Italia 1953.
Dopo la crisi politica, con il fallimento dell'ultimo governo di Alcide De Gasperi, l’ottavo (che non ottiene la fiducia), il 17 agosto il presidente della Repubblica Einaudi incarica Giuseppe Pella di formare un governo provvisorio, denominato governo d'affari o governo amministrativo, con il solo compito di arrivare all'approvazione della legge di bilancio.
Pella si dimette il 12 gennaio 1954. Dopo di lui è la volta di Amintore Fanfani, che dura poco più di un mese, per lasciare il posto a Mario Scelba. Ministro degli esteri e uomo di punta della DC era Attilio Piccioni, padre del meno famoso Piero. Ma come si intreccia la politica del tempo con il caso Montesi?La mattina dell'11 aprile un giovane manovale, tale Fortunato Bettini, stava andando a lavorare in un villino in costruzione quando notò sulla riva del mare qualcosa che sembrava una persona addormentata; si avvicinò e trovò invece il cadavere di una giovane donna bruna, che giaceva a pancia in giù, parallela al mare, e veniva di tanto in tanto lambita dalle onde che si infrangevano sulla spiaggia; il capo appoggiato sul braccio sinistro e reclinato verso destra. Niente scarpe, niente calze, niente gonna ma soltanto sottoveste e mutandine, un golfino di lana gialla e la giacca non infilata ma appoggiata sulle spalle.
Il corpo è quello di Wilma Montesi, una bella ragazza romana, sullo stile di Anna Magnani, figlia di un falegname, trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica, a sud di Ostia.
Wilma ha 21 anni, una sorella ed un fratello, un padre falegname, una madre casalinga autoritaria ed invadente, un fidanzato agente di polizia, trasferito da qualche settimana a Potenza. Una vita normale, una famiglia normale.
Ma come e perché Wilma era uscita di casa quel pomeriggio per andare a morire a 16 km a sud di Ostia Lido? E come poteva essere arrivata a quel posto sulla spiaggia che non era collegata alla città da alcun mezzo pubblico? Chi l’aveva portata, anzi abbandonata lì, dato che Wilma non aveva la patente di guida?
E cosa era andata a fare su quella spiaggia?
Da qui partono le indagini sul caso Montesi.
Il 9 aprile Wilma doveva andare al cinema con la madre e la sorella a vedere un film, «La Carrozza d'oro» con Anna Magnani, a cui la ragazza si ispirava come molte giovani del suoi tempo. Cambiò idea, senza un apparente motivo. Fatto molto strano.
Preferì rimanere a casa. Improvvisamente dopo poco più di mezz’ora, decise di uscire, lasciando sul comodino della sua stanza una catenina ed un braccialetto d'oro da cui non si separava mai, regalo fatto dal suo fidanzato, Angelo Giuliani, prima di partire per Potenza. Questo comportamento apparve subito abbastanza strano, perché Wilma non usciva mai senza indossare questi gioielli.
Ancora più strano sembrò il fatto che la ragazza fosse uscita così all'improvviso per andare tanto lontano e senza avvertire la famiglia di avere cambiato programma.
In un primo momento la famiglia Montesi non mostra grande preoccupazione per l’uscita di Wilma, anche se il suo comportamento era in contrasto con quanto aveva detto alla madre. All’ora di cena non rientra, ma neppure questo desta allarme. Soltanto alle 22.30, dopo aver compiuto un rapido giro di telefonate agli ospedali della zona, per verificare se la ragazza fosse stata vittima di un incidente, il padre si reca al Commissariato di Polizia più vicino per denunciare la scomparsa di sua figlia.
Solo la portiera del palazzo in cui abitavano i Montesi ricordava di aver visto uscire Wilma verso le 17.00 e con gli stessi indumenti che la ragazza indossava quando fu ritrovata senza vita sulla spiaggia.
La Polizia avrebbe voluto chiudere il caso velocemente archiviandolo come morte accidentale: secondo la Squadra Mobile, Wilma Montesi sarebbe annegata per disgrazia mentre stava bagnandosi i piedi nell'acqua di mare per guarire da un fastidioso eczema ai talloni.
L’opinione pubblica si ribellò decisamente. In breve i giornalisti contribuirono a creare il caso portando alla luce due fatti molto sospetti: per prima cosa la dichiarazione del fidanzato arrivato da Potenza all’obitorio che urlando disse… "Me l'hanno ammazzata".
E poi il referto del medico condotto di Pratica di Mare, Agostino di Giorgio, che chiamato poco dopo il rinvenimento del cadavere scrisse in una relazione che "il decesso fosse avvenuto circa 18 ore prima del rinvenimento del cadavere". A dire il vero il dottor Di Giorgio non era un medico legale, ma un’esperienza l'aveva; pertanto se non era in errore, Wilma Montesi era morta intorno alle 14.30 del pomeriggio precedente, cioè del 10 aprile. Allora dove era stata la ragazza delle 17.00 del 9 aprile alle 14-14,30 del 10 aprile?
Le indagini si complicano. Polizia e Carabinieri sembrano non voler collaborare.
Il commissario che ha raccolto la denuncia del Sig. Montesi decide di dichiarare ufficialmente la morte di Wilma come un suicidio. I Carabinieri propendono per la morte accidentale.
Nessuna delle due tesi è suffragata da fatti.
IL 16 aprile, solo 5 giorni dopo, fu annunciato ufficialmente che per gli inquirenti il caso doveva considerarsi chiuso.
Il Messaggero di Roma spiegò nel dettaglio come La Squadra Mobile e il Procuratore della Repubblica fossero giunti senza dubbio alla conclusione che la tesi del pediluvio finito in tragedia fosse il solo plausibile: "Il fatto che - scriveva il giornale romano - la ragazza uscendo di casa avesse avuto cura di lasciare un braccialetto d'oro, gli orecchini e la fotografia del fidanzato, Angelo Giuliani, fece pensare che Wilma non avesse avuto più intenzione di tornare in famiglia. Ma attraverso un minuzioso esame delle abitudini della giovane, eseguito dal dottor Magliozzi e dal dottor Morlacchi della Squadra Mobile, è stato
possibile accertare che Wilma aveva portato con sé le chiavi dell'appartamento. Ciò sta a dimostrare che, se non avesse avuto intenzione di tornare indietro, oltre alla fotografia e al resto, avrebbe lasciato in casa anche le chiavi. Del resto, la professoressa Rosa Passarelli (testimone che vide Wilma Montesi il 9 aprile sul treno che da Roma va a Ostia)…. ha dichiarato che Wilma appariva tranquilla e che nulla lasciava pensare che avesse serie preoccupazioni o che addirittura, meditasse propositi suicidi……Wilma Montesi, dunque, è
morta per una disgrazia... L'autopsia, oltre a svelare le cause della morte e la integrità della ragazza, ha confermato ai funzionar! inquirenti che Wilma era affetta da una irritazione ai piedi. La Procura della Repubblica, ieri sera, ha rilasciato il nulla osta per i funerali della povera ragazza che avranno luogo oggi alle 14,30 partendo dall'Obitorio. Accertato che la causa della morte della ragazza è dovuta a disgrazia, l'Autorità ecclesiastica ha concesso l'autorizzazione al trasporto della salma in chiesa per la cerimonia religiosa".
La famiglia era soddisfatta, la reputazione di Wilma salva, gli inquirenti anche, avevano chiuso un caso apparentemente complicato in modo veloce e indolore. L’ opinione pubblica invece non sembrò accettare di buon grado le molte lacune della tesi impostata sulla «disgrazia».
L'ipotesi che la ragazza fosse andata da sola sino ad Ostia per curarsi i piedi, immergendoli nell'acqua del mare e senza avvertire nessuno dei suoi parenti si presentava assolutamente inaccettabile. Ma ancora più strana era l’ipotesi che la ragazza, colta da malore e svenuta, fosse stata trascinata dalla corrente verso sud per riemergere sulla riva a Torvaianica dopo 36-40 ore in acqua senza, mostrare alcuna «sofferenza» al punto da far dire a chi la trovò sulla spiaggia che «sembrava addormentata».
Ed è proprio da questa descrizione dei testimoni che nacquero i primi grandi sospetti.
Il giorno del funerale accorsero molte persone, molti curiosi. Wilma Montesi fu composta nella bara con il suo abito da sposa. Sotto una epigrafe in cui era avvalorata la tesi del pediluvio finito in tragedia: CREATURA DI RARA BELLEZZA IL MARE DI OSTIA TI RAPÌ PER RIPORTARTI SULLA SPIAGGIA DI TOR VAIANICA SEMBRAVA CHE DORMISSI NEL SONNO DEL SIGNORE BELLA COME UN ANGELO. LA TUA MAMMA, IL TUO PAPA, TUA SORELLA E TUO FRATELLO TI SONO VICINI NEL LORO GRANDE AMORE NEL LORO IMMENSO DOLORE.
Ma qualcosa sta cambiando, il caso non è chiuso. Ancora una volta alle pagine de Il Messaggero vengono affidate le perplessità degli uomini della strada.
Ad aumentare i dubbi sullo svolgimento dei fatti tre punti fondamentali: primo, l’ufficiale di stato civile era incerto sulla data e ora del decesso, tanto da scrivere nel registro: «morta il 9 o il 10 aprile 1953»; secondo, secondo alcuni esperti, nei giorni in cui si presumeva avvenuto il fatto, non erano state registrate correnti marine tali da essere in grado di trasportare Il corpo per un così lungo tratto; terzo, il corpo di Wilma non mostrava evidenti segni di decomposizione e macerazione, giustificabili dalla prolungata permanenza in mare.
Il 24 aprile la Procura della Repubblica riapre ufficialmente il caso, chiedendo la collaborazione di chiunque avesse visto o sentito qualcosa. Cominciarono a circola voci sempre più insistenti sul fatto che il questore Saverio Polito e il Procuratore della Repubblica Angelo Sigurani avessero avuto molta fretta di chiedere le indagini per salvare il probabile responsabile dell’omicidio. Il «salvato» doveva rimanere senza identità, perché, girava voce, fosse senza dubbio «potente» ed in quell'epoca i «potenti» erano soprattutto i democristiani. L’ipotesi più plausibile era quella che vedeva Wilma coinvolta in una «festicciola» andata un po’ oltre; forse a quella festa era presente della droga; forse Wilma s'era sentita male e il suo o i suoi amici, presi dal panico, l'avevano abbandonata sulla riva del mare, magari credendola morta, e lì era annegata. Per paura dello scandalo, accidentalmente, avevano causato la morte della ragazza. A questo punto andava stabilito chi potesse avere così paura dello scandalo: un «potente» oppure il «figlio di un potente”. In realtà il dramma sarebbe iniziato a Roma, per poi concludersi in quella zona desolata, lontano da occhi indiscreti. Ma anche in questo caso siamo nel campo delle ipotesi. Ora mancavano prove ed indizi. Dalle analisi sul corpo di Wilma non risultavano tracce di sostante stupefacenti.
E quindi?
All'inizio di maggio un settimanale satirico-politico Il merlo giallo di Alberto Giannini, che pubblicò una vignetta che alludeva senza alcun dubbio al caso Montesi: un uccello in volo con un reggicalze nel becco ed una didascalia: “E sparì come un Piccione viaggiatore.”
Da Piccione a Piccioni il passo è breve. Attilio Piccioni, vecchio esponente di spicco della DC, uomo integerrimo, almeno in pubblico, vicepresidente del Consiglio con De Gasperi durante le elezioni del 1948, che vedono la DC sbaragliare gli avversari comunisti e socialisti del «Fronte del Popolo», era furi dai giochi. Chi suscitò grande interesse fu uno dei suoi figli, Piero, conosciuto con lo pseudonimo di Piero Morgan come uno dei più importanti esperti ed interpreti di musica jazz e come compositore di musica per le colonne sonore di film.
Piero Piccioni viene visto dai più come un motivo per movimentare le elezioni imminenti, per screditare la Dc e che una volta passato giugno il caso Montesi sarebbe stato nuovamente archiviato come incidente.
Ma non fu così. A ottobre un periodico, Attualità, con direttore Silvano Muto, di soli 24 anni, esce con questo titolo: “Verità sulla morte di Wilma Montesi".
Silvano Muto non fece altro che raccogliere tutte le voci che erano state messi in giro sino ad allora, tramutandole in certezza assoluta: Wilma frequentava un ambiente in cui circolava la droga, durante un «festino», che sembra si sia svolto in zona di Capocotta, ai margini della tenuta presidenziale ex reale di Castel Porziano, si è sentita male ed è stata abbandonata sulla spiaggia. Nonostante la sua giovane età Silvano Muto non fa i nomi dei presunti responsabili, ma li indica genericamente con due consonanti: il signor X è l'organizzatore, ricco, affabile, abile nel coltivare le amicizie; il signor Y è un giovanotto dell’alta società. Entrambi, di fronte al malore della bella Wilma, pensano di salvarsi dallo scandalo facendo scomparire il corpo della ragazza, credendola già morta.
Il Procuratore della Repubblica, Angelo Sigurani, convoca subito Silvano Muto e gli chiede di spiegare come abbia potuto accertare i fatti che sostiene. Non ricevendo spiegazioni convincenti, lo rilascia con l'imputazione di «avere diffuso notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico». Il caso Montesi viene nuovamente archiviato.
Il processo a Silvano Muto inizia il 28 gennaio 1954. A questo punto Muto fa il nome di una testimone, Adriana Bisaccia, che avrebbe confermato il festino nella tenuta di Capocotta, la partecipazione della Montesi e di coloro che, a suo dire, “erano da considerarsi i responsabili della tragedia della ragazza", cioè una signora e tre uomini. I nomi non erano mai stati fatti dalla Bisaccia per paura delle ripercussioni. Ma le sorprese non sono finite. Per la prima volta viene nominata Anna Maria Moneta Caglio, 23 anni, milanese, figlia di un notaio, nipote di un «Premio Nobel», alta, bella, molto intraprendente.
Era venuta a Roma con il proposito di «sfondare» nel mondo cinematografico, ma in realtà aveva imbastito una relazione con Ugo Montagna, ricco uomo siciliano, maturo e spericolato negli affari, grande cultore delle amicizie che contano.
Fu la Caglio a contattare Silvano Muto e a confermargli i legami di Wilma con un giro di «convegni equivoci». Lei a sua volta lo aveva saputo dal Marchese Montagna, che confidenzialmente le aveva detto che Wilma si intratteneva con «persone di rango elevato». Ma questo doveva rimanere un segreto.
La testimonianza delle due donne diventa fondamentale, ma sembra che nessuna delle due abbia intenzione di dire la verità. Hanno paura? O Hanno inventato tutto? La Caglio, dopo la rottura con Montagna, si fa avanti con un memoriale, che comincia a girare.
Una copia arriva al settimanale l’Europeo, l’altra viene consegnata a uno zio parroco di Lomazzo, in provincia di Como. Dopo qualche settimana, finì nelle mani di un gesuita, padre Alessandro Dall'Olio, che ne fece due copie, una per il Vaticano, una per il ministro dell'Interno Amintore Fanfani.
Le due donne testimoniano, e la ricostruzione dei fatti che ne segue e la seguente: Wilma Montesi viene invitata da un gruppo di amici ad una festa, le offrono della droga, si sente male, gli amici, ritenendola morta, la abbandonano sulla spiaggia, agonizzante, dove annega; i responsabili sono Piero Piccioni ed Ugo Montagna che convince il capo della Polizia ad intervenire per evitare che sia coinvolto nello scandalo il figlio del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Ma dove sta la prova che Wilma conosca e frequenti effettivamente il Piccioni e il Montagna? E dove era avvenuta questa famosa festa?
La Caglio sembrava abbastanza certa delle accuse fatte ai due uomini e della complicità del Procuratore della Repubblica nel cercare di insabbiare i fatti. Descrive Montagna come un uomo potente, avvezzo alle droghe e alla dissolutezza, con amici potenti e influenti, tra cui Giampiero Piccioni, l’archiatra pontificio Riccardo Galeazzi Lisi, medico personale di Pio XII, il prefetto Gaetano Mastrobuono.
La reazione di Montagna non si fa aspettare: una denuncia per calunnia ed una querela per diffamazione. Il processo viene sospeso due giorni, al rientro in aula i legali di Muto portano un esperto che avvalora la tesi dell’omicidio. Si riaccende la polemica. Montagna chiede di testimoniare in merito alla scarsa attendibilità della Caglio, portando prove scritte, numerose lettere scritte dalla Caglio, in cui si parla dei costumi dissoluti del Montagna.
Il processo va avanti senza grossi colpi di scena, sono nominati diversi personaggi più o meno coinvolti, tra cui la stessa Adriana Bisaccia, che alla fine dice di sapere poco o nulla. Ma numerosi sono gli amici che testimoniano che in realtà la Bisaccia sa e conosce bene il Montagna.
Una svolta determinante a tutta la vicenda arrivò da Aldemira Marri che ospitò per un paio di anni a Roma Anna Maria Moneta Caglio. Si presentò ai giudici e raccontò che la ragazza le aveva affidato quattro lettere scritte il 30 ottobre 1953, il 28 novembre, il 1° ed il 28 dicembre. Nella prima, la Caglio scriveva: "Ore 16,30. Esco e vado a Capocotta con Ugo Montagna. Mi dice che mi porta a Capocotta e staremo lì tutta la notte. Come finirò?". La Mirra parla anche del testamento che la Caglio le avrebbe dato e che lei le aveva poi rispedito per raccomandata, in cui la Caglio, tra le altre cose, scriveva: “…sapendo di che natura sono tanto Ugo Montagna quanto Piero Piccioni, figlio dell'onorevole, temo di poter scomparire senza lasciare traccia di me stessa. Ho saputo che il capobanda del traffico degli stupefacenti è Ugo Montagna con annessa scomparsa di molte donne. Egli è il cervello di questa organizzazione mentre Piero Piccioni è l'assassino.”
Il testamento viene rintracciato in un ufficio postale, la Caglio deve confermarne la maternità.
Colpo di scena: il tribunale decide che gli è impossibile andare avanti. IL Pubblico Ministero ritiene necessaria una nuova indagine.
L’opinione pubblica porta in trionfo la Caglio.
L’opinione pubblica porta in trionfo la Caglio.
Il 22 marzo 1954, solo quattro giorni dopo, l'indagine sulla morte di Wilma Montesi riprende e, questa volta, viene affidata alla sezione istruttoria presso la Corte d'Appello. Se ne assume la responsabilità diretta lo stesso Presidente, Raffaele Sepe.
La cosa più importante da stabilire e come e dove è morta Wilma Montesi. Vengono convocati a questo scopo tre illustri medici legali, Domenico Maccaggi, Giorgio Canuto ed Attilio Ascarelli, titolari di cattedre universitarie. Dopo due mesi di analisi e ricerche, i tre medici erano in disaccordo sull’orario della morte, ma tutti e tre convenivano che la causa della morte fosse asfissia per annegamento, in quanto la Montesi, probabilmente, fu portata «incosciente» sulla sponda ed abbandonata con il solo capo immerso nell'acqua. Una morte lenta. Esprimevano molti dubbi sulla possibilità che Wilma potesse essere annegata ad Ostia e trascinata dalle correnti sino a Torvaianica.
L’unica cosa a cui i tre professori non seppero dare risposta era se Wilma Montesi fosse stata drogata o no al momento della morte.
La cosa più importante da stabilire e come e dove è morta Wilma Montesi. Vengono convocati a questo scopo tre illustri medici legali, Domenico Maccaggi, Giorgio Canuto ed Attilio Ascarelli, titolari di cattedre universitarie. Dopo due mesi di analisi e ricerche, i tre medici erano in disaccordo sull’orario della morte, ma tutti e tre convenivano che la causa della morte fosse asfissia per annegamento, in quanto la Montesi, probabilmente, fu portata «incosciente» sulla sponda ed abbandonata con il solo capo immerso nell'acqua. Una morte lenta. Esprimevano molti dubbi sulla possibilità che Wilma potesse essere annegata ad Ostia e trascinata dalle correnti sino a Torvaianica.
L’unica cosa a cui i tre professori non seppero dare risposta era se Wilma Montesi fosse stata drogata o no al momento della morte.
Proliferano i mitomani di ogni genere, si fanno nomi sempre più illustri, altisonanti. Piste false, per creare scompiglio.
Alla fine dell’estate Attilio Piccioni viene avvertito, in via del tutto confidenziale, che sarebbe opportuno
rassegnare subito le dimissioni dall'incarico che ricopre. Arrestare il figlio del Ministro degli Esteri avrebbe reso più clamoroso lo scandalo ed avrebbe messo, forse, in imbarazzo tutto il governo.
La mattina del 21 settembre 1954 il Presidente della sezione istruttoria firma i mandati di cattura dietro esplicita richiesta del sostituto procuratore generale, Marcello Scardia. I mandati sono due: uno per Piero Piccioni, arrestato in mattinata e uno per Ugo Montagna, che si costituisce a Regina Coeli. Per l'ex questore Saverio Polito viene emesso mandato di cattura, in rispetto della sua età.
Lo scandalo tocca ora la politica. I democristiani si riuniscono in tutta fretta: Togliatti si incontra con Nenni.
Nove giorni dopo un colpo di scena. Viene fatto il nome di Giuseppe Montesi, zio della ragazza, giovane scapolo. Ad insinuare il sospetto i colleghi di lavoro. Giuseppe Montesi reagisce con una denuncia per diffamazione. Raffaele Sepe pensa a una manovra per salvare un colpevole, Piero Piccioni, che per quel giorno ha un alibi: il 9 aprile 1953 ha la tonsillite, provata da un certificato medico rilasciato dal direttore di una clinica universitaria romana. Ma la data era stata corretta in modo da attestare che la malattia coincideva con il giorno della scomparsa di Wilma Montesi.
La mattina del 21 gennaio 1957 inizia il processo contro Piccioni, Montagna e Polito. Si svolge a Venezia.
Il primo sotto processo è Piccioni, poi tocca a Montagna. Alla decima udienza, vengono sentiti i medici legali: quelli che sostengono la tesi della disgrazia e quelli che sostengono che Wilma Montesi sia morta per colpa di qualcuno. È scontro. Anna Maria Moneta Caglio testimoniò alla fine di febbraio: Confermò tutto quello che aveva detto in passato. I testimoni si susseguono, non mancano i colpi di scena.
Il 27 maggio 1957, alle 23 e 30 circa, dopo oltre sette ore di riunione in camera di consiglio, il tribunale decide che Piero Piccioni, Ugo Montagna e l'ex questore di Roma, Saverio Polito debbano essere assolti «per non avere commesso il fatto».
Quattro mesi, fu aperto il libro nel quale i magistrati avevano spiegato le ragioni che avevano portato a questa conclusione, con molti dubbi e due certezze soltanto: che Wilma Montesi era morta per colpa di qualcuno, a Torvaianica, del quale nessuno aveva potuto individuare l’identità. Piero Piccioni era estraneo a questa morte e come lui, Ugo Montagna e l'ex questore Saverio Polito.
Anna Maria Moneta Caglio fu condannata a Roma per calunnia nei confronti di Piccioni e Montagna a due anni e mezzo: ma la pena, confermata anche dalla Cassazione, le venne condonata nell'ottobre 1966.
La morte di Wilma Montesi fu il primo caso di cronaca nera a raggiungere fama nazionale nella giovane Repubblica Italiana.
I giornali si lanciarono sugli eventi, divisi per appartenenza politica, attratti dalle relazioni tra politica e delitto.
La guerra, conclusa pochi anni prima, sembrò improvvisamente lontana.
Un nuovo mondo stava iniziando.
Rosella Reali
Bibliografia
I giornali si lanciarono sugli eventi, divisi per appartenenza politica, attratti dalle relazioni tra politica e delitto.
La guerra, conclusa pochi anni prima, sembrò improvvisamente lontana.
Un nuovo mondo stava iniziando.
Rosella Reali
Bibliografia
Pier Mario Fasanotti, Valeria Gandus, La ragazza del pediluvio, in Mambo italiano 1945-1960. Tre lustri di fatti e misfatti, Marco Tropea Editore, 2000,
Carlo Lucarelli, Il caso Wilma Montesi, in Nuovi misteri d'Italia. I casi di Blu notte, Torino, Einaudi, 2004
Silvio Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana. L'economia, la politica, la cultura, la società dal dopoguerra agli anni '90, Venezia, Marsilio Editori, 1992,