’Addis Abeba con la quale l’Italia rinunciava alle mire espansionistiche sull’Etiopia. La disfatta d’Adua e la firma del trattato comportarono nuovamente manifestazioni in Italia dove vi erano due schieramenti precisi: da una parte chi voleva rilanciare immediatamente il progetto coloniale italiano e, dall’altra, chi voleva abbandonare definitivamente quest’impresa. Tra i secondi da ricordare la ferma presa di posizione del partito socialista.
La battaglia di Adua è ricordata in una canzone di Roberto Vecchioni, Pani e Pesci, dove il cantautore lombardo asserisce: “ Ad Adua si era in mille, contro duecento negri, però la storia dice, che ci siamo ben difesi”. Le cifre fornite nel testo della canzone sono completamente diverse da quelle conosciute, sia per il numero dei caduti italiani che per le proporzioni degli eserciti presenti allo scontro. Dovremmo chiedere a Vecchioni se la sua fu un’esagerazione negativa, per ingrandire i demeriti dell’Italia durante l’attività coloniale, oppure se conosce documenti che attestino quello da lui scritto e cantato.
Concludo questo primo articolo dedicato al colonialismo italiano ricordando che nel corso della battaglia d’Adua del 1896 perse la vita Luigi Bocconi, figlio di Ferdinando fondatore dell’Università commerciale Luigi Bocconi. L’ateneo milanese deve il proprio nome alla ferma volontà del padre d’intitolare l’università alla memoria del figlio.
Fabio Casalini
Bibliografia
Angelo Del Boca, Italiani in Africa Orientale: Dall'Unità alla Marcia su Roma, Bari, Laterza, 1985,
Angelo Del Boca. L'Africa nella coscienza degli italiani. Miti, memorie, errori e sconfitte. Milano, Mondadori, 1992.
Marco Iacona, La politica coloniale del Regno d'Italia (1882 - 1922). Chieti, Solfanelli 2009.
Pietro Maravigna, Come abbiamo perduto la guerra in Africa. Le nostre prime colonie in Africa. Il conflitto mondiale e le operazioni in Africa Orientale e in Libia. Testimonianze e ricordi, Roma, Tipografia L'Airone, 1949.
Silvana Palma, L'Italia coloniale. Roma, Editori Riuniti, 1999.
Fotografie
1- battaglia di Adua
2- Camillo Benso conte di Cavour
3- Menelik II
4- battaglia di Dogali
5- battaglia di Adua in un dipinto etiope