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La borsa di Mussolini

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Benito Mussolini fu ucciso il 28 aprile del 1945 a Giulino di Mezzegra, frazione di Tramezzina in provincia di Como, a colpi d’arma da fuoco. Il capo del fascismo si trovava in stato d’arresto dopo la cattura, avvenuta a Dongo il giorno precedente grazie ai partigiani della 52aBrigata Garibaldi comandata da Pier Luigi Bellini delle Stelle.
Negli anni successivi, esattamente nel marzo del 1947, il comandante partigiano Walter Audisio si assumerà l’onere e l’onore di essere stato l’unico autore dell’uccisione di Mussolini.
L’unico dato importante della sua morte è che gli alleati lo volevano vivo, per processarlo come avrebbero fatto a Norimberga con i nazisti. Le forze partigiane invece questo processo non lo volevano, e non solo per furore di giustizia o di vendetta: sapevano che Mussolini avrebbe spiegato al mondo quanto e come gli italiani avevano creduto in lui, quanto erano stati suoi complici e suoi adoratori”.[1]
Questi sono fatti conosciuti e noti alla maggioranza delle persone.
Alcune delle tante verità che Churchill ha ritenuto opportuno di nascondere, erano certamente custodite nella famosa borsa che Mussolini si portava appresso quando fu catturato a Dongo dai partigiani”.[2]
La sera del 25 aprile quando Mussolini decise di fuggire da Milano, ormai sconfitto e rassegnato, non immaginava di trovare sulla sua strada il mitra di Walter Audisio. Probabilmente pensava ad un’onorevole fuga verso la Valtellina sino al sopraggiungere degli alleati, cui si sarebbe concesso.
Poteva immaginare la cattura e il processo da parte degli alleati?
Un processo che riteneva giusto e dove avrebbe potuto citare testimoni spiegando la sua azione politica durante i 22 anni di potere?
Dobbiamo tornare alla borsa di Mussolini: dopo il sequestro a Dongo, operato dal comandante Pedro – Pier Luigi Bellini delle Stelle – la borsa fu prelevata dal capitano Malcom Smith del Field Security Service britannico. Il capitano portò il reperto al comandante in capo delle forze alleate in Italia, il maresciallo Harold Alexander.
Possiamo pensare, e presumere, che il contenuto della borsa fu esaminato e scremato dagli inglesi durante la consultazione avvenuta a Villa Apraxin?
Gli inglesi non erano i soli a reclamare il contenuto, poiché gli americani volevano fortemente analizzarlo. La borsa passò dalle mani britanniche a quelle americane, che portarono il tutto a Washington per la consultazione.
Nel 1949 la borsa fece ritorno in Italia e depositata presso l’archivio di Stato, “[..] dove rimase per lungo tempo dimenticata. Il suo ritrovamento lo si deve all’archivista Gaetano Contini, ma anche si a chi scrive questo libro che collaborò alle ricerche”.[3]
Prima di conoscere il contenuto rinvenuto dall’archivista e da Arrigo Petacco facciamo un passo indietro: cosa conteneva al momento del sequestro?
Secondo l’inventario del comandante Pedro vi erano 160 sterline d’oro, assegni per un valore di circa 700,000 mila Lire, alcuni fascicoli con le seguenti intestazioni: varie, Umberto di Savoia, Processo di Verona e carteggio tra Mussolini e Hitler. Non vi è nessun riferimento ad un potenziale carteggio tra il Duce e Churchill.
Dei quattro fascicoli menzionati dal comandante Pedro, uno solo è mancante: quello d’Umberto di Savoia, che pare contenesse rapporti delicati sulla presunta omosessualità del principe.”[4]
Tra i documenti non citati dal comandante Pedro, ma rinvenuti da Arrigo Petacco, vi sono telegrammi d’importanti industriali che sollecitavano Mussolini ad entrare in guerra, poiché i tedeschi stavano vincendo senza gli italiani.
Questi telegrammi, insieme ai documenti riportanti la firma del Re, dovevano provare nella mente del Duce che tutti gli atti compiuti avevano sempre ottenuto l’assenso del sovrano e che fu incoraggiato a prendere la decisione di entrare in guerra.
Un documento interessante è il verbale del primo incontro con Papa Pio XI, avvenuto in Vaticano il giorno 11 febbraio 1932.
“Le prime battute sembrano imbarazzate. Il santo Padre mi porge la mano, m’invita a sedere e dice: le porgiamo in benvenuto in questa casa che, essendo la casa del Padre, è la casa di tutti. Ci rallegriamo per la validità della legge sui culti che permette di controllare il fenomeno protestante, e anche per la promessa fatta dal governo di costruire almeno 4000 nuove chiese. Sono lieto che si sia ristabilita la compatibilità tra il partito fascista e l’Azione cattolica, se mai le difficoltà fossero dovute partire dalla parte cattolica. Ma io non vedo, nel complesso delle dottrine fasciste, tendenti all’affermazione dei principi d’ordine, autorità e disciplina, niente che sia contrario alle concezioni cattoliche”. [5]
La linea di difesa, escogitata da Mussolini, poteva spiegare la presenza all’interno della borsa della relazione che lo stesso Mussolini fece al Gran Consiglio il 4 febbraio del 1939. La delibera del Consiglio fu approvata dal Re. In conformità a questa documentazione, si potrebbe pensare che la decisione di partecipare al conflitto discendeva non da una sua intuizione ma dalla delibera del Consiglio. Ricordo che il Gran Consiglio del fascismo, fondato nel 1922, fu il massimo organo del partito nazionale fascista e svolgeva le funzioni d’organo costituzionale del Regno d’Italia. Le sue sedute si tenevano, solitamente, a Palazzo Venezia in Roma ed avvenivano a porte chiuse.[6]
Un’altra verità che Churchill ha – forse – ritenuto opportuno nascondere, si cela in una lettera che ho trovato frugando fra ciò che era rimasto nel fascicolo che conteneva il carteggio tra Mussolini e Hitler”.[7]
Secondo quanto riportato da Petacco si tratta di una minuta autografa della lettera che Mussolini aveva inviato a Hitler il 3 gennaio del 1940.
La domanda sorge spontanee: perché la portava con sé?
Questo documento lo avrebbe utilizzato a sua discolpa durante l’eventuale processo che, certamente, le forze alleate avrebbero intentato contro di lui?
Prima di analizzare il contenuto dovremmo ricordare la situazione al 3 gennaio del 1940: l’Italia fascista era ancora non belligerante mentre l’Europa era sconvolta dalle guerre, la prima che stava languendo lungo la linea Maginot e la seconda – combattuta – in Carelia tra la Finlandia e l’Unione Sovietica. Nella lettera vi sono chiari riferimenti al secondo evento dove, incredibilmente, la grande Armata Rossa stava soffrendo le forze finniche. I finlandesi divisi in fanti-sciatori, conosciuti come Sissit, avevano immobilizzato tra i ghiacci i soldati sovietici. Dato il languire della guerra sulla linea Maginot, tutta la stampa internazionale si era spostata tra la neve e i laghi della Finlandia: anche quelli italiani cui Mussolini aveva lasciato – incredibilmente – libertà di stampa.
Vorrei spiegare il perché ho utilizzato il termine incredibilmente.
Dobbiamo ricordare che l’Italia era alleata della Germania e questa a sua volta aveva stretto accordi con Stalin. Mussolini avrebbe dovuto parteggiare per i sovietici, in una logica d’alleanze incrociate.
Così non fu, e potremmo definire tifo da stadio quello espresso da Mussolini nella lettera: “L’Italia fascista ammira questa piccola e valorosa nazione che si batte per la propria indipendenza. Si è parlato d’ingenti aiuti dati dall’Italia. Esagerato. Si tratta di appena 26 obsoleti aerei da caccia e d’alcuni piloti istruttori: nient’altro. Tuttavia, non posso negare che migliaia d’italiani continuano a offrirsi volontari per correre in aiuto degli eroici finlandesi: ma l’arruolamento non sarà permesso”.[8]
Non aveva digerito il patto tra Hitler e Stalin.
Non lo digerirà mai.
Analizza, scrivendo a Hitler, i termini dell’accordo e la situazione sovietica.
La lettera si conclude, sempre riferendosi a Stalin e all’Unione Sovietica in questo modo. “Fino a quattro mesi fa la Russia era il pericolo numero uno, non può essere diventata l’amico numero uno. Solo dopo il giorno in cui avremo demolito e vinto il bolscevismo potrà essere la volta delle grandi democrazie le quali non potranno sopravvivere a lungo alla loro crisi demografica, politica e morale.”[9]
Mussolini analizza anche la questione della Polonia occupata e degli ebrei: “Un popolo che è stato ignominiosamente tradito dalla sua classe dirigente, ma che si è battuto con coraggio, merita il trattamento dei vinti, ma non quello degli schiavi. La creazione di una modesta Polonia liberata dagli ebrei non può costituire un pericolo per il grande Reich. Ma questo fatto sarebbe importante per voi negli sviluppi della vostra guerra che a molti in Occidente appare senza senso.”[10]
Tra gli storici che hanno analizzato i documenti da ricordare l’idea di Denis Mack Smith, gran conoscitore della storia italiana, che definisce strana la lettera di cui stiamo argomentando.
La missiva inviata a Hitler non ebbe mai una risposta.
Sarebbe potuta andare diversamente?
Certamente gli alleati avrebbero voluto vivo Mussolini per processarlo a Norimberga.
La storia si conclude con Mussolini e Claretta Petacci appesi ad una tettoia di un distributore di benzina. Il capo partigiano Ferruccio Parri, che fu anche presidente del Governo, utilizzò il termine Macelleria Messicana per definire i macabri fatti di Piazzale Loreto.


Fabio Casalini


Bibliografia

Enzo Biagi, La terribile fine di un tiranno in La Seconda Guerra Mondiale. Gruppo editoriale Fabbri 1983.

Giordano Bruno Guerri, Fascisti. Gli italiani di Mussolini. Il regime degli italiani. Arnoldo Mondadori editore, 1995

Arrigo Petacco, La storia ci ha mentito. Arnoldo Mondadori editore, 2014

Fotografie

- Benito Mussolini
- Pier Luigi Bellini delle Stelle
- Pio XI


[1] Giordano Bruno Guerri, Fascisti. Gli italiani di Mussolini. Il regime degli italiani. Arnoldo Mondadori editore, 1995
[2] Arrigo Petacco. La storia ci ha mentito. Arnoldo Mondadori editore, 2014
[3] Arrigo Petacco. La storia ci ha mentito. Arnoldo Mondadori editore, 2014
[4] Arrigo Petacco. La storia ci ha mentito. Arnoldo Mondadori editore, 2014
[5] Verbale dell’incontro tra Mussolini e Pio XI, avvenuto in Vaticano il giorno 11 febbraio 1932. Riportato in La storia ci ha mentito di Arrigo Petacco.
[6] Gran consiglio del fascismo in Treccani.it – Enciclopedie on line. Istituto dell’Enciclopedia italiana.
[7] Arrigo Petacco. La storia ci ha mentito. Arnoldo Mondadori editore, 2014
[8 - 9 - 10] Arrigo Petacco. La storia ci ha mentito. Arnoldo Mondadori editore, 2014


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