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La Fisica

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I cunchè o palai della Vallestrona
Mio nonno raccontava.
Raccontava degli uomini di Valstrona che migravano per lavoro: erano palai, i cunchè, artigiani del legno. 
Uomini che fino agli inizi del Novecento lasciavano le loro case e le famiglie per lavorare nel torinese, in Francia e in Germania: la Magna.
Tra le loro vicissitudini anche storie che parlano di misteri e accadimenti inspiegabili o quantomeno strani,come l’episodio vissuto da uno di questi, emigrato nell’alessandrino.

Nel paesino che lo ospitava aveva rimediato una piccola stanza in una cascina ,per ripararsi durante i lunghi inverni di duro lavoro. Una porta malmessa dava direttamente sulla piazzetta del paese e da una finestrella, che faceva filtrare solo spifferi di freddo invece della luce del sole, poteva vedere la chiesa incorniciata dalle case d’intorno. Lì aveva sistemato un pagliericcio,un tavolo con i suoi miseri suppellettili ,una pentolaccia e poche stoviglie giusto per cucinarsi un po’ di minestra o la polenta. Sopra il letto l’unico fedele amico il suo fucile, muto ma pronto per le giornate che l’uomo passava nel bosco dove recuperava la legna per il suo lavoro e poteva cacciare qualche lepre o tordo.

Dopo la giornata lavorativa e la solita cena frugale era solito passare del tempo nell’osteria del paese,giocando a carte, scolandosi il solito bicchiere di vino tra una chiacchiera e l’altra.

Anche il parroco era solito passare un po’ di tempo nel locale annerito dal fumo del camino e del tabacco.
Il palaio non era una persona taciturna e manifestava apertamente le sue idee politiche in netto contrasto con quelle del prevosto, inoltre non frequentava la messa la domenica. Figurarsi se il prete, mosso dalla vocazione di salvare un’anima in più, non perse l’occasione per porre rimedio. Certo è che il metodo usato allora da alcuni preti non passava per il dialogo e la persuasione.

Una notte infatti il bravo artigiano si svegliò di soprassalto per un gran fracasso che avveniva proprio nella sua stanza. Ad un palmo dal suo viso si agitavano nell’aria pentole, coperchi, posate, scalpelli, battendosi contro l’uno all’altro in un “bataclàn”che durò per una decina d’interminabili minuti. Stropicciatosi gli occhi, incredulo, balzò seduto sul letto: non stava sognando, e non era nemmeno ubriaco. Nulla era servito a far cessare quella fastidiosa danza, solo ad un tratto tutto ritornò in silenzio con gli oggetti caduti a terra finalmente inanimati.

L’uomo pensieroso tornò a letto, non chiuse occhio quella notte, ne aveva passate tante ma una cosa del genere non l’aveva mai vista.

Nella sua memoria affioravano ricordi di storie già sentite … 

Per più notti fu vittima degli stessi avvenimenti e per nulla intimorito, immaginando di che cosa si poteva trattare, si decise a vegliare per capire meglio.
Abitanti di Massiola in Valle Strona

Rincasò dopo la serata all’osteria, aprì l’uscio ma fece finta di entrare e protetto dal buio riuscì a nascondersi dietro una catasta di legna dove aveva già sistemato il suo fucile.
Dopo qualche minuto infatti all’interno ricominciò il frastuono. I suoi occhi attenti e abituati al buio non scorgevano anima viva ne sulla piazzetta ne lungo le vie.
La sua attenzione fu catturata però da una strana figura che si agitava in cima al campanile.Senza pensarci due volte imbracciò il fucile e sparò. L’ombra sul campanile sparì e in quel preciso istante anche il silenzio cadde all’interno della stanza.
Andò a letto, sprofondando finalmente in un sonno senza interruzioni.
La mattina seguente fu svegliato dallo schiamazzo delle donne che urlavano e si agitavano: il prete era stato trovato morto,ucciso da un colpo di fucile!
All’uomo non rimase che fare fagotto e scappare.
Per ascoltare queste storie non serve andar troppo indietro nel tempo.
A Prata, piccola frazione di Vogogna, in Val d’Ossola nei primi del Novecento, viveva un giovane dalle dichiarate idee anticlericali, un senza Dio per la gente del posto che non cedeva ai continui rimproveri della famiglia, gente pia e devota.
Lui, la pecora nera della famiglia, era una vergogna di fronte all’intero paese, soprattutto per le sorelle che un bel giorno si decisero a chiedere aiuto al parroco per far prendere la retta via al fratello.
Anche in questo caso il prete non cercò un dialogo ma operò in altro modo.
La notte stessa, il giovane rincasando dopo una serata con gli amici trovò chi lo aspettava proprio davanti la porta della sua camera da letto. In quegli anni le camere ai piani superiori si raggiungevano tramite una scala esterna e proprio sul balcone si ritrovò davanti una figura dalle sembianze umane ma effimera, vaporosa e biancastra. Nonostante lo stupore fu deciso ad aprire la porta della camera ed una volta entrato la strana presenza svanì.
Qualche notte dopo lo stesso strano fatto si ripropose e il giovane si comportò allo stesso modo, fece finta di nulla e si coricò, riflettendo su ciò che continuava ad accadere. La mattina seguente a colazione aspettò le sorelle avendo intuito la loro parte nella vicenda e le ammonì duramente ordinando loro di avvisare il parroco che se avesse visto ancora qualcosa di strano nelle notti seguenti sarebbe andato direttamente da lui armato di pistola.
Guarda caso da quella stessa notte non ci furono più episodi apparentemente inspiegabili.
Di storie come queste vi è ancora l’eco, dalle valli alpine fino alla pianura piemontese dove la capacità di usare arti magiche non era prerogativa solo delle strie, o masche, e di stregoni bianchi ma anche d’alcuni preti.
I fenomeni che erano prodotti tramite queste capacità erano indicati nel folklore piemontese con il nome di “fisica”.
Va ricordato che non furono rari i processi contro esponenti del clero accusati di pratiche esoteriche, processati e alcuni portati fino al rogo durante il periodo dell’Inquisizione.
Cerchiamo ora di capire meglio cosa s’intende con il termine “Fisica”.
Nel linguaggio popolare piemontese si identifica l’energia usata per scatenare prodigi, provocare lampi violenti, bagliori, provocare incendi che non ardevano, far piovere sassi, combinare scherzi e spaventare il prossimo evocando spiriti, facendo apparire fantasmi, casse da morto sugli alberi, far apparire animali come capre o maiali, far vedere scene irreali o cose mostruose, e come descritto sopra anche dar vita ad oggetti inanimati.
La Fisica era qualcosa di sinistro,di incomprensibile ma magicamente potente e insondabile, l’arte sconosciuta tramandata con i metodi che vedremo più avanti, a volte indicata come “l’Opera”. Come suggerisce il termine stesso si ha l’idea di fenomeni che vengono creati tramite il mondo naturale e spirituale, neutrali dalla condizione del bene e del male per cui è l’operatore stesso che deve farsi carico della responsabilità del suo atto. Quindi il curato che possedeva questo potere viveva in un confine tra stregoneria bianca, ovvero il potere di curare i mali anche fisici e togliere malefici con stessi ingredienti e unguenti della medicina popolare, e magia nera compiendo prodigi soprannaturali, diventando un mediatore dell’occulto.
Il prete diventa quindi una persona da temere e riverire,che dispensa consigli,metteva ordine nella comunità,conosceva pregi e difetti dei fedeli, in funzione anche dell’ignoranza della comunità contadina rispetto le conoscenze da lui possedute, viste appunto come materia occulta.
Ad alimentare la tradizione che poneva il prete in relazione con l’esoterismo erano anche le accuse dirette ad alcuni religiosi che avrebbero diffuso idee eretiche, soprattutto nelle valli alpine, più lontani e protetti dal controllo di vescovi e delegati.
Proprio in questi luoghi di difficile accesso alcuni parroci venivano descritti come figure ambigue, che portavano sempre con se carte da gioco sporche e consumate mentre il breviario restava pulito e sempre nuovo.
Si può portare come esempio di tale personaggio il primo curato di Massiola in Valstrona: Giovanni Caserio. Originario del torinese, mandato nel paesino di montagna dal vescovo Bascapè nel 1596.
Nei documenti trovati in parrocchia si trova scritto di come il vescovo più volte mandò “grida”, ovvero missive, per ammonire le pratiche del curato arrivato addirittura ad aprire un’osteria e a gestirla personalmente, giocando le carte, ad azzardo e prediligendo l’uso dei tarocchi per divinare il futuro soprattutto alle donne invece di preoccuparsi di predicare e indottrinare i suoi parrocchiani.
Si diceva che l’arte della Fisica fosse raccolta nel “Libro del Comando”con il quale si indicava un volume che raccoglieva formule magiche e segrete, il più delle volte scritte a mano e in latino di modo che solo chi istruito potessero leggerne il pericoloso contenuto, formule che se pronunciate correttamente potevano anche evocare demoni ottenendo il loro aiuto per compiere misfatti.
Il Libro del Comando sarebbe stato fornito proprio da un demone ad un suo seguace per poter piegare le forze della Natura al suo volere.
Nelle campagne alessandrine per indicare il fenomeno di queste pratiche si usava dire “battere la fisica”,dando al termine battere il senso di oltrepassare,superare il limite tra la fisicità delle cose terrene e visibili e il regno dell’invisibile.
“Battere” anche come potere sulle cose naturali poiché con la pratica delle arti magiche s’intende la volontà di “piegare la Natura” per provocarne diversi fenomeni, oppure deformandola o trasformandola in qualcos’altro.
Altro significato che si può dare a questo termine è quello del semplice battere, picchiare colpi sulla terra con il “bastone del comando”, oggetto di potere e di forte simbologia nel mondo della Fisica piemontese. Oggetto che si potrebbe rifare alla cultura druidica o alla bacchetta magica.
In alcune zone si raccontava di come le streghe in punto di morte erano obbligate ,per poter lasciare questo mondo,a buttare tra le vie il loro bastone di modo che qualcuno lo raccogliesse.
Infatti le masche dovevano lasciare l’oggetto che aveva raccolto tutto il loro potere in eredità;questo oggetto poteva consistere in un gomitolo, in un mestolo, nella scopa, nel proprio libro del comando e appunto nel bastone. Ogni oggetto aveva la proprietà di passare direttamente il potere della strega morente alla persona che ne entrava in possesso. A volte la strega sceglieva essa stessa la persona che riteneva più adatta a ricevere il suo potere ma accadeva anche che per motivi ordinari, come nel caso dell’estrema unzione, che l’eredità esoterica veniva raccolta da un prete.
Con “la Fisica” quindi ci si può addentrare in un mondo pieno di significati e di simbologie, non solo un termine per indicare l’oggetto di racconti più o meno misteriosi, rendendomi conto di quanto i nostri avi sapessero esprimere nella semplicità delle loro espressioni parlate.

Barbara Piana


Bibliografia:
Gian Battista Beccaria - “Massiola tra Cinque e Seicento” – Note e documenti per una storia dei primi cinquant’anni della parrocchia di S.Maria di massiola.- Associazione storica massiolese
Danilo Arona–“Battere la Fisica” 
Massimo Centini –“Creature fantastiche” fate ,folletti,mostri e diavoli.Viaggio nella mitologia popolare in Piemonte Liguria e Valle d’Aosta – Priuli & Verlucca 

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