ISOLA DI SANT'ELENA
Vomita.
Il ventre gonfio dolente sfigura la sua persona.
La barba è incolta.
Il viso moribondo si tinge di pallor, nulla può più rimebrar la sua ambrata pelle, ereditata dal tepor della sua eterna amata Corsica.
Il nero sgorga ancor dalla sua bocca, sente il sapor della terra, dell'abbandono, del vile tradimento, della sua grandezza resa ora miserabile e schernita dai nemici .
Il nero sgorga ancor dalla sua bocca, sente il sapor della terra, dell'abbandono, del vile tradimento, della sua grandezza resa ora miserabile e schernita dai nemici .
- Dio mio Dio, mio Dio, mio Dio -
Sussurra.
Chiude gli occhi, perde coscienza.
Giungono gli incubi.
Gli ripetono la data e l'anno.
Una manciata di mesi e avrà cinquantadue anni.
Rinviene, si posa una mano tremante sullo stomaco e mormora
- Qui ho un dolore acuto, che quando si fa sentire sembra una rasoiata. Mio padre è morto di questa malattia a soli trentacinque anni. -
Il dottore lo rasserena...
- Sarà quel che Dio vorrà, non ho timor a incontrarlo.-
Affermò a mio stupor su quello scoglio, ove il promontorio si getta nel immense acque dell'oceano, queste parole << Io lo sento, questo Dio, lo vedo, ne ho bisogno, credo in lui, questo mistero è sotto i miei occhi, e io non posso negarlo, né tanto meno spiegarlo. In tutto questo non c'è niente di umano. Più tento di avvicinarmi, di esaminarlo da vicino, più il mistero mi trascende, e rimane di una grandezza soverchiante; e più medito, più il mistero diventa inafferrabile>>.
Si paragona a Cristo nel suo calvario e nell'abbandono di chi lo ebbe elogiato nella comodità della sua gloria.
Vomita, dei boli neri.
Dorme.
Si sveglia fradicio di sudore, gli occhi spalancati,
- Una cometa...- grida indicando con il braccio tremante il cielo - Fu il segno che annunciò la morte di Cesare.-
Afferma di aver sognato la sua cara Josèphine, come un angelo giunto in quello strazio di solitudine per consolarlo, il suo forse unico vero grande amore.
-La mia fine è vicina, devo dettare il mio testamento; muoio nella religione apostolica romana .-
Vomita steso riverso nel letto imbrattando le candide lenzuola.
-In realtà muoio teista, credendo in un Dio rimuneratore e principio di tutte le cose, ma dichiaro di morire nella religione cattolica, poiché credo che ciò convenga alla morale pubblica. Desidero che le mie ceneri riposino sulle rive della Senna, in mezzo al popolo francese che ho tanto amato, conservo i più teneri sentimenti sino all'ultimo momento per la mia cara moglie Maria Luisa, la prego di vigilare per proteggere mio figlio, che esso non si presti mai a divenir strumento nelle mani dei triumviri che opprimono i popoli d'Europa. -
Un dolore al ventre sinistro lo costringe a piegarsi nel letto, indica con la mano il busto dell'imperatore romano vicino al caminetto, l'umidità e le nebbie di quel luogo ricoprono la sua persona, l'uomo più potente della terra è ora lasciato alla morte più miserabile, lontano dalla sua famiglia, e da quei vigliacchi traditori, che governano le nazioni.
- Gli perdono! Perdono il tradimento di Marmont, Augereau, Talleyrande la Fayette, che i posteri francesi possano perdonarli. -
Detta le sue volontà, divide i suoi beni come un plotone dell'esercito, con meticolosa precisione e spartizione tra familiari, amici.
- Mio figlio ! - Esclama,
- Devo ancor dettare quello che dovranno dire a mio figlio, scrivi te ne prego, che esso non cerchi di vendicar la mia morte, il ricordo di ciò che ho fatto non lo abbandoni mai, deve rimanere francese fino alle punta delle dita, che legga spesso e mediti la storia, l'unica vera filosofia risiede lì, io sono stato obbligato a dominare con la violenza l'Europa, l'ho salvata dalla rivoluzione che periva, ho impiantato in essa nuove idee di libertà. Oggi bisogna convincerla con le parole. Le monarchie crollano. -
- Sono sfinito, che vile morte, lontano da chi amo, non potevano uccidermi subito? Mi ero consegnato al popolo britannico, al suo focolare, contro ogni diritto mi si pose in ceppi, l'Inghilterra persuase i sovrani, così che il mondo assistette allo spettacolo inaudito di quattro grandi potenze che si lanciano addosso ad un solo uomo. Come mi avete trattato su questo scoglio? Con freddo calcolo mi avete lentamente assassinato, il governatore miserabile era lo sgherro dei vostri ministri. Io muoio come la superba repubblica di Venezia, lego l'obbrobrio e la vergogna della mia morte alla famiglia regnante d'Inghilterra. -
Sprofonda sui cuscini umidi, come l'aria pesante di quel clima.
Vomita.
Vomita ancor fino allo strazio, il dolore lo annienta.
Sussurra ancora a fatica le sue volontà.
- Esigo la vostra promessa che nessun medico inglese mi metterà le mani addosso dopo la mia morte. Desidero che venga sezionato il mio corpo, per capirne il suo guasto. Il mio cuore, imbevetelo nell'alcol e portatelo a Parma, a chi è appartenuto davvero, alla mia cara Maria Luisa, ditele come sono morto, come ho vissuto in questi ultimi anni, ditele che l'ho sempre teneramente amata. -
- Quando sarò morto, tornerete al cuor delle vostre famiglie, in Europa, rivedrete le vostre madri, i vostri amici, io troverò i miei prodi negli Champ-Elysèes, parlerò delle nostre battaglie con Annibale, Cesare, Scipione; Sarà bello! A meno che non metta paura, quaggiù vedere tanti guerrieri insieme.-
Sorride, malinconicamente.
Piange.
Crolla in un sonno pesante.
Fatica con il respiro.
Riceve l'estrema unzione.
Giungono le ultime manciate del suo tempo terreno.
E' la notte tra il quattro e cinque maggio 1821.
Si sveglia e grida con furia,
-Chi indietreggia? Mostrati!-
Giungono gli incubi legati alla sua dura fanciullezza, e alla sua tremenda solitudine.
Rimane con gli le palpebre spalancate, sullo sfondo spiragli di luce che la luna mostra dalla sua finestra.
S'inarca come un vascello pronto ad inabissare, la voce roca e severa dice le sue ultime parole
-France, Tète d'armèe.-
Spira..
07,49 Sabato 5 maggio 1821.
Simone De Bernardin